martedì 8 gennaio 2013

Capitolo 2


Non c’era un motivo preciso che l’aveva spinta a salire sul treno per Milano.
Forse perché era il primo treno in arrivo, o forse perché inconsciamente quella destinazione aveva un significato. Forse abitava lì o forse Milano conservava dei ricordi, anche se al momento non avrebbe potuto dire quali. Seduta sola accanto al finestrino, non voleva ancora pensare a cosa avrebbe fatto una volta arrivata. Certo non poteva andare in albergo, era chiaro che senza un documento d’identità non le avrebbero dato una camera, ma sicuramente nascondersi in una grande città era meglio che vagare smarrita e confusa per Stresa, dove prima o poi qualcuno si sarebbe allarmato e forse avrebbe avvisato la polizia che una pazza entrava nei negozi chiedendo a perfetti sconosciuti di ricordarle il suo nome. Nascondersi. Sì, alla fine era la conclusione più facile alla quale era arrivata. Non so chi sono, non so perché sono piena di soldi e soprattutto perché sono coperta di sangue,  pensò stancamente. E non ne posso più. Ma devo fare qualcosa o impazzirò del tutto.
 Osservò il paesaggio che scorreva veloce. Dopo la partenza, il treno si era fermato a Belgirate, poi a Lesa, e la prossima fermata annunciata era Meina. Si sorprese a pensare che lì si trovava la tomba di Cuccia, quella che qualche anno prima era diventata famosa per il rapimento del suo cadavere ad opera di due sbandati del luogo che avevano chiesto un riscatto. Le sembrava di ricordare che li avessero arrestati in pochissimo tempo. Quindi, seguiva i telegiornali o leggeva i quotidiani, insomma, era una donna che si teneva informata. Il lago brillava sotto i raggi del sole ed era lievemente increspato dal vento. In alcuni momenti sembrava blu come il mare. Chissà, forse andava spesso in vacanza e magari possedeva una villa in Sardegna. Se i suoi pensieri erano così precisi e avevano un senso, perché non ricordava il suo nome ? Chiuse gli occhi e si lasciò cullare dal movimento del treno. Aveva paura di addormentarsi, doveva rimanere vigile, ma la pesantezza di quella mattina delirante le piombò addosso come un macigno e quando si risvegliò all’improvviso erano già entrati nella stazione Centrale di Milano. Il cuore le batteva all’impazzata. Si era risvegliata e non ricordava niente di nuovo.
Scese dal treno e si guardò intorno. Sapeva esattamente dov’era, conosceva quel posto. Passò in mezzo alla folla, persone che si abbracciavano e si salutavano, scese le scale e si diresse al posteggio dei taxi. Dovette aspettare il suo turno dietro ad una giovane coppia e ad una famiglia stracarica di bagagli. Padre, madre e tre figli tra i cinque e i quindici anni. Tutti incredibilmente grassi, dal capo famiglia all’ultimo. Chissà cosa mangiano, pensò, hamburger e patatine fritte, e schifose merendine piene di grassi. Sentì il tassista della famiglia obesa sussurrare una bestemmia alla vista dei bagagli da caricare.
Finalmente toccò a lei salire sul taxi.
“ Dove la porto ? ” chiese l’autista.  Non l’aveva osservato in viso ma aveva una voce simpatica.
“ Piazza del Duomo, per favore,”  rispose lei.
L’auto partì. Lei frugò in tasca e con molta attenzione, tenendo i soldi nascosti tra le mani, cercò una banconota di taglio un po’ più piccolo dei cinquecento euro che avevano sconvolto la ragazza dell’edicola. Non aveva ancora intenzione di contarli, sicuramente non lì, ma appena vide spuntare un biglietto da cinquanta euro sospirò di sollievo e lo strinse nella mano. Tutto il resto scomparve nuovamente nella tasca della giacca.
“ E’ stata in vacanza ? ”  le domandò il tassista.
