Non
c’era un motivo preciso che l’aveva spinta a salire sul treno per Milano.
Forse perché era il primo treno
in arrivo, o forse perché inconsciamente quella destinazione aveva un
significato. Forse abitava lì o forse Milano conservava dei ricordi, anche se
al momento non avrebbe potuto dire quali. Seduta sola accanto al finestrino,
non voleva ancora pensare a cosa avrebbe fatto una volta arrivata. Certo non poteva
andare in albergo, era chiaro che senza un documento d’identità non le
avrebbero dato una camera, ma sicuramente nascondersi in una grande città era
meglio che vagare smarrita e confusa per Stresa, dove prima o poi qualcuno si
sarebbe allarmato e forse avrebbe avvisato la polizia che una pazza entrava nei
negozi chiedendo a perfetti sconosciuti di ricordarle il suo nome. Nascondersi.
Sì, alla fine era la conclusione più facile alla quale era arrivata. Non so chi
sono, non so perché sono piena di soldi e soprattutto perché sono coperta di
sangue, pensò stancamente. E non ne
posso più. Ma devo fare qualcosa o impazzirò del tutto.
Osservò il paesaggio che scorreva veloce. Dopo
la partenza, il treno si era fermato a Belgirate, poi a Lesa, e la prossima fermata
annunciata era Meina. Si sorprese a pensare che lì si trovava la tomba di
Cuccia, quella che qualche anno prima era diventata famosa per il rapimento del
suo cadavere ad opera di due sbandati del luogo che avevano chiesto un
riscatto. Le sembrava di ricordare che li avessero arrestati in pochissimo
tempo. Quindi, seguiva i telegiornali o leggeva i quotidiani, insomma, era una
donna che si teneva informata. Il lago brillava sotto i raggi del sole ed era
lievemente increspato dal vento. In alcuni momenti sembrava blu come il mare.
Chissà, forse andava spesso in vacanza e magari possedeva una villa in
Sardegna. Se i suoi pensieri erano così precisi e avevano un senso, perché non
ricordava il suo nome ? Chiuse gli occhi e si lasciò cullare dal movimento del
treno. Aveva paura di addormentarsi, doveva rimanere vigile, ma la pesantezza
di quella mattina delirante le piombò addosso come un macigno e quando si
risvegliò all’improvviso erano già entrati nella stazione Centrale di Milano.
Il cuore le batteva all’impazzata. Si era risvegliata e non ricordava niente di
nuovo.
Scese dal treno e si guardò
intorno. Sapeva esattamente dov’era, conosceva quel posto. Passò in mezzo alla
folla, persone che si abbracciavano e si salutavano, scese le scale e si
diresse al posteggio dei taxi. Dovette aspettare il suo turno dietro ad una
giovane coppia e ad una famiglia stracarica di bagagli. Padre, madre e tre
figli tra i cinque e i quindici anni. Tutti incredibilmente grassi, dal capo
famiglia all’ultimo. Chissà cosa mangiano, pensò, hamburger e patatine fritte,
e schifose merendine piene di grassi. Sentì il tassista della famiglia obesa
sussurrare una bestemmia alla vista dei bagagli da caricare.
Finalmente toccò a lei salire sul
taxi.
“ Dove la porto ? ” chiese
l’autista. Non l’aveva osservato in viso
ma aveva una voce simpatica.
“ Piazza del Duomo, per favore,” rispose lei.
L’auto partì. Lei frugò in tasca
e con molta attenzione, tenendo i soldi nascosti tra le mani, cercò una
banconota di taglio un po’ più piccolo dei cinquecento euro che avevano
sconvolto la ragazza dell’edicola. Non aveva ancora intenzione di contarli,
sicuramente non lì, ma appena vide spuntare un biglietto da cinquanta euro
sospirò di sollievo e lo strinse nella mano. Tutto il resto scomparve nuovamente
nella tasca della giacca.
“ E’ stata in vacanza ? ” le domandò il tassista.
“ Prego ? ” Si sentiva un’aliena giunta dallo spazio.
