mercoledì 30 gennaio 2013

Capitolo 21


 “ E’ nel portico.”
“ Come sta ?”
“ Male.”
“ Ma.. com’è possibile ? Da quanto tempo è ammalata ?”
“ Da maggio. E non ha fatto altro che peggiorare.”
“ Da maggio ? Ma sono passati due mesi ! Cristo Santo, Cesare, cosa ti è saltato in mente di dirmi che era in Sudafrica ?”
“ Non sapevo in quale altro modo gestire la situazione. Solo Alberto sapeva la verità, anche se non conosceva i particolari. Vedi, Laura, neanche i dottori si aspettavano che le condizioni di Giulia sarebbero peggiorate in questo modo. Anzi, avevamo sperato in un progressivo miglioramento, invece… ”
“ Ma almeno si ricorda chi è ?”
“ No. Siamo stati io e i medici a dirglielo,” spiegò Cesare, “ ma lei non se lo ricorda. Le ho raccontato tutto della sua vita, del suo lavoro, il nostro matrimonio, i viaggi che abbiamo fatto …. ormai conosce ogni dettaglio della sua vita, ma non si ricorda di averla vissuta.”
“ Oh Dio … è pazzesco. Si è capito cosa ha provocato l’amnesia ?”
“ Secondo i medici, la perdita del bambino,” rispose tristemente lui.
“ Ma … sono passati mesi ! Mi sembrava che l’avesse superato !”
“ Io invece penso che il peggio non sia ancora arrivato.”
Giulia sentiva le loro voci come una fastidiosa interferenza nel silenzio del suo mondo.  I suoni nascevano armoniosi, ma subito diventavano versi assordanti che martellavano nell’orecchio, e si spegnevano in un mormorio distorto prima che lei potesse comprenderli. Sapeva che parlavano di lei, parlavano con lei, sempre, ma erano parole senza importanza. Lei stava bene così. Era nel suo angolo preferito del piccolo portico, circondata dalle azalee, e si dondolava sotto il sole. Rosa l’aveva avvolta in uno scialle di lana, e lei stava sudando. O forse no, forse era solo saliva. Non le interessava. Qualcuno sarebbe venuto a pulirla. C’era sempre qualche premuroso visitatore che con gentilezza le tamponava delicatamente gli angoli della bocca e le rinfrescava la fronte. Le donne, in genere, le accarezzavano anche i capelli. A lei andava bene, li lasciava fare. I visitatori erano stati molti. Venivano a trovarla da quando Cesare l’aveva riportata a casa. Non ricordava esattamente quando. Forse una settimana, o forse di più. Era contenta di non avere più la cognizione del tempo. Prima, aveva combattuto disperatamente contro la sensazione angosciante delle ore che scivolavano via, aveva cercato di fuggire dall’oblio indotto dalle medicine, che rendeva ogni minuto uguale al precedente e al successivo, come granelli di sabbia in un deserto. Finalmente, adesso era in pace.  Dopo aver distrutto la serenità dei ricordi smarriti accanendosi nella ricerca del passato, trovando ogni pietra della sua vita e sollevandola liberando così orribili mostri, finalmente aveva capito di aver fatto un irreparabile errore. Come poteva vivere sapendo di aver rovinato la vita dell’uomo che l’amava e di aver ucciso il loro bambino ? No, la battaglia era terminata. Lei ora stava bene lì. Nel silenzio.  Lontana da tutto.
Cesare l’aveva riportata a casa dopo il drammatico confronto al pronto soccorso di Verbania.
Ricordava i medici e l’infermiera che la salutavano e stringevano la mano di lui, offrendo la loro disponibilità e promettendo di fargli sapere quando sarebbe tornata la dottoressa Sala.
Cesare li aveva rassicurati, sua moglie aveva solo bisogno di molto riposo e di tranquillità.
Giulia lo aveva seguito docilmente. In quel momento, il suo unico pensiero era tornare a casa, salire in camera e cercare il rifugio del suo letto. Avrebbe voluto sparire per sempre, anzi, in realtà avrebbe voluto morire.
