venerdì 25 gennaio 2013

Capitolo 18


“Non so in quale altro modo spiegartelo, Giulia. Non sono per niente d’accordo che tu vada a cucinare a casa di Marco Costa. Può sicuramente pagarsi decine di cuochi ed è l’ultima persona al mondo che mia moglie dovrebbe frequentare,” disse Cesare in tono incollerito.
“ Lo so. Ma ti ho già detto che non posso rifiutare questo favore a Cristina. Ha firmato un contratto con Costa per una cena da dodici persone e il suo aiuto l’ha piantata all’ultimo momento. Sai quanto sono importanti per Paolo e Cristina questi servizi di catering. Oltre a guadagnare molto, si fanno pubblicità per il ristorante. Non pianto in asso un’amica che ha bisogno di me.”
“ Costa non mi piace. Farebbe qualsiasi cosa per portarmi via collaboratori e clienti.”
“ E tu faresti lo stesso. Non siete poi così diversi, no ? E comunque non mi vedrà nemmeno.                 Resterò segregata in cucina a lavorare, non servirò certo al tavolo !”
Giulia cercò di placare il tono della conversazione. “ Oggi sei particolarmente affascinante. Quel maglione ti dona molto.” Lui sorrise e lei si sentì sollevata. Forse la bufera si stava allontanando.
“ E tu sei sempre più bella. Com’è possibile ?”
Lei lo abbracciò. “ E’ perché mi rendi così felice.”
“ E inoltre, sono geloso. E’ una cena per soli uomini ?” insistè lui.
“ Non lo so. Gli invitati non li vedrò neanche !”
Lui le appoggiò la guancia sui capelli. “ Oh, Giulia, non immagini neanche quanto ti amo …”
Giulia pensò che nonostante fossero sposati ormai da cinque anni lui la desiderava come la prima volta. E lei lo ricambiava con la stessa passione. Non mancava mai di stupirsi per l’intensità con la quale i loro corpi continuavano a cercarsi…
“ E sia. Se ormai ti sei impegnata …ma appena avrai finito torni a casa, ok ? Non credo sarà necessario trattenersi fino alla fine della serata.”
“ Se ne occuperanno Cristina e Paolo. Non ti preoccupare. Tornerò a casa il prima possibile.”

“ Posso guardare ?” chiese Marco Costa entrando in cucina.
Giulia era ai fornelli da sola. Paolo si stava occupando dei vini in cantina e Cristina sovrintendeva al lavoro dei camerieri che apparecchiavano nella grande sala da pranzo.
“ Prego. La cucina è sua !”
“ Non vorrei disturbarla.”
“ Non mi disturba, assolutamente.”
“ Lei è Giulia, vero ? La moglie di Cesare Panti ?”
“ Sì. Ma preferirei essere considerata Giulia, la maga dell’arrosto.”
Si rese conto che era meglio evitare qualsiasi riferimento al marito. Un campo minato professionale. Cercò qualcosa da dire per evitare un imbarazzante silenzio.
“ Ha delle porcellane meravigliose,” disse indicando il servizio da tavola  scelto per l’occasione.
“ Credo di sì. Non presto molta attenzione a queste cose. Se ne occupava mia moglie. Ex-moglie.”
La villa dell’avvocato Costa era davvero molto bella. Giulia non aveva visitato l’interno a parte la cucina nella quale si trovava, ma l’esterno era spettacolare, sembrava un piccolo castello medievale.
“ Ha davvero una splendida casa.”
“ Lo crede davvero ? L’ha scelta la mia ex-moglie. Dopo la separazione mi sembrava enorme ed estranea. Ma devo ammettere che ora mi ci trovo molto bene. Ci si abitua a tutto, no ?”
“ Certo, ma non sarà stato difficile abituarsi ad una casa bella come questa !” rise Giulia.
“ E lei ? Anche lei si è obbligata ad abituarsi ?”
Giulia lo guardò con aria sorpresa. “ Cosa intende dire ?”
Costa scrollò le spalle e sorrise “ Non lo so. Non ci faccia caso. A volte mi vengono in mente pensieri strani. Una specie di intuizione. Ma non gli dia importanza.”
“ Sa, sono un po’ nervosa. Vorrei che stasera fosse tutto perfetto e ho paura di essermi presa una responsabilità troppo grande.”