“ Torna da una vacanza ? O ha
fatto un viaggio di lavoro? ” ripetè l’uomo.
Era tremendamente difficile
sostenere una conversazione. Le stava tornando il panico.
“ Ehmm …. no, no. Sono dovuta
andare ad un funerale. Mi scusi, sono molto stanca ”.
“ Certo, ” rispose lui, “ la
capisco. I funerali buttano sempre giù. Quando è morta mia suocera, mia moglie
non è riuscita ad andare al lavoro per quasi un mese. Poi, con il tempo uno se
ne fa una ragione, non crede ? ”.
Lei non rispose. L’uomo smise di
parlare e si limitò a guidare. Grazie, Dio, pensò lei, e fallo stare in
silenzio per tutto il tragitto. Guardò fuori dal finestrino. Si stupì di
riconoscere le vie. Decisamente, conosceva molto bene Milano. Sapeva con
precisione dove si trovavano e quali vie avrebbero percorso dopo il prossimo
semaforo, riconosceva le fermate dei tram e i negozi davanti ai quali stavano passando. Arrivarono
in Piazza del Duomo. “ Eccoci,” disse l’uomo e guardò il tassametro. “
Sono ventiquattro euro e settanta. Ha
bisogno una ricevuta ? ”
“ No, grazie, ” rispose lei. Pagò
con la banconota da cinquanta euro e prese il resto senza lasciare la mancia.
Non le piaceva lasciare la mancia ai tassisti. Chissà se prendeva spesso il
taxi quando era a Milano. Ma quando era a Milano ? E perché non le piaceva
lasciare la mancia ? Era abituata così da sempre o aveva avuto qualche brutta
esperienza con un tassista ? Scese dalla macchina e attraversò la piazza. Come
sempre, era gremita di persone e piccioni. Sì, pensò, conosco bene questo
posto, e il Duomo mi è assolutamente familiare. Era diretta a La Rinascente,
a pochi passi da lì. Entrò e la luce fortissima dei faretti sulle vetrine
dei gioielli le ferì gli occhi. Coraggio, si disse, sai esattamente dove andare
e cosa fare. Prese le scale mobili. Le ginocchia le tremavano. Arrivata al
secondo piano, si diresse senza esitazioni verso l’assortimento di biancheria
intima del reparto femminile. Osservò un po’ sconcertata l’incredibile quantità
di capi esposti.
“ Posso aiutarla ? ” chiese una
ragazza molto bella con il badge del reparto appuntato al gilet.
Lei sorrise. “ Sì, avrei
veramente bisogno di un po’ d’aiuto”.
“ Cosa le serve ? Ha in mente
qualcosa di particolare? ” chiese la ragazza. Aveva davvero uno splendido
sorriso.
“ Avrei bisogno di rivestirmi da
capo a piedi. Vede, mi hanno scippata stamattina e questa sera ho un
appuntamento, ma non ho il tempo di tornare a casa. Per fortuna non mi hanno
rubato i soldi”. Cercava di parlare in tono disinvolto e un po’ impaziente per
il fastidioso contrattempo inventato al momento. Chissà, pensò, magari mi hanno
scippata davvero e mi hanno anche dato una bella botta in testa, per questo non
ho la più pallida idea di quale sia il mio nome.
“ Quindi…vediamo,” disse la
ragazza, “ ha bisogno della biancheria, un abito o magari un paio di pantaloni
con una maglia o un tailleur, accessori che si possano abbinare e magari anche
qualcosa per rinfrescare il trucco ? Se le interessa, all’ultimo piano abbiamo
un salone di bellezza … se volesse farsi la piega.”
La commessa sembrava ansiosa di
aiutarla. Forse non le capitava spesso di rimettere completamente a nuovo una
cliente.
“ Venga con me, cominciamo con
l’intimo,” e si diresse verso uno scaffale sul quale erano disposti in perfetto
ordine reggiseni e mutandine di tutti i colori. “ Che taglia porta? ” . Lei
trattenne il fiato.