“ Prego ? ”  Si sentiva un’aliena giunta dallo spazio.
“ Torna da una vacanza ? O ha fatto un viaggio di lavoro? ” ripetè l’uomo.
Era tremendamente difficile sostenere una conversazione. Le stava tornando il panico.
“ Ehmm …. no, no. Sono dovuta andare ad un funerale. Mi scusi, sono molto stanca ”.
“ Certo, ” rispose lui, “ la capisco. I funerali buttano sempre giù. Quando è morta mia suocera, mia moglie non è riuscita ad andare al lavoro per quasi un mese. Poi, con il tempo uno se ne fa una ragione, non crede ? ”.
Lei non rispose. L’uomo smise di parlare e si limitò a guidare. Grazie, Dio, pensò lei, e fallo stare in silenzio per tutto il tragitto. Guardò fuori dal finestrino. Si stupì di riconoscere le vie. Decisamente, conosceva molto bene Milano. Sapeva con precisione dove si trovavano e quali vie avrebbero percorso dopo il prossimo semaforo, riconosceva le fermate dei tram e i negozi  davanti ai quali stavano passando. Arrivarono in Piazza del Duomo. “ Eccoci,” disse l’uomo e guardò il tassametro. “ Sono  ventiquattro euro e settanta. Ha bisogno una ricevuta ? ”
“ No, grazie, ” rispose lei. Pagò con la banconota da cinquanta euro e prese il resto senza lasciare la mancia. Non le piaceva lasciare la mancia ai tassisti. Chissà se prendeva spesso il taxi quando era a Milano. Ma quando era a Milano ? E perché non le piaceva lasciare la mancia ? Era abituata così da sempre o aveva avuto qualche brutta esperienza con un tassista ? Scese dalla macchina e attraversò la piazza. Come sempre, era gremita di persone e piccioni. Sì, pensò, conosco bene questo posto, e il Duomo mi è assolutamente familiare. Era diretta a La Rinascente, a pochi passi da lì. Entrò e la luce fortissima dei faretti sulle vetrine dei gioielli le ferì gli occhi. Coraggio, si disse, sai esattamente dove andare e cosa fare. Prese le scale mobili. Le ginocchia le tremavano. Arrivata al secondo piano, si diresse senza esitazioni verso l’assortimento di biancheria intima del reparto femminile. Osservò un po’ sconcertata l’incredibile quantità di capi esposti.
“ Posso aiutarla ? ” chiese una ragazza molto bella con il badge del reparto appuntato al gilet.
Lei sorrise. “ Sì, avrei veramente bisogno di un po’ d’aiuto”.
“ Cosa le serve ? Ha in mente qualcosa di particolare? ” chiese la ragazza. Aveva davvero uno splendido sorriso.
“ Avrei bisogno di rivestirmi da capo a piedi. Vede, mi hanno scippata stamattina e questa sera ho un appuntamento, ma non ho il tempo di tornare a casa. Per fortuna non mi hanno rubato i soldi”. Cercava di parlare in tono disinvolto e un po’ impaziente per il fastidioso contrattempo inventato al momento. Chissà, pensò, magari mi hanno scippata davvero e mi hanno anche dato una bella botta in testa, per questo non ho la più pallida idea di quale sia il mio nome.
“ Quindi…vediamo,” disse la ragazza, “ ha bisogno della biancheria, un abito o magari un paio di pantaloni con una maglia o un tailleur, accessori che si possano abbinare e magari anche qualcosa per rinfrescare il trucco ? Se le interessa, all’ultimo piano abbiamo un salone di bellezza … se volesse farsi la piega.”
La commessa sembrava ansiosa di aiutarla. Forse non le capitava spesso di rimettere completamente a nuovo una cliente.
“ Venga con me, cominciamo con l’intimo,” e si diresse verso uno scaffale sul quale erano disposti in perfetto ordine reggiseni e mutandine di tutti i colori. “ Che taglia porta? ” . Lei trattenne il fiato. 