“ Lei si sottovaluta. Credo che i miei invitati non crederanno ai loro occhi quando vedranno questa meraviglia,” disse lui osservando il lungo tavolo della cucina sul quale erano disposti grandi piatti di portata con gli antipasti, alcune specialità di Giulia già pronte per essere servite: sfogliatine al pollo tartufato, crêpes agli asparagi, bignè di prosciutto e quiche lorraine ai carciofi.
Giulia si muoveva tra i fornelli e la dispensa. Aprì il forno per sistemare un’enorme teglia di lasagnette con funghi e sugo di lepre. Poi diede un’occhiata esperta al banco sul quale erano disposti gli ingredienti per i dolci: pasta mandorlata, salsa di nocciola e sciroppo di zucchero.
Certa di avere tutto sotto controllo, si sentì soddisfatta. “ Ha una cucina perfetta, sembra di essere nel ristorante di Cristina. Mi fa venire un po’ d’invidia.”
“ Beh, una cucina perfetta per una vera professionista. Si occupa spesso di catering ?”
“ Oh, no … in realtà è la prima volta. Sto solo dando una mano ai miei amici.”
“ Beh, se le venisse voglia di farlo avrebbe sicuramente un grande successo. Non l’ha mai preso in considerazione ? In fondo, lei è un’esperta. La sua fama la precede.”
“ Non credo che sarebbe possibile .. sono già molto impegnata con i miei libri, la fotografia, il volontariato e la casa … è molto grande, e il mio tempo sembra non bastare mai. Sa, mio marito tiene molto alla casa.” Lui la osservò con uno sguardo interrogativo e leggermente ironico.           O almeno, lei lo interpretò così. Si sentì improvvisamente in imbarazzo.
“ Ora dovrei concentrarmi  sulle quaglie,” disse in fretta.
“ Posso sperare di avere la sua compagnia a  tavola ?”
“ Beh…non è possibile. Si ricorda ? Mi pagano per lavorare, non sono un’ospite …  comunque, grazie per il pensiero.”
“ Ma io sono il padrone di casa e la sto invitando. Qundi, sarebbe un’ospite.”
“ Non credo sia il caso.”
Lui la guardò con aria divertita. “ Non è il caso perché suo marito non è qui ?”
Giulia annuì con la testa. “ Ora però devo proprio rimettermi al lavoro. ” Costa sorrise nuovamente e uscì dalla cucina. Giulia si sentì un po’ agitata.
Perché mai dovrei, pensò, non ha detto niente di sconveniente.

Due ore dopo, la musica e le risate entravano dalla porta a molla della cucina che si apriva e si chiudeva al passaggio dei camerieri.
“ Si stanno divertendo un mondo,” disse Cristina entrando, “ e hanno ripulito i piatti. Sei stata grande. Non so come avrei fatto senza di te. Sei davvero una cuoca con i fiocchi !”
Nonostante fosse molto stanca, Giulia si sentì elettrizzata dal complimento.
Quando Costa fece capolino dalla porta dicendo che gli invitati volevano vedere lo chef, accettò di seguirlo in sala da pranzo con piacere. Gli uomini e le donne al tavolo sembravano tutti professionisti e uomini d’affari, e le loro compagne erano eleganti e molto sofisticate.
La coprirono di complimenti. Giulia si sentì felice. Era davvero soddisfatta.
Gli ospiti chiesero di ballare e Costa cambiò il cd nell’impianto stereo.
Le tese le mani. “ Sia gentile, mi regali un ballo.”
“ Oh, no. Ballo malissimo.”
“ Anch’io. Almeno saremo in due.” La guidò al centro della sala.
Giulia si sentiva un po’ ridicola, ma si accorse che si stava divertendo.
Vide che Cristina le faceva un cenno dalla porta indicando l’orologio al polso e si rese conto che era mezzanotte passata. Era convinta che fossero le undici al massimo. Cercò di abbandonare il ballo, ma Costa la guidò verso il giardino, all’esterno della casa, dove altri invitati stavano ballando un lento.
“ Devo proprio andare,” sussurrò Giulia.
“ Solo cinque minuti. Mi piace ballare con lei.”
Costa era poco più alto di Giulia. Le loro guance si sfiorarono.
“ Ha un buon profumo,” continuò lui a voce bassa.
Giulia si sentì immediatamente a disagio e si irrigidì.
“ Mi scusi, non volevo metterla in imbarazzo.”
“ Beh … mi ha presa un po’ alla sprovvista.”
“ Le chiedo scusa. Era solo un complimento. Potrebbe accettarlo senza sentirsi a disagio ?”
“ Penso di sì. La ringrazio.”
“ Di niente.”