“ Ehm… dipende. Cioè, la taglia
del reggiseno non è mai quella dello slip… e poi dipende anche dal modello..
però preferirei qualcosa di semplice”.
La commessa la scrutò con aria
esperta. “ Beh, direi una terza di reggiseno e una seconda di slip. Per il
collant, una 44 dovrebbe andarle perfetta. Ho un completino graziosissimo in
pizzo nero, con reggiseno a balconcino. E’ arrivato proprio stamattina. E’ la
nuova collezione di Cacharel. Lo vuole vedere ? ”
“Sì, grazie”.
Il completino era effettivamente
delizioso. Per un piccolo, prezioso momento si convinse di essere una persona
assolutamente normale che ammirava estasiata le mutandine che la ragazza le
aveva messo in mano.
“ Cosa ne pensa ? Io lo trovo
molto bello. E sicuramente è molto sexy. Credo che sia importante per una donna
essere sexy anche sotto un paio di jeans, no ? ”
“ Sono assolutamente d’accordo. E
credo che questo vada bene. Mi trova anche un paio di calze nere ? ”.
“ Certamente. Ha preferenze ?
Collant o autoreggenti ? ” chiese la commessa.
Se sapessi che non so neanche chi
sono… , pensò lei, figurati se so che cosa preferisco. Magari sono una
prostituta e porto solo reggicalze senza nient’altro… Si costrinse a
concentrarsi sulla risposta. “ Normali collant, direi. Sono più comode.”
“ Certo,” rispose la commessa, “
per le autoreggenti ci vuole una certa abitudine. Io non riesco proprio a
portarle. Le prendo il collant. Velato? ” .
“ Sì, velato andrà benissimo”.
La ragazza tornò con le calze. “
E ora pensiamo al pezzo forte. Cosa vuole indossare ? Siamo sul classico o sul
casual ? ” .
“ Vorrei qualcosa di molto
comodo. Sicuramente un paio di pantaloni e una maglia. E le scarpe devono
essere basse, ma non da ginnastica, qualcosa di più simile a un paio di
mocassini. Di pelle morbida. Poi vorrei provare anche un soprabito leggero,
qualcosa tipo uno spolverino, lungo. E la borsa … la vorrei grande,
possibilmente che si possa portare anche come zaino”.
“ Beh, sicuramente ha le idee
chiare” . La ragazza sorrise. “ Lei è una cliente meravigliosa. Se fossero
tutti come lei, il mio lavoro sarebbe molto più piacevole! Mi dica solo quali
colori aveva in mente”.
“ Mah … le scarpe e la borsa
nere. Anche i pantaloni e il soprabito. La maglia non so… non scura ma neanche
bianca, rosa o gialla”.
“ Misura di scarpe ? Direi un
trentasei, ho indovinato? ”
“ Lei è molto brava. Il trentasei
dovrebbe calzarmi perfettamente.”
“ Senta cosa facciamo, ” disse la
ragazza, “ ora l’accompagno a cambiarsi e lei si prova la biancheria. Intanto
vado a prenderle i capi che mancano e glieli porto. Cosa ne dice ? ”.
“ Va benissimo,” rispose lei
seguendola per il corridoio che portava ai camerini.
“ Ecco, guardi, la porta si può
anche chiudere a chiave. Credo che tornerò entro una decina di minuti e
busserò. A proposito, sono Lisa”.
“ Grazie, Lisa. Ora provo la
biancheria e l’aspetto”.
La ragazza si allontanò e lei si
chiuse a chiave nella stanzetta. Si tolse le scarpe e frugò nella tasca per
prendere i soldi e contarli. Sembravano tantissimi. Ma da dove venivano ? Dove
li aveva presi ? Appoggiò il mucchio di banconote sulla sedia del camerino e
cominciò a contarle. Non riusciva a credere ai suoi occhi. Tolti i cinquanta
euro che aveva usato per pagare il taxi e il resto della corsa, che mise da
parte, stava andando in giro con ventinovemilanovecentocinquanta euro. Quasi tutti
in biglietti da cinquecento. Una cifra spaventosa. Quasi sessanta milioni delle
vecchie lire. Forse aveva davvero rapinato una banca. Ucciso qualcuno. Mio Dio,
gemette dentro di sé, fai che non abbia ammazzato nessuno. Il panico era
talmente intenso che cominciò a tremare. Stai calma, calma, urlò mentalmente a
se stessa, tra poco la ragazza tornerà, non puoi farti trovare in questo stato.
