sabato 12 gennaio 2013

Capitolo 6


Attraversarono la città e presero l’autostrada dei Laghi. Essendo un mercoledì feriale non c’era molto traffico. Giulia si sentiva come se stesse per iniziare una vita nuova. Si accorse che lui la osservava con espressione perplessa. “ Cosa c’è ? Perché mi guardì così ? ”, domandò un po’ tesa.
“ No, niente.”
“ Non è vero. Mi osservi in modo strano.”
Lui si concentrò sulla guida per qualche minuto. “Stavo solo pensando a una cosa buffa … se tutto fosse come prima, tu ti saresti già addormentata al casello.”
“ Addormentata ? ”
“ Sì, era una specie di rito e lo facevi sempre. Dopo dieci minuti di viaggio io ti chiedevo scherzando come mai non stessi ancora dormendo, e tu rispondevi che ti sembrava brutto addormentarti mentre io guidavo. Poi mi chiedevi di ascoltare la seconda canzone del CD di Anastasia. Alla fine della canzone dicevi sembra la stessa cosa:“ Cesare, ti dispiace se chiudo gli occhi per cinque minuti ? ” e … trenta secondi dopo stavi già russando.”
“ Non ci credo ! ” esclamò lei.
“ Te lo giuro. Non abbiamo mai fatto un viaggio in macchina parlando di qualcosa. Evidentemente, viaggiare ti rilassa molto. Comunque, non ti preoccupare. Non mi ha mai dato fastidio.”
“ Beh, questa volta ti deluderò. Posso chiederti qualcos’altro ? ”
“ Tutto quello che vuoi.”
“ Raccontami di te.”
Lui rise. “ Cosa vuoi sapere ? ”
“ Tutto. ”
Lui riflettè un attimo mentre lei lo osservava. Aveva un bellissimo profilo.
“ Allora, vediamo. Sono nato a Ferrara. La famiglia di mia madre è originaria di Cattolica, e ho vissuto lì fino ai dodici anni. Poi ci siamo trasferiti a Milano perché mio padre aveva trovato lavoro alle Ferrovie. Sono queste le cose che ti interessano ? ”
“ Sì. Mi hai detto che sei figlio unico.”
“ Esatto. A tredici anni vivevo praticamente da solo. Mia madre lavorava in albergo e nel resto del tempo faceva piccoli lavori di sartoria, quindi non c’era mai. Anche mio padre usciva la mattina presto e tornava tardissimo, così ho imparato in fretta a prepararmi i pasti e ad organizzarmi la giornata. La mattina andavo a scuola, il pomeriggio all’oratorio a giocare a basket. Tutto sommato, non stavo male.”
“ I tuoi genitori com’erano ? ”
“ Mio padre era una persona meravigliosa. Non ho mai capito come potesse sopportare mia madre.  Lei ha un carattere molto difficile e non va d’accordo praticamente con nessuno.”
“ Neanche con me ? ”
“ Di te è sempre stata molto gelosa. Poco dopo il nostro matrimonio abbiamo quasi interrotto i rapporti. Mio padre era morto un anno prima che noi ci sposassimo, e mi è sempre dispiaciuto molto che tu non abbia potuto conoscerlo. Ti avrebbe adorata. E anche a te sarebbe piaciuto molto. Io e mio padre avevamo lo stesso carattere. Comunque, quando ho cominciato l’università loro sono tornati a vivere a Cattolica e io sono rimasto a Milano. Mi sono iscritto a Giurisprudenza in Statale. Ai miei tempi la laurea era ancora quadriennale. Ho interrotto gli studi al terzo anno per il servizio di leva e li ho ripresi dopo il congedo. Sono sempre stato appassionato di diritto penale e criminologia. Ho fatto pratica in uno studio legale per due anni e poi ho passato l’esame di Stato e sono diventato avvocato. Ho aperto un mio studio con un compagno di università, Alberto, e dopo qualche anno di stenti, sai … difese d’ufficio e piccoli reati,  le cose sono cominciate ad andare molto bene. Ci siamo ingranditi e finalmente abbiamo cominciato a guadagnare bene. Ci occupiamo prevalentemente di reati finanziari.”