Adesso non aveva più paura delle pastiglie che le davano, ed era sempre con una sensazione di sollievo che accettava la sonnolenza e il torpore. I pensieri si stemperavano dolcemente nell’oscurità, il corpo perdeva peso e consistenza, e lei era leggera, lontana dal dolore, nascosta dentro se stessa, protetta contro la luce della vita esterna. Anche i dolori fisici collaterali indotti dal farmaco non le davano più fastidio, anzi, erano la giusta punizione per tutto il dolore provocato, di cui solo lei era la responsabile. Adesso i tasselli si erano ricomposti ordinatamente, e il puzzle della sua vita era completo. Tutto aveva il suo significato. I soldi, il sangue e i lividi. Avevano il loro posto e non c’era più bisogno di fare domande. Anche perché le risposte non la interessavano più. Che senso aveva capire perché aveva cercato di uccidere suo    marito ? Tanto, aveva già ucciso il suo bambino. Un giorno aveva aperto lo scatolone colorato che Cesare aveva preso dalla cantina. Le sue mani avevano accarezzato le morbide tutine di velluto da neonato, le minuscole scarpine, le calzette ricamate …. ma non aveva provato niente, erano solo piccoli indumenti senza ricordi.
Da quando era tornata, aveva passato molto tempo sul dondolo del portico, osservando la luce del mattino allungarsi sulle piastrelle e ritirarsi all’arrivo della sera, ripensando a tutto quello che aveva fatto da quando era rientrata in quella casa la prima volta. Ricordava la sensazione di quella sera, quando aveva sentito che stava iniziando una nuova vita. Quando ci pensava, piangeva sempre. Nemmeno i suoi incubi più paurosi erano paragonabili a quello che aveva fatto della sua esistenza. Adesso era facile capire perché la sua mente aveva cercato la fuga. Non aveva più potuto affrontare la devastazione del senso di colpa e aveva cancellato tutto. Dovevo cancellare me stessa, pensava, dovevo essere abbattuta come si fa con i cavalli che si spezzano le zampe.
Pensava alle sue paranoie nei confronti di Cesare, la certezza che ci fosse una congiura contro di lei,  la paura che lui stesse volontariamente cercando di farla impazzire, quando invece aveva fatto l’impossibile per proteggerla e aiutarla.
Adesso, Cesare cercava di fare in modo che lei non fosse mai sola. Dopo aver cercato di salvarla isolandola dal mondo, ora aveva deciso di dividere il loro dramma con gli amici. I primi ad essere chiamati erano stati Fabrizia e Carlo. Fabrizia aveva pianto, Carlo non era riuscito nemmeno ad avvicinarsi e si era messo a parlare a bassa voce con Cesare.
Giulia avrebbe voluto rincuorarli, avrebbe voluto spiegare che andava bene così, che era stata lei a scegliere la pazzia, che ne aveva bisogno per ritrovare un  equilibrio e che non dovevano essere preoccupati per lei. Ma non era riuscita a muovere le mani e le parole erano rimaste nella sua mente. Li aveva guardati attraverso una specie di nebbia e non aveva detto nulla, pregando che se ne andassero e la lasciassero sola. In pace.
Erano venuti a trovarla anche tutti gli altri. Ogni volta, Cesare bisbigliava lo stesso avvertimento:     “ Non parlate del bambino.” Così, nessuno lo nominava mai e lei avrebbe voluto ringraziarli per questo. Il bambino. Chissà se era un maschietto o una femminuccia. Chissà se aveva già scelto il nome.
“ Non parlare del bambino,” sentì bisbigliare Cesare e subito dopo Laura era chinata su di lei. Gli occhi della donna erano lucidi.
“ Oh, cara …” disse piano Laura.
“ Non ti preoccupare,” la consolò Cesare,                “ fisicamente non soffre.”
“ Le posso parlare ? Mi capisce ?”
“ Sì,” rispose lui sistemando il cuscino dietro la testa di Giulia. “ Tesoro, guarda, Laura è venuta a trovarti. Non vuoi salutarla ?”
Giulia cercò di sorridere ma le sue labbra non ubbidirono al comando. Non si sforzò di riprovarci. Tanto, non serviva a niente.
Laura si rivolse a Cesare. “ Non riesco a capire. Non capisco come abbia potuto ridursi in queste condizioni. Mi rendo conto che ha subito una perdita molto dolorosa, ma …”
“ Laura,” la zittì Cesare. La donna respirò profondamente per calmarsi.
“ Cristo Santo, Cesare, è una mia amica ! Ci conosciamo da anni, è una delle persone più solari e piene di vita che io conosca ! Non è più lei …”
Cesare si limitò ad annuire con la testa.