Continuarono a ballare in silenzio. Lei sentiva il suo respiro sul collo.
“ E’ molto tardi. Devo proprio andarmene …”
Non aveva ancora finito la frase. “ Giulia !” La voce di Cesare era furiosa. Tutti gli ospiti smisero di ballare e si fermarono a guardare l’uomo che avanzava a grandi passi nel giardino illuminato dai lampioncini.
“ Finalmente ! Eccoti qui ! Al telefono e alla porta non risponde nessuno !” urlò lui.
Giulia avrebbe voluto scomparire, tanta era la vergogna che provava in quel momento.
“ Mio marito, Cesare Panti,” disse “ Cesare, ti presento Marco Costa … oh, che sciocchezza. Avevo dimenticato che sicuramente vi conoscete …”. Il cuore le batteva all’impazzata, in preda all’ansia e all’agitazione.
“ Sono spiacente che nessuno le abbia risposto,” disse Costa, “ eravamo qui e la musica era alta. Vuole unirsi a noi ?”
“ Non credo proprio. E’ l’una del mattino e normalmente a quest’ora non ballo nei giardini altrui.” rispose Cesare in tono maleducato.            “ Allora,” si girò a guardarla con occhi feroci       “ prendi le tue cose in fretta e andiamo a casa.”
Giulia si sentì morire di vergogna.
Senza salutare nessuno, corse in cucina e prese la borsa. Cristina e Paolo erano già andati via.
Poi si diresse verso la sua macchina, osservando la rigida sagoma del marito all’interno della sua. L’umiliazione subita le fece venire una gran voglia di piangere.
Mise in moto e seguì Cesare che guidava a forte velocità verso la loro casa.
Perché ? si chiese, perché si comporta così ? Dannazione, mi ha fatto fare una figura da idiota. Era stata una bellissima serata, e la cattiveria di Cesare l’aveva rovinata.  Ma chi credeva di   essere ? Con quale diritto le mancava di rispetto in quel modo ?
Quando Giulia arrivò a casa, Cesare aveva già parcheggiato e la stava aspettando davanti alla porta d’ingresso. Questa storia deve finire, pensò lei, sarò calma e ragionevole, ma non possiamo andare avanti così.
“ Cesare, sono sbalordita. Sei stato veramente maleducato.”
“ Maleducato ? Cosa stai dicendo ? Sono venuto a riprendere mia moglie, che doveva essere a casa ore fa.”
“ Mi hai umiliata davanti agli invitati e lo sai. Come hai potuto farmi vergognare così ?”
“ Forse ero preoccupato, non credi ? Era l’una del mattino, e non ti sei neanche degnata di farmi una telefonata ! Cosa dovevo pensare ?”
“ Potevi chiamarmi sul cellulare, per esempio.”
“ L’ho fatto, mia cara, ma evidentemente eri troppo occupata a divertirti per sentire il telefono. Ma ti rendi conto ? Esco di notte per cercarti e dove ti trovo ? A lavorare ? A fare quello che avresti dovuto ? No ! Oh, no ! Lei ballava ! Ballava con quel figlio di puttana di Costa ! Ma lo fai apposta ? Sei completamente stupida o pensi di farmi fare la figura dell’imbecille ?”
“ Ho ballato cinque minuti e non potevo rifiutare senza essere scortese. E comunque, stavo per venire via.”
“ Cinque minuti ? Sei sicura ? Pensaci bene, perché c’ero anch’io !”
A Giulia saltarono i nervi per la tensione e la paura.
“ Mi stavi spiando ? Dovresti vergognarti. Ti sei comportato come un pazzo. Sei saltato fuori all’improvviso urlando e hai messo tutti in imbarazzo.”
“ Non me ne frega niente. E soprattutto, non mi interessa quello che pensano Costa e i suoi amici, chiaro ?”
“ Ti sei spiegato molto bene.”
Cesare le voltò le spalle e si diresse verso l’ingresso.
“ Muoviti. Vieni in casa e vai a letto. Sono stanco di parlare con te.”
“ Perché fai così ?” chiese ancora lei “ perché sei sempre arrabbiato con tutti ?”
“ Ma fammi il piacere. Adesso cosa farai, scriverai un manuale di psicologia da quattro soldi ? Pretendo le tue scuse ed è chiaro che una situazione del genere non si ripeterà mai più.”
Lei lo fissò sbigottita.
“ Le mie scuse ? Tu pretendi le mie scuse ?”
“ Non mi piace il tuo tono di voce, Giulia. Stai attenta, ti sto avvisando.”