“ Quindi non difendi gli assassini ? ”
“ Mi è capitato. Ma in linea di massima no. Sai, è quasi divertente parlarti di queste cose. Erano anni che nessuno era così interessato alla mia vita. E’ come se ricominciassimo a conoscerci dall’inizio. Una specie di primo appuntamento.”
“ Come ci siamo conosciuti ? ”
“ Avevamo un’amica in comune. Lei pensava che noi fossimo fatti l’uno per l’altra e ha organizzato una cena a tre per farci incontrare. ”
“ Ci siamo piaciuti subito ? ” chiese lei incuriosita.
“ E’ stato un colpo di fulmine. Una settimana dopo tu mi hai invitato a cena a casa tua e praticamente… non me ne sono più andato ! ”
“ Stai scherzando ? ” ribattè lei incredula.
“ Assolutamente no. Quando ripenso a quella sera, ti vedo ancora in cima alle scale mentre mi porgi un calice di vino rosso. Ricordo di aver pensato che eri la donna più fantastica che mi fosse mai capitato di incontrare.”
Lei avrebbe voluto chiedergli se avevano fatto l’amore già quella sera, ma non se la sentì di addentrarsi in un argomento così intimo.
Si appoggiò comodamente al sedile, cullata dal tono caldo della sua voce.
“ Sai, è stato un inizio davvero magico. Con te era tutto facile. Ci piacevano le stesse cose. Se entravamo in una libreria e ci separavamo tra gli scaffali, ci ritrovavamo alla cassa con gli stessi  libri ! E questo valeva anche per la musica, le destinazioni dei viaggi, i ristoranti…. siamo molto simili. A proposito, entrambi abbiamo una passione per i romanzi storici, anche se tu sei particolarmente affascinata dall’età tudoriana. Credo che nel tuo studio ci siano una decina di biografie su Anna Bolena. ”
“ Abbiamo una canzone ? ”
“ Sì, ma non è proprio una canzone. E’ un pezzo di musica classica. L’abbiamo fatta suonare anche al nostro matrimonio. L’Adagio per archi di Barber. La colonna sonora di Platoon”.
“ Siamo andati a vivere insieme ? ”
“ Sì, subito. Ma ci siamo sposati quattro mesi dopo. Per entrambi è stato il primo matrimonio.”
“ E per sette anni abbiamo vissuto felici e contenti.”
“ Credo proprio di sì”. Mentre lo diceva, lei sentì emozione nella sua voce. Lui le prese la mano ma  si ritrasse sentendo la sua improvvisa rigidità.
“ Scusami, ” sussurrò “ non voglio farti fretta.”
“ Lo so. Vorrei tanto ricordare.”
Rimasero in silenzio per un po’. Lei guardava le macchine che arrivavano dalla direzione opposta.
“ Cos’altro puoi dirmi di me ? ” chiese lei riprendendo la conversazione.
“ Beh, hai molti interessi. Oltre al tuo lavoro, ti piace andare a correre e pratichi lo yoga, ma non frequenti nessun corso. L’hai imparato da sola e fai qualche esercizio tutte le mattine. Due pomeriggi alla settimana fai la volontaria per la biblioteca pubblica di Baveno. E il sabato pomeriggio passi il tuo tempo al pronto soccorso di Verbania, all’accettazione. Sei sempre disponibile a dare una mano.”
Lei pensò alla camicia insanguinata. Forse questa poteva essere una spiegazione. Forse aveva assistito ad un incidente e cercando di aiutare qualcuno si era sporcata. Sì, e aveva anche derubato il ferito di trentamila euro. Scacciò con forza il pensiero.
“ E quando siamo insieme cosa facciamo ? ” 
“ A dire la verità, non abbiamo una vita sociale frenetica. Ci piace molto passare il tempo insieme in casa, ascoltando musica o leggendo. Qualche volta giochiamo a golf. Non viaggiamo molto a causa dei miei impegni, però abbiamo tanti amici e ci frequentiamo ogni volta che ne abbiamo l’occasione.”
“ Dove siamo andati in luna di miele ? ”
“ In Africa. Abbiamo viaggiato per un mese in Sudafrica. Un viaggio da sogno. Le prime due settimane abbiamo girato come dei pazzi per parchi tra elefanti e leoni, ma gli ultimi quindici giorni li abbiamo dedicati solo a Cape Town e all’abbronzatura.”