Si fece una tremenda violenza per fermare il tremito delle mani e non vomitare
sulla moquette.
Si sfilò la giacca e la lasciò
cadere per terra. Divise i soldi in due
mucchietti e li infilò nelle scarpe, spingendoli in fondo, fino alla punta. Le
scarpe le nascose sotto la giacca. Solo a quel punto trovò il coraggio di
guardarsi allo specchio. La camicia era ancora imbrattata di sangue. Il sangue
non era scomparso per magia. Freneticamente si tolse la camicia strappando i
bottoni e l’avvolse come una palla. Non poteva più guardarla o sarebbe
impazzita. Scompari, sangue, pensò, ti prego, scompari. Si guardò per capire se
il sangue fosse suo, se forse si fosse ferita in qualche modo. No, non c’erano
ferite. Ma il colore del suo corpo, dal seno all’ombelico, le colpì gli occhi
con la forza di una bastonata. Era tutta un livido. Sfumature violacee,
verdognole, giallastre si estendevano su tutta la pelle. Uno spettacolo
orribile, terrorizzante, osceno. Che cosa mi hanno fatto ? Come mi è successo ?
Che cosa mi è successo ? Si accasciò sul pavimento
rannicchiandosi in posizione fetale, gemendo piano, troppo sconvolta per
piangere. Ce la fai, ce la puoi fare, pensò, ora ti rialzi e quando ti
sveglierai da questo incubo ti renderai conto che non è reale. Nulla di tutto
questo può essere reale. Sto vivendo un film. Un brutto film dell’orrore. Con
fatica si rialzò. La sconosciuta dagli occhi verdi piena di lividi la fissava
dallo specchio senza parole. Si sforzò di calmarsi, di concentrarsi
sull’insieme. Forse la concentrazione le avrebbe salvato la sanità mentale.
Si slacciò il reggiseno, si tolse
i pantaloni e si sfilò collant e mutandine. Ora era completamente nuda. E aveva
grossi lividi anche sulle cosce, sui fianchi, all’interno delle ginocchia.
Cercò di guardarsi la schiena girandosi su se stessa. Lividi anche sui glutei.
“ Mio Dio, mio Dio….” Era come se un
grosso camion le fosse passato sopra senza romperle le ossa.
Un lieve bussare alla porta la
riportò alla realtà.
“ Sono Lisa, le ho portato i
vestiti. E’ pronta ? Glieli posso passare ? ” chiese la commessa.
Lei girò la chiave nella
serratura e tenendosi completamente nascosta dietro la porta sporse un braccio.
La ragazza le passò un paio di pantaloni neri e una maglia di cotone verde
smeraldo. “ Le scarpe e la borsa li appoggio qui
fuori, va bene ? Anche il soprabito, è sul divanetto del corridoio. Quando è
pronta mi chiami. O per qualsiasi cosa abbia bisogno, sono a sua disposizione”
.
Sì, pensò lei, ho bisogno di
sapere chi diavolo sono e perchè sembro una sopravvissuta da un campo di
torture, ma non penso che tu possa darmi una risposta.
“ Va bene, Lisa, la ringrazio. Mi
lasci un po’ di tempo per vestirmi. La chiamo, ok ? ” rispose da dietro la
porta.
“ Ho pensato di staccarle i
cartellini dei prezzi e i bottoni antifurto… così se i vestiti le piacciono e
le vanno bene li può già indossare,”
disse ancora Lisa.
“ Grazie, lei è davvero molto
gentile. La chiamo tra un po ”.