“ Ah, e se non mi scuso cosa farai ? Mi chiuderai in casa per tutta la vita ?” urlò lei.
“ Giulia, falla finita. Stai passando il limite. Sto perdendo la pazienza.”
“ No, non la faccio finita …”
Cesare l’afferrò per un braccio.“ Mi stai stancando.”
Giulia cercò di divincolarsi e sentì la seta della camicetta lacerarsi.  Diventò furiosa.
“ Lasciami subito !” urlò.
“ Vieni dentro immediatamente.”
“ No ! Lasciami andare !”
Fuori di sé per la rabbia, Cesare alzò la mano per colpirla. Lei si ritrovò rovesciata sui gradini di pietra. Le ginocchia le facevano un male infernale e la faccia le bruciava.
“ Oh Dio, Giulia !” mormorò Cesare.
La sollevò da terra. Giulia aveva le calze strappate, le gambe sanguinanti e il viso bagnato di lacrime. Appena si fu rimessa in piedi, lei barcollò un po’, poi, senza dire una parola, comincio a salire i gradini.
“ Ti aiuto..” disse lui.
“ No. Non mi toccare.”
Entrò lentamente in casa e gemendo salì la scala per andare in bagno.
“ Bene, fai come vuoi,” continuò Cesare, “ ma non è certo colpa mia se sei caduta”.
Giulia non si prese neanche il disturbo di rispondere.
In bagno, si lavò le mani, buttò via le calze strappate e si disinfettò le ginocchia. Alla faccia avrebbe pensato più tardi. Per quel tipo di ferita ormai era pratica.
Lo sentì dietro di lei.
“ Cosa vuoi ?” chiese, “ hai dimenticato di rinfacciarmi qualcosa ?”
Lui sospirò profondamente: “ Non è stata colpa mia se ti sei fatta male.”
“ Mi hai spinta sui gradini.”
“ No. Ho cercato di farti entrare in casa. Tu mi hai respinto e sei caduta.”
“ Non è andata così.”
“ A me sembra proprio di sì. Non inventarti stronzate per farmi sentire in colpa.”
“ Vuoi lasciarmi in pace ? Almeno questo ? Vorrei finire di disinfettarmi e andare a dormire.”
“ Bene, spero che tu ci riesca. Per quanto riguarda me, non ne sono sicuro. E’ stata una notte orribile. E mia moglie mi accusa di responsabilità non mie.” Si voltò e andò in camera da letto.
Giulia si tamponò delicatamente il viso. Una settimana in casa, pensò, non posso certo uscire conciata così. Pianse piano, seduta sul bordo della vasca, ripensando alla catena di eventi che avevano fatto precipitare una serata iniziata tanto serenamente.
Sono stanca, pensò, stanca di avere paura dell’uomo che amo.

Quando si infilò a letto la camera era buia. Cesare non disse una parola. Lei si voltò dalla sua parte del letto, il più lontana possibile dal corpo di lui, e cercò disperatamente di addormentarsi.

Non dormì quasi per niente, ma quando lo sentì alzarsi alle sette del mattino finse di farlo. Aspettò che lui si preparasse e scendesse in cucina per la colazione. Allora si alzò, e zoppicando per il dolore alle ginocchia andò in bagno. La faccia era gonfia e tumefatta, aveva gli occhi rossi per il pianto e profonde occhiaie scure.
L’unica consolazione era che quella mattina Rosa non sarebbe venuta, non era il suo giorno.  Almeno, non l’avrebbe vista in quelle condizioni un’altra volta.
Decise di non provare neanche a nascondere il livido e il gonfiore. Tanto, nessun cosmetico avrebbe migliorato la situazione.

Scese in cucina per bere un caffè. Cesare leggeva il giornale seduto al tavolo, pronto per andare in studio. La guardò ansiosamente.“ Ti senti       meglio ?” le chiese.
“ Mi sento benissimo. Non si vede ?”
“ Vedo che hai l’aria molto stanca e il viso un po’ gonfio, e mi dispiace molto, che tu ci creda o meno. Davvero. Non puoi immaginare quanto.”
“ Oh, sì, immagino. Ma sono stufa di questa commedia del dispiacere. Sei stato tu a farmi male, anche se stai cercando di tirartene fuori.”
“ Capisco. Forse sarà meglio parlarne un’altra volta. Quando avrai le idee più chiare e ricordi più precisi. Sei caduta da sola, Giulia, cerca di non dimenticarlo.”