“ Ehm… dipende. Cioè, la taglia del reggiseno non è mai quella dello slip… e poi dipende anche dal modello.. però preferirei qualcosa di semplice”.
La commessa la scrutò con aria esperta. “ Beh, direi una terza di reggiseno e una seconda di slip. Per il collant, una 44 dovrebbe andarle perfetta. Ho un completino graziosissimo in pizzo nero, con reggiseno a balconcino. E’ arrivato proprio stamattina. E’ la nuova collezione di Cacharel. Lo vuole vedere ? ”
“Sì, grazie”.
Il completino era effettivamente delizioso. Per un piccolo, prezioso momento si convinse di essere una persona assolutamente normale che ammirava estasiata le mutandine che la ragazza le aveva messo in mano.
“ Cosa ne pensa ? Io lo trovo molto bello. E sicuramente è molto sexy. Credo che sia importante per una donna essere sexy anche sotto un paio di jeans, no ? ”
“ Sono assolutamente d’accordo. E credo che questo vada bene. Mi trova anche un paio di calze nere ? ”.
“ Certamente. Ha preferenze ? Collant o autoreggenti ? ” chiese la commessa.
Se sapessi che non so neanche chi sono… , pensò lei, figurati se so che cosa preferisco. Magari sono una prostituta e porto solo reggicalze senza nient’altro… Si costrinse a concentrarsi sulla risposta. “ Normali collant, direi. Sono più comode.”
“ Certo,” rispose la commessa, “ per le autoreggenti ci vuole una certa abitudine. Io non riesco proprio a portarle. Le prendo il collant. Velato? ” .
“ Sì, velato andrà benissimo”.
La ragazza tornò con le calze. “ E ora pensiamo al pezzo forte. Cosa vuole indossare ? Siamo sul classico o sul casual ? ” .
“ Vorrei qualcosa di molto comodo. Sicuramente un paio di pantaloni e una maglia. E le scarpe devono essere basse, ma non da ginnastica, qualcosa di più simile a un paio di mocassini. Di pelle morbida. Poi vorrei provare anche un soprabito leggero, qualcosa tipo uno spolverino, lungo. E la borsa … la vorrei grande, possibilmente che si possa portare anche come zaino”.
“ Beh, sicuramente ha le idee chiare” . La ragazza sorrise. “ Lei è una cliente meravigliosa. Se fossero tutti come lei, il mio lavoro sarebbe molto più piacevole! Mi dica solo quali colori  aveva in mente”. 
“ Mah … le scarpe e la borsa nere. Anche i pantaloni e il soprabito. La maglia non so… non scura ma neanche bianca, rosa o gialla”.
“ Misura di scarpe ? Direi un trentasei, ho indovinato? ”
“ Lei è molto brava. Il trentasei dovrebbe calzarmi perfettamente.”
“ Senta cosa facciamo, ” disse la ragazza, “ ora l’accompagno a cambiarsi e lei si prova la biancheria. Intanto vado a prenderle i capi che mancano e glieli porto. Cosa ne dice ? ”.
“ Va benissimo,” rispose lei seguendola per il corridoio che portava ai camerini.
“ Ecco, guardi, la porta si può anche chiudere a chiave. Credo che tornerò entro una decina di minuti e busserò. A proposito, sono Lisa”.
“ Grazie, Lisa. Ora provo la biancheria e l’aspetto”.