Lei immaginò una bianca spiaggia sotto il sole e il colore dell’oceano. Loro due abbracciati sotto un ombrellone di paglia. Nuotare insieme e baciarsi tra le onde. E più tardi cenare davanti a un tramonto africano, bevendo vino imboccandosi a vicenda. Corpi sudati e intrecciati in un bungalow, le sue mani sul petto di lui, la bocca di lui sul suo seno…
“ Stai bene ? ” chiese lui, “ sei diventata improvvisamente silenziosa.”
“Sì, grazie” rispose lei chiudendo gli occhi e cancellando la scena immaginata nel bungalow. Chissà se anche a letto erano quella coppia fantastica che lui le aveva raccontato. Si accorse che avevano lasciato l’autostrada e imboccato un’uscita laterale. Dal finestrino vedeva le luci sul lago. Era uno spettacolo mozzafiato.
“ Non manca molto. Siamo quasi arrivati.”
Lei si costrinse a sorridere. Il cuore le batteva all’impazzata. Sentiva lo stomaco rivoltarsi per l’ansia ed ebbe paura di sentirsi male. L’attacco di panico passò quasi subito, ma si sentiva ancora spaventata.
“ Parlami degli amici che frequentiamo”, chiese con la voce un po’ tremante.
“ Allora, ci sono il mio socio Alberto e sua moglie Laura. Ceniamo spesso insieme e tu e Laura vi incontrate anche durante la settimana. Poi Carlo e Fabrizia. Lui è un chirurgo plastico, con loro andiamo soprattutto a giocare a golf. Poi ci sono Cristina e Paolo, hanno un ristorante nel centro di Stresa. Frequentiamo anche altre coppie, ma questi sono quelli che consideriamo gli amici intimi.”
“ Non abbiamo amicizie separate ? ”
“ Qualcuna. Io gioco a tennis con altri avvocati, tu sei molto amica di Cristina, la moglie di Paolo, e di una dottoressa del pronto soccorso che si chiama Emanuela. Inoltre, il tuo editore è anche un tuo vecchio amico. Si chiama Luca Fossati. Questi nomi ti dicono qualcosa ? ”
“ No, niente. Mi dispiace.”
“ Prendiamo una scorciatoia panoramica. ”
Le indicò il cartello che segnalava la frazione di Carciano. Passarono davanti ad una chiesa in stile neogotico e costeggiarono un piccolo torrente.
“ Questo paesaggio ti ricorda qualcosa ? ”
Lei immaginò di riconoscere le ville e sperò in ricordi di allegri barbecue nei giardini, ma non c’era nulla che le fosse anche lontanamente familiare. Scosse la testa sconsolata. Sicuramente, non avrebbe riconosciuto neanche la loro casa.
“ Eccoci, qui comincia il nostro vialetto privato”. E azionò un telecomando. Un grande cancello in ferro battuto si aprì. Percorsero una stradina in pietra bordata da alberi di magnolie.
Non era assolutamente preparata a ciò che ora si offriva al suo sguardo. Non era una casa, ma una grande villa in mattoni rossi, lunga circa venti metri e composta di tre piani. Era elegante e sontuosa. Le lunghe e aggraziate finestre del primo piano erano illuminate. Fissò la casa mentre la macchina avanzava lentamente, cercando di assorbirne tutti i particolari. Lui fermò la macchina davanti a dei larghi gradini in pietra. La porta d’entrata era di legno massiccio. Ovunque grandi vasi in coccio di rododendri e azalee erano disposti lungo il porticato.
Lui scese e si precipitò ad aprire lo sportello della Mercedes dalla parte di Giulia. Lei scese con le gambe un po’ tremanti.
“ Ti piace ? ”
“ Se mi piace ? Mio Dio, è stupenda ! ”
Sembrava davvero una villa da sogno. E allora perché aveva scelto di scappare ? Perché la fuga isterica ? Cosa poteva aver provocato l’abbandono volontario di quel posto da fiaba ? Poco distante era parcheggiata un’altra macchina, un’Alfa 156 nera.