Sentì i
passi di Lisa che si allontanavano nel corridoio. Trascinò dentro il camerino
la borsa e le scarpe. Non c’era più tempo per osservare la donna nuda e
sconosciuta riflessa nello specchio. Era ora di muoversi. Indossò la nuova
biancheria e infilò le calze. I capi che la ragazza le aveva portato erano
belli e le andavano bene. I pantaloni erano eleganti ma semplici, con un
risvolto sul fondo. Le sottolineavano i fianchi snelli e le lunghe gambe. Forse
erano un po’ larghi in vita, ma una cintura avrebbe risolto il problema. La
maglia era davvero perfetta per lei. Sembrava pensata per illuminare il verde
dei suoi occhi. Sono bella, pensò all’improvviso. Anzi, sei bella, sconosciuta
signora. Le veniva quasi da ridere, ma era sicura che non ci fosse nessun sano
motivo di ilarità. Anche le scarpe andavano bene. Eleganti ma semplici, di
morbida pelle nera, decolletè, leggermente a punta. Sembra quasi che le abbia
scelte io, riflettè, è uno stile che mi piace. Chissà se nella mia vita vera mi
vesto sempre così. Estrasse i soldi che aveva nascosto nella punta delle
vecchie scarpe. Infilò duemila euro nella tasca dei pantaloni nuovi, il resto lo
nascose dentro i vecchi abiti che arrotolò nella borsa.
Sospirò profondamente. Era pronta
per uscire e affrontare .. cosa ?
Sicuramente qualcosa di molto più orribile del classico ignoto. Quando uscì dal
camerino Lisa l’aspettava seduta sul divanetto.
Il sorriso che le rivolse era
davvero cordiale e sembrava sincero. “ Sta benissimo ! ” esclamò, “ questi
vestiti le donano davvero ! Le piacciono ? E’ soddisfatta ? ”. Lei guardò la
ragazza quasi con affetto.
“ Lisa, lei è stata davvero
fantastica e mi ha aiutata moltissimo. Cosa ne pensa di venire con me al
reparto cosmetici e darmi qualche consiglio ? ” chiese timidamente, sperando
che la ragazza non trovasse qualche scusa per rifiutare.
“ Ne sarei contentissima,
signora, ” rispose Lisa, “ avviso la mia
caporeparto e torno subito ”.
Lei si sedette sul divanetto ad
aspettare e guardò il suo nuovo soprabito. Anche quel capo le piaceva molto.
Era evidentemente costoso, di leggerissima pelle nappata, dal taglio dritto e
semplice ma estremamente elegante. Lo provò e si guardò nello specchio del
corridoio. Le arrivava a metà polpaccio. Perfetto. Peccato la faccia stralunata
e gli occhi spiritati.
Lisa tornò dopo pochi minuti e
l’accompagnò al piano terra, dove l’aiutò ad acquistare un correttore beige
della Rilastil, un fard color bronzo chiaro leggermente dorato, una matita
grigia per gli occhi, un mascara nero e un rossetto dal nome “ Corallo di
Fuoco” . Decise di comprare anche una trousse completa della Lierac che
conteneva il necessario da viaggio: detergente, tonico, un bagnoschiuma
profumato all’arancia e cannella e un deodorante.
Infine, decise per una cintura ed
un portafoglio di pelle nera, un foulard di seta di un verde leggermente più
chiaro della nuova maglia, un paio di occhiali da sole della Rayban con le
lenti scure e un orologio da polso con il cinturino di coccodrillo.
In fondo, pensò, i soldi sicuramente
non mi mancano.
Lisa sembrava una ragazzina al
parco giochi. Per un paio d’ore, la
donna che non sapeva chi fosse aveva avuto l’impressione di avere un’amica.
Terminata la scelta, Lisa
l’accompagnò alla cassa e consegnò tutti i cartellini degli acquisti
all’addetta. La guardò con simpatia e disse “ Ora devo tornare al mio reparto.