Quando la macchina di Cesare lasciò il vialetto, lei si sedette sul dondolo del piccolo porticato e pianse fino allo sfinimento.

Si svegliò di soprassalto, fradicia di sudore. Un martello batteva ritmicamente dentro la sua testa.
Insieme al dolore, altri bisbigli lontani.
Il bambino. Quale bambino ?
Interdetta. Non so più dove sbattere la testa. Interdetta.
Scappare. Devo scappare.
Richiuse gli occhi e precipitò ancora in un incubo di ricordi.

Giulia allungò la mano per aprire la porta della camera da letto e si sentì afferrare brutalmente un polso. Ruotò su se stessa e accanto a lei, nell’oscurità, vide stagliarsi il profilo minaccioso di Cesare. Anche la luce fioca non poteva nascondere la furia nella sua espressione. Indossava solo un accappatoio e il suo alito puzzava di alcol. In piedi accanto a lui, Giulia si rese conto del vantaggio fisico che aveva su di lei. Con le mani le avrebbe potuto circondare facilmente la vita e, per quanto ne sapeva, volendo avrebbe anche potuto spezzarle il collo.
“ Giulia, amore mio …” sussurrò, attirandola verso di lui. La pressione sul polso aumentò, ma Giulia si fece violenza per non urlare. Il dolore era lancinante.       
Cesare parlava biascicando. “ Ti ho chiesto di rimanere a casa con tuo marito, ma tu non ascolti mai … perché fai così… perché mi obblighi a punirti ….” Prima che Giulia potesse pronunciare una sola parola, Cesare la cinse con un braccio appoggiando il palmo della mano contro la sua nuca, e attirando il viso di lei contro il suo.
Giulia cercò di divincolarsi, ma invano. Lui la baciò con violenza, le labbra schiacciate contro i suoi denti. La puzza di alcol nel fiato di lui le diede la nausea. Poi Cesare le lasciò il polso e si tirò indietro. Con tutta la forza che aveva, Giulia lo schiaffeggiò. Lui arretrò di un passo, barcollando, poi ritrovò un incerto equilibrio. La guardò con odio, stringendo gli occhi, furioso e stupefatto. Prima si toccò la guancia colpita, poi lasciò cadere la mano e scoppiò a ridere. “ Sei molto combattiva stasera … non posso dire che non mi diverta …” le disse in tono sarcastico.
“ Dovresti vergognarti. Hai bevuto.”
“ Sei mia moglie.” Ora sul volto e nella voce di Cesare apparvero un’improvvisa durezza e una cattiveria che la spaventarono. “ In questa casa comando io. E tu mi appartieni. Sei una mia proprietà.” Con una rapidità sorprendente per un ubriaco si mosse all’improvviso e le strappò la camicia, infilandole una mano nel reggiseno. Giulia cercò di liberarsi, ma Cesare le afferrò entrambe le braccia, e con una violenza tale da toglierle il fiato la spinse contro la parete, bloccandola con il corpo. Lei si agitò e scalciò, ma Cesare era troppo forte e la teneva immobilizzata. Tenendola stretta per i polsi, le spinse le braccia indietro, costringendola ad alzare le mani all’altezza delle spalle. Poi premette il suo volto contro quello di Giulia, quasi soffocandola.
Lei cominciò a tossire, sputandogli addosso la saliva, e le mancò il fiato quando la penetrò a forza con la lingua. Poi Cesare le sollevò i polsi sopra la testa usando una sola mano per bloccarli entrambi contro il muro, mentre con l’altra le rialzò la gonna, chinandosi in avanti. Il movimento però gli fece perdere l’equilibrio e Giulia riuscì a liberarsi una mano.
Terrorizzata, afferrò una piccola scultura in ferro dal ripiano del mobile, pensando solo di difendersi e non di colpirlo, ma quando Cesare si rese conto che lei gli stava sfuggendo e cercò di afferrarla nuovamente, la sua mano colpì la statuina proprio nel punto più affilato. Urlò e fece un salto all’indietro.  Gli occhi di Giulia ormai si erano abituati al buio del corridoio, e guardò la mano che ora Cesare teneva sollevata davanti a sé. Entrambi la fissarono stupefatti. La statuina aveva lacerato il palmo e il sangue stava colando verso il polso. Non era una ferita grave, ma per Giulia le conseguenze potevano essere pericolose. Lui la guardò. I suoi occhi erano cattivi. Poi, oltre alla collera, lei vide sul suo volto la paura. E’ un violento e un prepotente, pensò Giulia, ma è anche un vigliacco. Tenne la statuina in mano con aria minacciosa. All’improvviso lui le sorrise.  Si strinse la mano ferita e in tono carezzevole le disse: “ Hai coraggio. Un’altra delle ragioni per cui ti amo così tanto.”