“ Quella macchina è mia ? ” chiese.
“ Sì, non sono mai riuscito a convincerti a posteggiarla nel garage.”
Quindi la sua macchina era salva. Non le era stata rubata e non l’aveva abbandonata chissà dove. Lui prese dalla tasca un mazzo di chiavi e la guardò. Lei si sentì atterrita.
“ Hai paura ? ”
“ Da morire.”
“ Non devi averne. Anche se non riconoscerai nulla, io sono qui e ti aiuterò. Se vuoi possiamo stare seduti qui fuori per un po’ a guardare le stelle.”
Lei deglutì con forza. “ No, voglio entrare.”
Lui le prese la mano e lei gliela strinse.
Aprì la porta ed entrarono insieme. Si sentiva quasi emozionata, come se stesse vivendo l’inizio di un’avventura. Nell’atrio c’era un lucidissimo pavimento di parquet, i muri erano dipinti di un tenue color giallo e le pareti tappezzate di quadri dalle tinte vivaci. Rossi, gialli, arancioni. Era uno spazio incredibilmente solare. Un grande lampadario centrale in cristallo pendeva dal soffitto bianco. Una scala con la balaustra di legno riccamente intagliata portava ai piani superiori. Si fece coraggio e mosse qualche passo all’interno. L’inizio di questa nuova vita sembrava luminoso e accogliente. Alla sua destra intravide un salotto dalle vetrate immense. Sempre tenendola per mano, lui la guidò nella stanza. Era molto grande, con il pavimento in cotto in una calda tonalità rosso scuro e tende bianche alle finestre. Due intere pareti erano occupate da una serie di comodi divani e poltrone di pelle nera davanti ai quali erano disposti con elegante casualità tre tavoli bassi in cristallo. Dietro ai divani, agli angoli delle pareti, due alte piantane di ottone illuminavano la stanza di  luce  morbida e soffusa. La terza parete era quella delle immense vetrate, e tra l’una e l’altra erano appoggiate al pavimento statue in legno di artigianato chiaramente africano e un tavolino etnico sul quale erano appoggiati un telefono e una segreteria telefonica. “ E’ una stanza bellissima”, commentò, chiedendosi se avessero acquistato le statue durante il loro viaggio di nozze. C’era anche un caminetto in pietra e, accanto, una scaffalatura in legno sosteneva un impressionante impianto stereo, centinaia di cd disposti in perfetto ordine e un televisore enorme a schermo piatto. Anche i dvd erano ordinati con la massima precisione. Altri scaffali sulla parete sostenevano file di libri. Non c’era il minimo segno di disordine, nessun volume inclinato o appoggiato sopra gli altri. Erano tutti perfettamente allineati.
“ Questa è la stanza nella quale preferiamo vivere quando siamo soli. Accendiamo il caminetto e beviamo qualcosa ascoltando musica, guardando un film o leggendo un libro. Amiamo molto passare qui il nostro tempo.”  le spiegò lui. Lei immaginò di essere sdraiata sul divano, il fuoco scoppiettante, le note di Chopin nell’aria … forse su quel divano facevano anche l’amore. Sul ripiano del caminetto c’erano altre deliziose statuine in legno. Non vide nessuna foto, neanche sugli scaffali e sui tavolini.
“ Vieni,” disse lui, “ andiamo a vedere il resto della casa ”.
Tenendola ancora per mano, la guidò fuori dal salotto. Attraversarono nuovamente l’atrio ed entrarono in una grande camera da pranzo. Anche lì il pavimento era in cotto, e in mezzo alla stanza c’era un lungo tavolo per dodici che sembrava antico. Sull’alto schienale delle sedie era intagliato un magnifico fregio a forma di esagono.
Anche qui un caminetto, piantane in ottone e grandi vetrate. Le tende erano di velluto color prugna. Alle pareti, grandi quadri rappresentavano scene di vita di squisita bellezza. Pescatori al tramonto, temporale sul lago, un chiosco di fiori e una donna seduta su un gradino di pietra. Non vide nessuna fotografia.