“ Non è possibile che non esista una cura,” continuò Laura.
“ I medici fanno quello che possono.”
“ E’ dimagrita moltissimo…”
“ Non vuole mangiare.”
Laura si inginocchiò davanti a Giulia. “ Non ti preoccupare, tesoro, ti faremo guarire.                     Ci prenderemo cura di te e tornerai la persona felice che sei sempre stata. Ci siamo noi con te. Cesare e tutti i tuoi amici.”
“ Se ne hai voglia, puoi leggerle qualcosa,” le suggerì Cesare porgendole una copia di Diva & Donna.
Laura aprì la rivista a caso. “ Mentre con l’aumento della temperatura esterna le texture dei trattamenti di bellezza si alleggeriscono, meglio un fluido a una crema troppo ricca che può creare lucidità sulla pelle….  le formule a base di fiori piacciono sia perché agiscono con dolcezza, sia perché diffondono un bouquet fresco e delicato … ” La voce le si spezzò.
“ Laura, tutto bene ?” chiese Cesare.
“ Tutto ok. Ma non ho voglia di leggerle stupidi articoli di bellezza .. scusami, Giulia.”
Non c’è problema, rispose Giulia mentalmente. Però vorrei che ve ne andaste. Mi piacerebbe tanto essere lasciata sola a morire in pace.
“ Vuoi un po’ d’acqua ? O un succo di frutta ?” le chiese Cesare. “ Se vuoi mangiare qualcosa, Rosa ha preparato dei biscotti alle nocciole.”
Giulia pensò a quando aveva tenuto sotto controllo Rosa con il forchettone. Sarebbe stato meglio se si fosse infilata le due punte negli occhi, spingendo fino a perforarsi il cervello.
Forse era ancora possibile. Poteva chiedere a Cesare e a Laura di accompagnarla in cucina a mangiare i biscotti con il succo di frutta e poi, all’improvviso, avrebbe afferrato il forchettone puntandolo al cuore e  infilzandosi con violenza,  e si sarebbe accasciata al suolo in un lago di sangue ….  il suo sangue, come era giusto che fosse. Punto. Fine.
Invece rimase in silenzio a fissare le azalee. Se almeno quel giorno fosse riuscita a sparire avrebbe fatto un favore a tutti. Se non si fosse rivolta ai carabinieri, se non fosse andata in ospedale, se  Cesare non l’avesse ritrovata … prima o poi avrebbero smesso di cercarla, lui si sarebbe rifatto una vita, magari con un’altra donna, gli amici l’avrebbero ricordata per un po’ con affetto e poi avrebbero pensato ad altro. Deglutendo, la sua gola emise uno strano verso.
“ Cesare, non c’è proprio nulla che possiamo      fare ?”
“ Temo di no.”
Giulia avrebbe voluto consolarla e dirle che tutto sarebbe finito bene. Ma se in qualche modo avesse provato a comunicare, ad arrivare fino a lei, Laura si sarebbe illusa che era possibile sperare. E questo non sarebbe stato vero. La speranza era finita. Lei lo sapeva. Ora, tutto ciò che desiderava era non ritrovare mai più la memoria. Aveva già saputo tutto quello che doveva. Se Dio avesse avuto un po’ di pietà, non avrebbe permesso che lei ricordasse il momento in cui aveva ucciso il suo bambino e l’avrebbe aiutata a morire, facendola sparire per sempre.
“ Sai, ho appena finito di leggere un libro che ti piacerebbe molto,” esclamò Laura all’improvviso, tentando di suscitare una reazione nell’amica. “ Lo scrittore è americano, Steve Berry, e questo romanzo, un po’ thriller e un po’ storico, ha per protagonista un sacerdote che dalla descrizione è proprio un gran figo – anzi, per la verità ho pensato che assomigliasse a Cesare – e che da giovane ha avuto una storia con una giornalista, ma poi ha scelto la Chiesa e ha lasciato lei.”
Giulia cominciava a sentire le palpebre pesanti.      “ Comunque,” continuò Laura, “ questo fighissimo prete è il segretario personale del papa Clemente XV e vive in Vaticano. Tutta la storia si concentra sul terzo segreto di Fatima, che in realtà non è mai stato completamente svelato perché…”
Cesare si schiarì la gola. “ Credo che ora Giulia sia un po’ stanca. Magari le racconti il seguito la prossima volta.”