La ragazza si allontanò e lei si chiuse a chiave nella stanzetta. Si tolse le scarpe e frugò nella tasca per prendere i soldi e contarli. Sembravano tantissimi. Ma da dove venivano ? Dove li aveva presi ? Appoggiò il mucchio di banconote sulla sedia del camerino e cominciò a contarle. Non riusciva a credere ai suoi occhi. Tolti i cinquanta euro che aveva usato per pagare il taxi e il resto della corsa, che mise da parte, stava andando in giro con ventinovemilanovecentocinquanta euro. Quasi tutti in biglietti da cinquecento. Una cifra spaventosa. Quasi sessanta milioni delle vecchie lire. Forse aveva davvero rapinato una banca. Ucciso qualcuno. Mio Dio, gemette dentro di sé, fai che non abbia ammazzato nessuno. Il panico era talmente intenso che cominciò a tremare. Stai calma, calma, urlò mentalmente a se stessa, tra poco la ragazza tornerà, non puoi farti trovare in questo stato. Si fece una tremenda violenza per fermare il tremito delle mani e non vomitare sulla moquette.
Si sfilò la giacca e la lasciò cadere per terra.  Divise i soldi in due mucchietti e li infilò nelle scarpe, spingendoli in fondo, fino alla punta. Le scarpe le nascose sotto la giacca. Solo a quel punto trovò il coraggio di guardarsi allo specchio. La camicia era ancora imbrattata di sangue. Il sangue non era scomparso per magia. Freneticamente si tolse la camicia strappando i bottoni e l’avvolse come una palla. Non poteva più guardarla o sarebbe impazzita. Scompari, sangue, pensò, ti prego, scompari. Si guardò per capire se il sangue fosse suo, se forse si fosse ferita in qualche modo. No, non c’erano ferite. Ma il colore del suo corpo, dal seno all’ombelico, le colpì gli occhi con la forza di una bastonata. Era tutta un livido. Sfumature violacee, verdognole, giallastre si estendevano su tutta la pelle. Uno spettacolo orribile, terrorizzante, osceno. Che cosa mi hanno fatto ? Come mi è successo ? Che cosa mi è successo ? Si accasciò sul pavimento rannicchiandosi in posizione fetale, gemendo piano, troppo sconvolta per piangere. Ce la fai, ce la puoi fare, pensò, ora ti rialzi e quando ti sveglierai da questo incubo ti renderai conto che non è reale. Nulla di tutto questo può essere reale. Sto vivendo un film. Un brutto film dell’orrore. Con fatica si rialzò. La sconosciuta dagli occhi verdi piena di lividi la fissava dallo specchio senza parole. Si sforzò di calmarsi, di concentrarsi sull’insieme. Forse la concentrazione le avrebbe salvato la sanità mentale.
Si slacciò il reggiseno, si tolse i pantaloni e si sfilò collant e mutandine. Ora era completamente nuda. E aveva grossi lividi anche sulle cosce, sui fianchi, all’interno delle ginocchia. Cercò di guardarsi la schiena girandosi su se stessa. Lividi anche sui glutei. “ Mio Dio, mio Dio….”  Era come se un grosso camion le fosse passato sopra senza romperle le ossa.
Un lieve bussare alla porta la riportò alla realtà.
“ Sono Lisa, le ho portato i vestiti. E’ pronta ? Glieli posso passare ? ” chiese la commessa.
Lei girò la chiave nella serratura e tenendosi completamente nascosta dietro la porta sporse un braccio. La ragazza le passò un paio di pantaloni neri e una maglia di cotone verde smeraldo.      “ Le scarpe e la borsa li appoggio qui fuori, va bene ? Anche il soprabito, è sul divanetto del corridoio. Quando è pronta mi chiami. O per qualsiasi cosa abbia bisogno, sono a sua disposizione” .
Sì, pensò lei, ho bisogno di sapere chi diavolo sono e perchè sembro una sopravvissuta da un campo di torture, ma non penso che tu possa darmi una risposta.
“ Va bene, Lisa, la ringrazio. Mi lasci un po’ di tempo per vestirmi. La chiamo, ok ? ” rispose da dietro la porta.
“ Ho pensato di staccarle i cartellini dei prezzi e i bottoni antifurto… così se i vestiti le piacciono e le vanno bene li può già indossare,”  disse ancora Lisa.