Dalla sala da pranzo si accedeva alla cucina. Era enorme e modernissima. Una parete era tutta una vetrata. Sul pavimento  piastrelle bianche e gialle; tendine di un giallo più scuro alle piccole finestre che si aprivano sul giardino. Un tavolo rotondo con due sedie e pareti bianche. Sulle piastrelle sopra il doppio lavandino in acciaio erano dipinti minuscoli fiorellini in colori vivaci.  Non mancava niente. Un frigorifero enorme occupava quasi tutta una parete e su scaffali in legno rosso ciliegia c’erano decine di contenitori in vetro pieni di pasta, spezie, frutta secca, castagne. Un grande armadio in legno conteneva probabilmente utensili, pentole e moderni elettrodomestici. C’erano anche molte piantine appoggiate ai bordi delle finestre. Basilico, rosmarino e timo che profumavano l’ambiente. Dalla portafinestra uscirono su un piccolo porticato pieno di fiori. C’erano grandi vasi di coccio nei quali erano interrate ortensie, azalee, margherite, violette, gerani e primule colorate.
Si sedettero insieme su un dondolo in vimini, uguale ai piccoli tavolini rotondi che sostenevano altre piante fiorite.
“ Immagino che tu sia molto stanca. ” disse lui.
“ Sono sfinita…. di stanchezza e di emozioni”. rispose lei.
“ Vedrai, presto tutto tornerà come prima. Sono sicuro che ti tornerà la memoria. Ma non voglio che ti sforzi. Forse passerà un po’ di tempo, ma quello non ci manca.”
“ Il dottor Zannini ha detto che potrebbe succedere subito, all’improvviso, ma potrebbero volerci anche dei mesi. A te ha detto qualcosa ? ”
“ La stessa cosa. Potrebbero essere ore, giorni o settimane.”
“… o mesi.” aggiunse lei con tono sommesso.
“ Penso che succederà quando sarà il momento giusto.” cercò di consolarla.
“ Ma cosa pensi sia successo ? “ chiese cominciando a parlare con voce agitata. “ Voglio dire, sono una scrittrice di successo, ho un marito affettuoso, un sacco di amici e una bellissima casa.   Ho tanti interessi e vivo in un posto meraviglioso. Perché mi sono dimenticata di tutto questo all’improvviso ? Che cosa può essermi successo di tanto grave da spingermi ad abbandonare tutto ? ”
Lui chiuse gli occhi e si massaggiò stancamente la fronte. Sembrava riflettere, o forse stava cercando di capire quanto lei fosse emotivamente in grado di continuare a sostenere quella conversazione.
“ Che cosa stai pensando ? C’è qualcosa che non mi vuoi dire ? ”
“ No, sto solo pensando che siamo entrambi stravolti. E’ stata una giornata difficile, e non riesco più a ragionare con molta lucidità. Penso che dovremmo riposare e aspettare domani. Ma prima ti preparo qualcosa da mangiare. Sono affamato e penso che lo sia anche tu.”
Il frigorifero era pieno di cibo. Lui preparò qualche tramezzino al prosciutto e del tè.
Mangiarono in silenzio. Fuori dalla portafinestra era ormai notte.
“ Penso che sia meglio finire il giro turistico della casa domattina, quando non sarai così stanca. Cosa pensi di un bagno caldo e di un morbido letto ? ”
“ Penso che sia troppo meraviglioso per essere vero”.
Lui si alzò e iniziò a sparecchiare. Lei rimase seduta, troppo stanca per muoversi.
Arrivandole da dietro le spalle, le chiese : “ Avresti voglia di lavare le tazze e i piattini, cara ? ”
“ Beh… sono veramente molto stanca. Lo farò domani mattina”. Sentì le mani di lui stringere leggermente. Le sembrò che facesse uno sforzo per parlare in tono naturale: “ Lo farò io. Non possiamo andare a dormire lasciando qui i piatti sporchi.”

L’accompagnò in camera tenendola per la vita. Salirono la grande scalinata e si fermarono al primo piano. “ Da questa parte, cara. Il resto della casa lo vedrai domani. Per stasera, ti limiterai alla camera da letto e al bagno. ”
Prima che lei potesse dire qualcosa, aggiunse con dolcezza: “Io dormirò nella camera degli ospiti.”  Lei sospirò di sollievo silenziosamente. Aveva temuto per un attimo di dover dividere il letto con uno sconosciuto. Ormai era certa che lui fosse il suo legittimo marito da ben sette anni e che le volesse molto bene, ma da questo a dormire insieme…. respinse con fastidio il pensiero in fondo alla mente. 