“ Un momento ancora. Questa è una trama che troverà molto intrigante.”
Giulia osservò Cesare sorridere pazientemente e riportare l’attenzione sulle pagine del quotidiano sportivo. Come fa ? Come può sopportare di vivere con un relitto ? Come riesce a occuparsi di me dopo quello che ho fatto ?
“ Allora,” stava continuando Laura, “ un bel giorno Clemente XV entra nella Riserva segreta dell’archivio vaticano e scopre tutta la storia del pezzo mancante del terzo segreto. La rivelazione è talmente esplosiva che Sua Santità – udite udite – si fa un’overdose di sonnifero e viene trovato morto proprio dal suo segretario … ”
“ Laura, ” intervenne in tono seccato Cesare, “ non credo che a Giulia interessi. Possiamo cambiare argomento ?”
“ Speravo solo che magari …”
“ Senti, perché ora non la lasciamo un po’ in pace ? Dobbiamo avere pazienza. Quando starà meglio sarà tutto più facile.”
“ Quando starà meglio ? Guardala, Cesare ! Credi davvero che potrà stare meglio ?”
Cesare girò lo sguardo verso Giulia. “ Non lo so. Non so più cosa pensare e non so più cosa fare. E non so neanche se tenerla qui sia la soluzione migliore per lei.”
“ Cosa vuoi dire ?”
“ Andiamo in cucina,” disse lui senza rispondere alla domanda, “ beviamo un caffè insieme.”
“ Ma cosa stavi dicendo ?”
Cesare prese tempo versando il caffè nelle tazze.     “ Mi sono informato. Forse è arrivato il momento di curarla seriamente in una clinica specializzata.”
“ Una cosa ? Stai parlando di ospedali per malati di mente ?”
“ Dio Santo, Laura, non sto parlando di un manicomio ! Cerca almeno di capirmi ! Abbiamo già provato di tutto. Ma ti rendi conto della gravità delle sue condizioni ? E’ diventata un vegetale, e ogni giorno è peggio ! Credi che a me faccia piacere ? Credi che lo prenderei in considerazione se esistesse un altro modo, qualsiasi altro modo, per aiutarla ?”
“ Ma non credi che dipenda dalle medicine che prende ?”
“ Se non prendesse le medicine sarebbe molto più grave…. incubi, allucinazioni, autolesionismo. Inoltre, diventerebbe violenta anche nei confronti degli altri. Almeno in questo modo non fa del male a nessuno, soprattutto a se stessa. Insomma, non è come Il nido del cuculo di Jack Nicholson. Ci sono strutture ottime per la cura di questi disturbi. E io voglio che Giulia guarisca, lo capisci ?”
“ Sì… hai ragione. Non riesco neanche a immaginare cosa stai passando. E’ solo che non posso accettare che si sia arrivati a tanto  … ” Laura si alzò in piedi e tornò di fianco all’amica.
“ Giulia, ti prego, guardami ! Ti prego, reagisci !”
Giulia la guardò e si sentì triste. Era dispiaciuta per Laura, che non capiva che il passato condiviso non esisteva più e non sarebbe mai tornato. Aveva ucciso il suo bambino e aveva distrutto la vita di Cesare.
Stava scontando la sua condanna, ed era giusto così. Andava bene così.
Laura la baciò sulla guancia. “ Tornerò presto a trovarti. Ti voglio tanto bene,”  le disse cercando di trattenere le lacrime.
Giulia non rispose e non cercò di restituirle il bacio. Rimase immobile, gli occhi semichiusi, un sottile filo di saliva che le colava dall’angolo della bocca. Osservò Cesare accompagnare Laura dentro la cucina, e pensò che tutti sarebbero stati meglio senza di lei. Gli amici si sarebbero liberati della sua imbarazzante presenza, e Cesare forse sarebbe riuscito a rifarsi una vita. Magari si sarebbe risposato e avrebbe avuto dei figli. Dei bambini in sostituzione di quello che lei aveva ucciso. Tutti avrebbero avuto la loro meritata felicità. Lei, invece, sarebbe finita in un ospedale per malati di mente o forse si sarebbe tolta di mezzo definitivamente.
Tanto, per lei era la stessa cosa. 

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