Poi chinò la testa e rimase in silenzio qualche istante. Con grande sorpresa di Giulia, si inginocchiò e cominciò a piangere. “ Perdonami, Giulia. Non so cosa mi abbia preso. E’ la gelosia per te che mi fa perdere la testa. Perdonami, ti prego …” Il pentimento di Cesare sembrava sincero. Giulia abbassò la statuina e fece un passo verso di lui. “ Ti scongiuro, non bere più… dimentichiamo questo incidente. Promettimi che non succederà più.” Lui scosse la testa. “ Te lo prometto, amore mio…”  Giulia si avvicinò ancora, pensando di tendergli una mano per aiutarlo a rialzarsi. Ma Cesare si sollevò di colpo, e con la testa e la spalla le assestò un colpo talmente violento da scaraventarla sul pavimento, facendo volare via la statuina. Giulia non vedeva dov’era caduta, ma nonostante l’impaccio della gonna lottò per rialzarsi, anche troppo consapevole della sua vulnerabilità. Ma i tacchi alti la tradirono, e l’ultima immagine che vide fu la figura di Cesare che incombeva su di lei.

Si svegliò piangendo. Rivolse lo sguardo al comodino, dove una volta c’era il telefono che Cesare aveva spostato. Non poteva chiamare nessuno. Nessuno poteva aiutarla.
Cesare l’avrebbe fatta interdire. Lei sarebbe scomparsa nel nulla. Tutti avrebbero creduto alla disperazione del marito perfetto.
Quale bambino ?
Doveva andarsene.
Scostò le lenzuola e si rese conto che indossava ancora l’assurdo vestito che portava alla cena  … di quando ? Della sera prima ? Aveva perso la cognizione del tempo. Con un senso di malessere, si accorse che il suo corpo emanava un acre odore di sporco, di sudore. In ogni caso, forse sarebbe riuscita a cambiarsi, ma di certo non aveva la forza di arrivare al bagno per lavarsi.
Appoggiò i piedi al pavimento e avvertì subito un senso di vertigine. Puoi farcela, si disse, concentrati sui movimenti. Pensa solo che devi assolutamente andartene da qui.
E quando sarai riuscita a scappare dove andrai ? Guardò l’immagine della donna dai lineamenti stravolti che la fissava dallo specchio. Ci penserò dopo. Sì, ma che cosa racconterai ? A chi ?  E come dimostrerai che non sei completamente in preda al delirio ? Andrò dagli amici. Non sono tuoi amici, sono amici di Cesare. Ho anche degli amici miei. Loro mi crederanno. Sì ? Come Fabrizia, Carlo, Tiziana e tutti gli altri ? Si immobilizzò, tesa nello sforzo di ricordare qualcosa che era lì, che combatteva per emergere …le pastiglie ! Le pastiglie che aveva nascosto nel collant !  E dove le porterai ?  Le porterò a Emanuela. Lei è un medico, mi ha soccorsa quando mi hanno aggredita in quel parcheggio e forse è l’unica amica che mi rimane. E se anche lei non dovesse credermi, allora niente può essere peggio. Ci penserò dopo. Ora devo arrivare da lei.
Aprì l’armadio e frugò nel cassetto delle calze. Le pastiglie erano lì, nel collant arrotolato. Era sicura che non sarebbe riuscita a togliersi quel vestito attillato, così si limitò a coprirlo con uno spolverino lungo. Infilò  le scarpe più basse che riuscì a trovare e mise il collant nella tasca. Aveva paura di svenire per la tensione. Il cuore le batteva furiosamente e aveva la nausea.