Lui la spinse piano dentro ad una stanza.
 “ Vado a prepararti un bagno caldo. Tu intanto prova ad ambientarti. In fondo, è la tua camera”.   Si allontanò verso il fondo del corridoio.
Lei si guardò intorno. La camera era grande, con un enorme letto a baldacchino e mobili in mogano scuro. Sul letto era stesa una coperta di broccato di seta rosa chiaro. I cuscini e le lenzuola erano di pizzo bianco, immacolato. Le tende delle finestre e il baldacchino erano dello stesso tessuto. La parete di destra era tutta una vetrata, l’altra era interamente occupata da un guardaroba a specchi. Sul comò era appoggiata una grande coppa di cristallo piena di saponette profumate alla vaniglia. Di fianco alla coppa, un completo da toilette in argento massiccio, ogni pezzo ordinato alla stessa identica distanza dal successivo. Non c’era nessuna foto, neanche lì.
Era impossibile restare in quella stanza e non osservarsi in uno specchio. Cercò di concentrarsi sulle riproduzioni di Monet incorniciate e appese alla parete, ma la sua attenzione continuava a tornare agli specchi. Si osservò stancamente. Niente, solo una sconosciuta con profonde occhiaie e l’espressione atterrita. Aprì le ante dell’armadio cancellando la sua immagine. Davanti ai suoi occhi si materializzarono i suoi abiti, quelli scelti dalla donna estranea che dormiva in quella camera. Li osservò toccandoli con le mani, leggendo le etichette, avvicinandoseli al volto come se un profumo nascosto potesse raccontarle qualcosa della sua vita. Ne aveva moltissimi, ed erano tutti firmati e di alta sartoria. Pantaloni, giacche eleganti, tailleur classici, gonne di seta. Niente di sportivo o di casual. Su una lunga fila di appendini decine di preziosi abiti da sera erano protetti dai loro involucri trasparenti. Aprì un cassetto. Biancheria intima di raso, pizzo e seta, reggicalze e reggiseni sexy e trasparenti. Erano suoi ? Li aveva scelti lei ? Si spogliava lentamente davanti a lui o lasciava che fossero mani maschili ad aprire i delicati gancetti ? Si sentì piena d’imbarazzo e richiuse il cassetto.  Su una rastrelliera, in perfetto ordine, una serie interminabile di scarpe. Con tacchi alti o altissimi. Neanche un paio di scarpe da ginnastica. In un altro cassetto trovò le camicie da notte. Tutte nere, trasparenti, con preziosi ricami in merletto. Ne prese una, la più semplice che riuscì a trovare.
Lui rientrò nella camera. “ Il bagno è pronto,” disse.
“ Ho tanti bei vestiti”.
“ Sì, anche se quelli che indossi adesso non mi dicono niente ”.
“ Già, neanche a me.”

Il bagno la fece sentire meglio. Si crogiolò nell’acqua calda cercando di sciogliere i muscoli del collo e delle spalle. La vasca era lunga e profonda, montata su zampe di ottone. La schiuma da bagno profumata nascondeva i lividi. Un po’ rincuorata uscì dalla vasca, tolse il tappo e si allungò per prendere l’accappatoio. Il vapore aveva annebbiato lo specchio sopra il lavandino. Non si preoccupò di toglierlo. Non aveva alcun bisogno di guardare il viso della sconosciuta.
Tornò in camera, si infilò la camicia da notte e appese gli abiti acquistati il giorno prima alla maniglia di una finestra. Il reggiseno lo nascose sotto il materasso. Trovò una vestaglia e tornò in bagno per lavarsi i denti. Lui aveva pulito lo specchio del lavandino e asciugato la vasca.            Che energia, pensò lei. Dopo essersi spazzolata i capelli, si sentì pronta per andare a letto.
Lui l’aspettava in camera. In mano aveva un bicchiere d’acqua e due pastiglie bianche.                 Gliele porse insieme al bicchiere. “ Tieni, ti aiuteranno a rilassarti.”