E’ stato un piacere servirla. Le auguro una magnifica serata. E torni presto a trovarci ! Io sono sempre di turno al secondo
piano ! ” e con un cenno di saluto della mano scappò via.
Lei si sentì improvvisamente più
sola e abbandonata che mai.
“ Come intende pagare ? ” chiese
la cassiera.
“ In contanti”.
“ Contanti ? Non ha una carta di
credito ? ” ribattè la donna scortesemente.
“ Perché, è vietato pagare in
contanti ? ”
“ Beh… no. Ma dato l’importo, non
è molto frequente. Comunque, non c’è problema.” Cominciò a battere le cifre
degli acquisti sul registratore di cassa.
“ Immagino non abbia neanche la
nostra fidaty card,” aggiunse.
“No, non l’ho con me,” rispose
lei seccamente.
“ Sono millenovecentosessantadue
euro,” disse infine.
Lei estrasse dalla tasca dei
pantaloni i duemila euro e li diede alla donna che li contò e le consegnò il
resto e lo scontrino. Lei si voltò e se ne andò senza salutarla.
Uscì sulla Galleria Vittorio
Emanuele e si sentì persa. Dove sarebbe andata ? Cosa avrebbe fatto ? E soprattutto, chi diavolo era ?
Era sicura che Milano facesse
parte della sua vita, in qualche modo. Da dove si trovava sapeva con certezza
come muoversi per la città, quali mezzi pubblici avrebbe potuto prendere e
quanto tempo ogni ipotetica destinazione avrebbe richiesto per essere raggiunta.
Certo, l’idea di avere una destinazione sarebbe stata la prima novità piacevole
di quella giornata. Da quante ore non mangiava ? Lo stomaco le lanciava
messaggi inequivocabili. Doveva assolutamente fermarsi, riposare e mettere
qualcosa sotto i denti. Poi, con lo stomaco pieno e, forse, la mente un po’
meno confusa, avrebbe deciso cosa fare. Non poteva vagare in eterno nella
speranza che accadesse un miracolo. Il miracolo di riavere la sua vita perduta.
Tornò al parcheggio dei taxi e si fece portare alla stazione delle Ferrovie
Nord di Cadorna. Al piano superiore sapeva che avrebbe potuto sedersi ad un
tavolino e ordinare qualcosa di dolce. Quindi, i dolci le piacevano. Forse era
una di quelle donne che vivevano perennemente a dieta sognando pasticcini e
torte di panna. In effetti, la caffetteria c’era, ed era esattamente come se
l’aspettava. O, forse, come la sua mente la ricordava. Non c’erano
clienti, a parte lei. Il suo nuovo orologio le diceva che erano le quattro del
pomeriggio. Ordinò un tè al limone, una macedonia e una porzione doppia di
torta al cioccolato e pere. Senza alcuna esitazione. Quante altre volte l’ho
già fatto ? pensò, forse lavoro da queste parti e frequento questo posto. Ma la
cameriera che la servì non diede alcun segno di averla riconosciuta. Sarebbe
rimasta per ore, ma aveva altro da fare.
Pagò il conto e scese al piano inferiore. Doveva occuparsi della borsa con la
camicia insanguinata e di tutti quei soldi. La sensazione di panico che l’aveva
immobilizzata per molte ore era quasi scomparsa. Ora sentiva di dover agire con
urgenza. Mettere in moto degli avvenimenti. Dare l’avvio a qualcosa che non
sapeva dove l’avrebbe portata, ma se non l’avesse fatto era certa che avrebbe
perso completamente la ragione. “ Nel dubbio,” si disse, “ agisci ”.
Si fermò davanti al box delle
cassette di sicurezza.
“ Scusi ”, chiamò rivolgendosi
all’addetto con la divisa della Safe Box, “ dovrei depositare un
bagaglio ma non so esattamente tra quanto tempo tornerò a prenderlo. Voi
fornite questo tipo di servizio ? ”.
“ Certamente ”, rispose l’uomo “
quanti colli ? ”
“ Solo uno. Una specie di
bagaglio a mano”.