“ Grazie, lei è davvero molto gentile. La chiamo tra un po ”.
Sentì i passi di Lisa che si allontanavano nel corridoio. Trascinò dentro il camerino la borsa e le scarpe. Non c’era più tempo per osservare la donna nuda e sconosciuta riflessa nello specchio. Era ora di muoversi. Indossò la nuova biancheria e infilò le calze. I capi che la ragazza le aveva portato erano belli e le andavano bene. I pantaloni erano eleganti ma semplici, con un risvolto sul fondo. Le sottolineavano i fianchi snelli e le lunghe gambe. Forse erano un po’ larghi in vita, ma una cintura avrebbe risolto il problema. La maglia era davvero perfetta per lei. Sembrava pensata per illuminare il verde dei suoi occhi. Sono bella, pensò all’improvviso. Anzi, sei bella, sconosciuta signora. Le veniva quasi da ridere, ma era sicura che non ci fosse nessun sano motivo di ilarità. Anche le scarpe andavano bene. Eleganti ma semplici, di morbida pelle nera, decolletè, leggermente a punta. Sembra quasi che le abbia scelte io, riflettè, è uno stile che mi piace. Chissà se nella mia vita vera mi vesto sempre così. Estrasse i soldi che aveva nascosto nella punta delle vecchie scarpe. Infilò duemila euro nella tasca dei pantaloni nuovi, il resto lo nascose dentro i vecchi abiti che arrotolò nella borsa.
Sospirò profondamente. Era pronta per uscire e affrontare ..   cosa ? Sicuramente qualcosa di molto più orribile del classico ignoto. Quando uscì dal camerino Lisa l’aspettava seduta sul divanetto.
Il sorriso che le rivolse era davvero cordiale e sembrava sincero. “ Sta benissimo ! ” esclamò, “ questi vestiti le donano davvero ! Le piacciono ? E’ soddisfatta ? ”. Lei guardò la ragazza quasi con affetto.
“ Lisa, lei è stata davvero fantastica e mi ha aiutata moltissimo. Cosa ne pensa di venire con me al reparto cosmetici e darmi qualche consiglio ? ” chiese timidamente, sperando che la ragazza non trovasse qualche scusa per rifiutare.
“ Ne sarei contentissima, signora, ”  rispose Lisa, “ avviso la mia caporeparto e torno subito ”.
Lei si sedette sul divanetto ad aspettare e guardò il suo nuovo soprabito. Anche quel capo le piaceva molto. Era evidentemente costoso, di leggerissima pelle nappata, dal taglio dritto e semplice ma estremamente elegante. Lo provò e si guardò nello specchio del corridoio. Le arrivava a metà polpaccio. Perfetto. Peccato la faccia stralunata e gli occhi spiritati.
Lisa tornò dopo pochi minuti e l’accompagnò al piano terra, dove l’aiutò ad acquistare un correttore beige della Rilastil, un fard color bronzo chiaro leggermente dorato, una matita grigia per gli occhi, un mascara nero e un rossetto dal nome “ Corallo di Fuoco” . Decise di comprare anche una trousse completa della Lierac che conteneva il necessario da viaggio: detergente, tonico, un bagnoschiuma profumato all’arancia e cannella e un deodorante.
Infine, decise per una cintura ed un portafoglio di pelle nera, un foulard di seta di un verde leggermente più chiaro della nuova maglia, un paio di occhiali da sole della Rayban con le lenti scure e un orologio da polso con il cinturino di coccodrillo. 
In fondo, pensò, i soldi sicuramente non mi mancano.               
Lisa sembrava una ragazzina al parco giochi.  Per un paio d’ore, la donna che non sapeva chi fosse aveva avuto l’impressione di avere un’amica.
Terminata la scelta, Lisa l’accompagnò alla cassa e consegnò tutti i cartellini degli acquisti all’addetta. La guardò con simpatia e disse “ Ora devo tornare al mio reparto. E’ stato un piacere servirla. Le auguro una magnifica serata. E torni presto a  trovarci ! Io sono sempre di turno al secondo piano ! ” e con un cenno di saluto della mano scappò via.