“ Cosa sono ? ”
“ Un leggerissimo sonnifero.”
“ Non credo di averne bisogno. Sto crollando dal sonno.”
“ Il dottor Zannini si è raccomandato che tu le prendessi. Su, da brava, ti faranno solo bene.”
Non aveva abbastanza forza per discutere. Erano solo due innocue pastiglie di blando sonnifero.
Se le mise in bocca e bevve un sorso d’acqua. Si sedette sul letto.
“ Sono veramente sfinita.”
“ Vuoi che rimanga qui finchè non ti sarai addormentata ? ”
Lei sorrise. “ Non è necessario, ma grazie.”
“ Chiamami, se hai bisogno qualcosa.”
Era troppo stanca per rispondere. Sentì le mani di lui aiutarla a sdraiarsi e coprirla con il lenzuolo.
Lui le baciò delicatamente la fronte e spense la luce.
Un istante dopo dormiva.

Sognò di essere sulla piccola spiaggia di Mergozzo. Improvvisamente Cesare era accanto a lei. Sentì le sue mani massaggiarle la schiena. “ Ti va di fare una nuotata ? ”
Lei sorrise annuendo e lo abbracciò. 
“ No, no, no ! Non potete andare a nuotare ! ” qualcuno urlò dietro di lei, ma non riconobbe la voce.
“ Io voglio andare a nuotare. Voglio entrare nell’acqua ! ” ribattè lei petulante.
“ Non si può.”
“ Perché ? Perché non posso nuotare ? ” gridò lei infuriata.
Ci fu un attimo di silenzio.
All’improvviso Cesare non c’era più e lei era entrata in acqua. Le arrivava già all’altezza della vita.
“ Perché  il lago è pieno di sangue.”
Lei si guardò. Tutto il suo corpo era imbrattato di rosso, appiccicoso e nausante. Il sangue le grondava dalle braccia, dalle mani, dal seno. Davanti a lei, una gigantesca onda rossa stava per arrivarle addosso e soffocarla.
Urlò terrorizzata.

Stava urlando.
“ Giulia ! ” sentiva qualcuno chiamarla, ma il terrore le impedì di reagire. “ Giulia ! Svegliati   Giulia ! Stai sognando ! E’ solo un incubo, solo un brutto sogno ! Ti prego, svegliati ! ”
Lei lo colpì con le braccia cercando di respingerlo.
“ Sono io, Cesare. Stai tranquilla. E’ finita, è finita. E’ stato solo un brutto sogno. Va tutto bene, calmati.”
Aprì gli occhi e  lo vide accanto a sé, il bel volto teso per la paura.
Scacciò l’immagine del sangue e dell’onda rossa gigantesca che la investiva e si ricordò che era nel suo letto, nella sua camera, con suo marito.
“ Ho sognato una cosa orribile,” singhiozzò, “ c’era sangue dappertutto.”
Lui la prese tra le braccia. “ Adesso non c’è più, è tutto finito.”
“ Sembrava talmente vero. Ho avuto una paura tremenda. Guarda, sono tutta sudata.”
“ Ti aiuto io. Non muoverti. Vado a prendere un asciugamano.”
Rimase tremante nel letto stringendosi le braccia intorno al petto. Ripensò all’onda gigantesca e sentì che stava per vomitare.
“ Respira, su, respira piano, profondamente. Ormai è tutto finito.” Cesare le stava massaggiando le braccia e il viso con un asciugamano bagnato.
“ E’ stato terribile. Non ho mai avuto così tanta paura.”
“ Sì, ma adesso va tutto bene. Ti porto qualcosa per farti riaddormentare e non avere più incubi. Hai bisogno di riposare.” Andò in bagno e tornò con una grossa pastiglia gialla e un bicchiere d’acqua.
“ Da brava, ne hai bisogno. Se non riposi, crollerai. Fidati di me.”
Lei obbedì e si rimise sdraiata, avvolgendosi ancora tremante nella coperta.
Le palpebre cominciavano già a chiudersi. Ora il volto di Cesare era sfuocato, lontano. Prima di poterlo ringraziare ancora, le tenebre la circondarono e lei precipitò in un sonno senza sogni.
Come lui le aveva promesso.

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