Andò alla porta e l’aprì con cautela. Dalla cucina provenivano i soliti suoni che segnalavano la presenza di Rosa. Entrò nella camera degli ospiti, che da quando Cesare era tornato a dormire con lei era diventata la stanza della domestica. Controllò dalla finestra il posto macchina di Cesare. Vuoto. Per adesso, la fortuna era dalla sua parte. Aprì piano il cassetto del comodino e le vide subito. Le chiavi della macchina di Rosa. Non avrebbe saputo descrivere la sensazione di sollievo e di eccitazione che provò in quel momento. Stai calma, sei solo all’inizio dell’opera, si disse, devi ancora uscire da questa casa. Tenendo le chiavi ben strette nella mano destra, scese lentamente le scale, quasi schiacciandosi contro il muro. Sentì l’acqua scorrere nel lavello della cucina e la musica provenire dalla radio accesa. Raggiunse la porta d’ingresso, uscì e dopo averla richiusa senza rumore si tuffò praticamente giù per la scalinata. Raggiunse la vecchia Panda di Rosa e provò la maniglia dello sportello dalla parte del guidatore. Era aperta, e Giulia quasi scoppiò a piangere per la gioia. Entrò in macchina richiudendo lo sportello senza fare rumore. Il cuore le batteva fortissimo quando infilò la chiave nell’accensione e mise in moto. Sentì Rosa urlare qualcosa dalla porta d’ingresso e dallo specchietto vide la donna alzare le braccia frustrata. Adesso si sarebbe sicuramente precipitata a telefonare a Cesare. Non aveva molto tempo. Doveva scappare il più in fretta possibile. Partì facendo schizzare i sassolini del vialetto, pensando freneticamente a cosa avrebbe fatto quando fosse arrivata al cancello della villa. Sicuramente Rosa doveva avere in macchina un telecomando per l’apertura. Tenendo il volante con una mano aprì il cruscotto e fece cadere il contenuto a terra. Eccolo, il benedetto rettangolo di plastica grigia che le avrebbe aperto la porta della prigione. Lo azionò e uscì sulla strada, sentendosi come Steve McQueen in Papillon al secondo tentativo di fuga. E adesso ? Dove sarebbe andata ? Non aveva neanche un euro ed era senza documenti. E non è la prima volta, riflettè. La differenza è che adesso so chi sono. Sono Giulia Marini, e sto cercando di scappare da un incubo. Aveva paura di perdere il controllo della macchina ma soprattutto di essere fermata dai vigili o dalla polizia. Che cosa avrebbe raccontato ? Che stava fuggendo da un marito violento che voleva farla rinchiudere ? E che sì, certo che aveva la patente, ma si trovava in uno zainetto scomparso, e comunque la macchina l’aveva rubata a una domestica che in realtà era una carceriera stipendiata ? Ah ! dimenticavo…il marito in questione è l’avvocato Panti, quello famoso. No, nessuno le avrebbe creduto, si sarebbe messa nei guai e avrebbero immediatamente contattato Cesare. Fermò la macchina prima di arrivare in centro, all’altezza del parco giochi. Decine di bambini giocavano nel recinto di sabbia sotto l’occhio attento di mamme e baby-sitter. Di quale bambino aveva parlato Cesare ? Cominciò a camminare verso la piazzetta del Comune. Si sentiva molto vicina a stramazzare al suolo, ma istintivamente sapeva che se si fosse fermata anche solo per un istante rischiava di addormentarsi sul marciapiede. Certo che devo essere proprio un bello spettacolo, pensò cogliendo le occhiate dei passanti. Sudata e puzzolente e avvolta in uno spolverino adatto ad una temperatura inferiore di almeno venti gradi. Però, sapeva esattamente dove stava andando. Senza esitazioni, arrivò davanti alle vetrine della Farmacia Polirama. Le gambe la spinsero fino alla porta. Si spostò di lato per lasciare uscire una cliente e appena oltrepassata la soglia l’aria condizionata la investì come una slavina di neve, congelandole addosso il sudore. Si sentì la testa leggera e prima che potesse concentrarsi sul viso dell’uomo dietro il banco si trovò per terra. Il farmacista corse accanto a lei e le mise una mano sulla fronte. “ Signora ? Mi sente ? E’ cosciente ?” le chiese aprendole un occhio per osservarlo. Intanto una giovane donna, anche lei in camice bianco, si avvicinò con un bicchiere d’acqua in mano.
“ Forza, beva piano,” le disse appoggiandole il bicchiere alle labbra.
L’uomo le tamponò la fronte con un fazzoletto.      “ Credo che sia stato il caldo..” mormorò Giulia.
“ In effetti, non è un po’ troppo vestita ? Ci saranno almeno trenta gradi. Pensa di farcela ad alzarsi ?”
Giulia scosse la testa. “ Non credo di riuscire a reggermi in piedi.”
“ L’aiuto io. Rimarrà seduta fino a quando non si sentirà meglio.”
Il farmacista l’accompagnò nel retro del negozio tenendola per la vita e la fece accomodare su una sedia di plastica.
“ Come si sente ? Va un po’ meglio ?” chiese sedendosi davanti a lei.