“ Pensa di tornare entro una
settimana ? ” si informò l’impiegato.
“ No.. non credo di fare in
tempo.”
“ Bene, allora il deposito è di quaranta
euro. Le tariffe giornaliere sono esposte lì, dietro di lei. Quando tornerà per
il ritiro faremo i conti e le restituiremo l’eventuale differenza, oppure dovrà
pagare qualcosa di più ”, le spiegò l’uomo con aria molto professionale.
“ Va bene, posso depositare
subito ? ” chiese lei.
“ Venga con me, le mostro come
funziona”.
L’uomo uscì dal suo gabbiotto e
l’accompagnò all’interno di una sala che conteneva pareti di piccole cassette. Si
sedette ad una scrivania vuota per compilare la ricevuta del deposito e poi
prese due chiavi filiformi da un armadietto.
“ Funziona così ”, le spiegò, “
per aprire la cassetta ci vogliono due chiavi. Una è sua, l’altra invece la
conserviamo noi. Non deve assolutamente perderla o non potremo più recuperare
la sua roba, ok ? ”.
Lei infilò la nuova borsa piena
di sangue e soldi nello scomparto. Le tremavano un po’ le mani. Sperò che l’uomo non se ne accorgesse. Era
sicura che fossero addestrati a riconoscere qualsiasi situazione anomala, chissà,
magari terroristi nervosi che infilano bombe nelle cassette di sicurezza per
far esplodere la stazione o qualcosa di simile. Forse sotto la scrivania c’era
un bottone di emergenza collegato con la polizia. Forse dopo averle consegnato
la ricevuta e la sua copia delle chiavi quell’impiegato avrebbe premuto il
bottone e l’avrebbero bloccata all’uscita.
Beh, si disse, tanto meglio.
Ormai aveva deciso di andarci lei, alla polizia. Mentre rifletteva seduta al
tavolino della caffetteria era giunta alla conclusione che quella situazione
poteva anche durare all’infinito. Forse la memoria non le sarebbe tornata mai
più. E lei non poteva sopportare l’idea di vivere ancora in questo incubo.
Qualcuno doveva aiutarla. Anche se si fosse scoperto che era una ricercata, che
aveva ammazzato qualcuno, che era una pazza scappata da un manicomio, niente
poteva essere peggio di quello che aveva vissuto nelle ultime ore.
Ho bisogno di aiuto, pensò, ho
bisogno che qualcuno mi aiuti a ricordare chi sono. Una vocina dentro di lei
però le aveva suggerito che non sarebbe stato prudente presentarsi alle
autorità macchiata di sangue e piena di soldi di provenienza sconosciuta.
Appena
l’impiegato tornò nel gabbiotto, lei entrò nella toilette delle signore. Si
chiuse in uno dei bagni, si tolse il soprabito e la maglia e si slacciò il
reggiseno. Osservò le coppe. Erano di pizzo trasparente, ma lo strato di
tessuto era doppio. Con molta attenzione, usando la punta della chiave, ruppe
qualche punto di cucitura, appena il necessario perché il reggiseno non sembrasse
strappato ma abbastanza per inserire la piccola chiave all’interno. Buttò la
ricevuta del deposito nel water e tirò l’acqua.
Si
rivestì, si sciacquò le mani e i polsi sotto l’acqua fredda del lavandino
cercando di calmarsi il più possibile e poi, con una strana sensazione di
rassegnazione e di sollievo, uscì da quel bagno alla ricerca della propria
identità.
Davanti alla biglietteria del Malpensa
Express, tre carabinieri in divisa osservavano la folla di passeggeri che
affollava la banchina. Non le sembrava che incutessero paura. Erano giovani, e
stavano fumando chiacchierando tra loro. Più che effettuare un servizio di
controllo, sembrava che stessero godendosi qualche minuto di pausa.
Si avvicinò, un po’ titubante ma
decisa.
“ Scusate, ” la voce le tremava
un po’, “ avrei bisogno di aiuto.”
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