Lei si sentì improvvisamente più sola e abbandonata che mai.
“ Come intende pagare ? ” chiese la cassiera.
“ In contanti”.
“ Contanti ? Non ha una carta di credito ? ” ribattè la donna scortesemente.
“ Perché, è vietato pagare in contanti ? ”
“ Beh… no. Ma dato l’importo, non è molto frequente. Comunque, non c’è problema.” Cominciò a battere le cifre degli acquisti sul registratore di cassa.
“ Immagino non abbia neanche la nostra fidaty card,” aggiunse.
“No, non l’ho con me,” rispose lei seccamente.
“ Sono millenovecentosessantadue euro,”  disse infine.
Lei estrasse dalla tasca dei pantaloni i duemila euro e li diede alla donna che li contò e le consegnò il resto e lo scontrino. Lei si voltò e se ne andò senza salutarla.
Uscì sulla Galleria Vittorio Emanuele e si sentì persa. Dove sarebbe andata ? Cosa avrebbe fatto ?  E soprattutto, chi diavolo era ?

Era sicura che Milano facesse parte della sua vita, in qualche modo. Da dove si trovava sapeva con certezza come muoversi per la città, quali mezzi pubblici avrebbe potuto prendere e quanto tempo ogni ipotetica destinazione avrebbe richiesto per essere raggiunta. Certo, l’idea di avere una destinazione sarebbe stata la prima novità piacevole di quella giornata. Da quante ore non mangiava ? Lo stomaco le lanciava messaggi inequivocabili. Doveva assolutamente fermarsi, riposare e mettere qualcosa sotto i denti. Poi, con lo stomaco pieno e, forse, la mente un po’ meno confusa, avrebbe deciso cosa fare. Non poteva vagare in eterno nella speranza che accadesse un miracolo. Il miracolo di riavere la sua vita perduta. Tornò al parcheggio dei taxi e si fece portare alla stazione delle Ferrovie Nord di Cadorna. Al piano superiore sapeva che avrebbe potuto sedersi ad un tavolino e ordinare qualcosa di dolce. Quindi, i dolci le piacevano. Forse era una di quelle donne che vivevano perennemente a dieta sognando pasticcini e torte di panna. In effetti, la caffetteria c’era, ed era esattamente come se l’aspettava. O, forse, come la sua mente la ricordava. Non c’erano clienti, a parte lei. Il suo nuovo orologio le diceva che erano le quattro del pomeriggio. Ordinò un tè al limone, una macedonia e una porzione doppia di torta al cioccolato e pere. Senza alcuna esitazione. Quante altre volte l’ho già fatto ? pensò, forse lavoro da queste parti e frequento questo posto. Ma la cameriera che la servì non diede alcun segno di averla riconosciuta. Sarebbe rimasta per ore,  ma aveva altro da fare. Pagò il conto e scese al piano inferiore. Doveva occuparsi della borsa con la camicia insanguinata e di tutti quei soldi. La sensazione di panico che l’aveva immobilizzata per molte ore era quasi scomparsa. Ora sentiva di dover agire con urgenza. Mettere in moto degli avvenimenti. Dare l’avvio a qualcosa che non sapeva dove l’avrebbe portata, ma se non l’avesse fatto era certa che avrebbe perso completamente la ragione. “ Nel dubbio,” si disse, “ agisci ”.
Si fermò davanti al box delle cassette di sicurezza.
“ Scusi ”, chiamò rivolgendosi all’addetto con la divisa della Safe Box, “ dovrei depositare un bagaglio ma non so esattamente tra quanto tempo tornerò a prenderlo. Voi fornite questo tipo di servizio ? ”.
“ Certamente ”, rispose l’uomo “ quanti colli ? ”
“ Solo uno. Una specie di bagaglio a mano”.