“ Sì, grazie. E grazie per avermi soccorsa.”
“ Se non sono troppo indiscreto… è un po’ di tempo che non la vedo e non mi sembra in gran forma … è stata ammalata ? ”
Giulia capì che il farmacista la conosceva. Oh Dio ! Grazie ! Forse allora l’avrebbe aiutata ! L’emozione e il sollievo presero il sopravvento e Giulia cominciò a piangere.
“ Dottore … potrebbe dirmi cosa sono queste ? ” chiese estraendo dalla tasca il collant arrotolato davanti all’espressione incuriosita dell’uomo. Dalla calza uscirono le pastiglie e rotolarono per terra. Il farmacista si chinò per raccoglierle, le appoggiò sulla scrivania e le osservò con attenzione, rigirandole un paio di volte.
“ Dove le ha prese ? ”
“ Sa cosa sono ? ”
“ Penso di sì.”
“ E’ Xanax ? ”
“ Xanax ? No, assolutamente no. Chi le ha detto che è Xanax ? ”
Giulia si sentì impallidire. “ Non è Xanax ? ”
“ No, a prima vista sembrerebbe Paxil.”
“ Cos’è ? ”
“ Qualcosa di molto pericoloso.” La guardò con espressione grave. “ Chi ha fatto la prescizione ? Posso vedere la ricetta ?
“ Non ce l’ho. Non .. non lo sapevo, un’amica mi ha detto che potevano essere utili contro l’insonnia. E’ un po’ di tempo che faccio fatica a dormire.”
“ Guardi, sarò molto diretto. Chi le ha detto una cosa simile e le ha fornito questo farmaco con leggerezza è un criminale. Questa roba è molto, molto pericolosa. Adesso capisco perché si è sentita male. Quante pastiglie ha preso ? ”
“ Quattro o cinque.”
“ Madonna Santissima.”
“ Ma è sicuro che sia ….Paxil ? ”
“ Al novanta per cento. Se è così, sarà il caso di consultare un medico il prima possibile. Mi faccia controllare su Internet,” disse afferrando il mouse del computer.
“ In rete si trova tutto, anche le immagini. Ecco, guardi, sono identiche alle pastiglie di questa foto. Si tratta di Paxil, non c’è dubbio.”
“ Che non è indicato contro l’insonnia.”
“ Sta scherzando ? Questo farmaco si prescrive solo in caso di gravissime forme di psicosi.”
“ Forme di psicosi ? ”
“ Sì, ed è comunque prescritto quasi come un’ultima spiaggia, come tutti gli psicofarmaci per la cura delle depressioni maggiori. Se viene assunto da una persona che non soffre di questi disturbi, le conseguenze possono essere gravissime. E’ possibile che favorisca l’insorgere di una psicosi.”
“ Significa che se una persona non era depressa lo diventerà ?”
“ E non è tutto. L’assunzione regolare di questi farmaci senza una ragione valida trasforma una persona in una specie di zombie. Inoltre, spesso origina sintomi molto simili a quelli del morbo di Parkinson.”
“ Per esempio ? ”
“ Spasmi, difficoltà di deambulazione…”
“ Anche problemi a deglutire ? Salivazione incontrollata ? ”
“ Certo. Tutto i sintomi che rientrano nel quadro clinico della psicosi. Lo dica alla persona che le ha dato questo bel consiglio. Con questi farmaci si scherza con il fuoco. Per fortuna ne ha prese solo quattro o cinque, se fossero state di più rischiava di ammalarsi in modo grave.” La osservò per un istante.   “ E’ sicura di non averne prese di più ? ”
Giulia sorrise, provando una sensazione molto simile alla felicità. Non era pazza. I suoi sogni erano ricordi reali. Le pastiglie che il dottor Zannini le aveva prescritto non erano quelle che Cesare le aveva somministrato. Non era un blando ansiolitico, ma uno psicofarmaco da “ ultima spiaggia ” in grado di trasformarla in una “zombie ”. Ecco perché stava sempre male. Per forza non faceva altro che dormire e deprimersi. Ecco perché non riusciva neanche ad alzarsi dal letto.
“ Ho bisogno di riavere le pastiglie,” disse al farmacista, “ devo mostrarle a qualcuno.”
“ Forse sarebbe meglio se andasse da un medico.”
“ E’ quello che ho intenzione di fare. Devo arrivare all’ospedale di Verbania. Sono uscita senza borsa. Sarebbe così gentile da prestarmi i soldi per il taxi ?”

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