“ Pensa di tornare entro una settimana ? ” si informò l’impiegato.
“ No.. non credo di fare in tempo.”
“ Bene, allora il deposito è di quaranta euro. Le tariffe giornaliere sono esposte lì, dietro di lei. Quando tornerà per il ritiro faremo i conti e le restituiremo l’eventuale differenza, oppure dovrà pagare qualcosa di più ”, le spiegò l’uomo con aria molto professionale.
“ Va bene, posso depositare subito ? ” chiese lei.
“ Venga con me, le mostro come funziona”.
L’uomo uscì dal suo gabbiotto e l’accompagnò all’interno di una sala che conteneva pareti di piccole cassette. Si sedette ad una scrivania vuota per compilare la ricevuta del deposito e poi prese due chiavi filiformi da un armadietto. 
“ Funziona così ”, le spiegò, “ per aprire la cassetta ci vogliono due chiavi. Una è sua, l’altra invece la conserviamo noi. Non deve assolutamente perderla o non potremo più recuperare la sua roba, ok ? ”.
Lei infilò la nuova borsa piena di sangue e soldi nello scomparto. Le tremavano un po’ le mani.  Sperò che l’uomo non se ne accorgesse. Era sicura che fossero addestrati a riconoscere qualsiasi situazione anomala, chissà, magari terroristi nervosi che infilano bombe nelle cassette di sicurezza per far esplodere la stazione o qualcosa di simile. Forse sotto la scrivania c’era un bottone di emergenza collegato con la polizia. Forse dopo averle consegnato la ricevuta e la sua copia delle chiavi quell’impiegato avrebbe premuto il bottone e l’avrebbero bloccata all’uscita.
Beh, si disse, tanto meglio. Ormai aveva deciso di andarci lei, alla polizia. Mentre rifletteva seduta al tavolino della caffetteria era giunta alla conclusione che quella situazione poteva anche durare all’infinito. Forse la memoria non le sarebbe tornata mai più. E lei non poteva sopportare l’idea di vivere ancora in questo incubo. Qualcuno doveva aiutarla. Anche se si fosse scoperto che era una ricercata, che aveva ammazzato qualcuno, che era una pazza scappata da un manicomio, niente poteva essere peggio di quello che aveva vissuto nelle ultime ore.
Ho bisogno di aiuto, pensò, ho bisogno che qualcuno mi aiuti a ricordare chi sono. Una vocina dentro di lei però le aveva suggerito che non sarebbe stato prudente presentarsi alle autorità macchiata di sangue e piena di soldi di provenienza sconosciuta.
Appena l’impiegato tornò nel gabbiotto, lei entrò nella toilette delle signore. Si chiuse in uno dei bagni, si tolse il soprabito e la maglia e si slacciò il reggiseno. Osservò le coppe. Erano di pizzo trasparente, ma lo strato di tessuto era doppio. Con molta attenzione, usando la punta della chiave, ruppe qualche punto di cucitura, appena il necessario perché il reggiseno non sembrasse strappato ma abbastanza per inserire la piccola chiave all’interno. Buttò la ricevuta del deposito nel water e tirò l’acqua.
Si rivestì, si sciacquò le mani e i polsi sotto l’acqua fredda del lavandino cercando di calmarsi il più possibile e poi, con una strana sensazione di rassegnazione e di sollievo, uscì da quel bagno alla ricerca della propria identità.
Davanti alla biglietteria del Malpensa Express, tre carabinieri in divisa osservavano la folla di passeggeri che affollava la banchina. Non le sembrava che incutessero paura. Erano giovani, e stavano fumando chiacchierando tra loro. Più che effettuare un servizio di controllo, sembrava che stessero godendosi qualche minuto di pausa.
Si avvicinò, un po’ titubante ma decisa.
“ Scusate, ” la voce le tremava un po’, “ avrei bisogno di aiuto.”

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