“Non
so in quale altro modo spiegartelo, Giulia. Non sono per niente d’accordo che
tu vada a cucinare a casa di Marco Costa. Può sicuramente pagarsi decine di
cuochi ed è l’ultima persona al mondo che mia moglie dovrebbe frequentare,”
disse Cesare in tono incollerito.
“
Lo so. Ma ti ho già detto che non posso rifiutare questo favore a Cristina. Ha
firmato un contratto con Costa per una cena da dodici persone e il suo aiuto l’ha
piantata all’ultimo momento. Sai quanto sono importanti per Paolo e Cristina
questi servizi di catering. Oltre a guadagnare molto, si fanno pubblicità per
il ristorante. Non pianto in asso un’amica che ha bisogno di me.”
“
Costa non mi piace. Farebbe qualsiasi cosa per portarmi via collaboratori e
clienti.”
“ E
tu faresti lo stesso. Non siete poi così diversi, no ? E comunque non mi vedrà
nemmeno. Resterò
segregata in cucina a lavorare, non servirò certo al tavolo !”
Giulia
cercò di placare il tono della conversazione. “ Oggi sei particolarmente
affascinante. Quel maglione ti dona molto.” Lui sorrise e lei si sentì
sollevata. Forse la bufera si stava allontanando.
“ E
tu sei sempre più bella. Com’è possibile ?”
Lei
lo abbracciò. “ E’ perché mi rendi così felice.”
“ E
inoltre, sono geloso. E’ una cena per soli uomini ?” insistè lui.
“
Non lo so. Gli invitati non li vedrò neanche !”
Lui
le appoggiò la guancia sui capelli. “ Oh, Giulia, non immagini neanche quanto
ti amo …”
Giulia
pensò che nonostante fossero sposati ormai da cinque anni lui la desiderava
come la prima volta. E lei lo ricambiava con la stessa passione. Non mancava
mai di stupirsi per l’intensità con la quale i loro corpi continuavano a
cercarsi…
“ E
sia. Se ormai ti sei impegnata …ma appena avrai finito torni a casa, ok ? Non
credo sarà necessario trattenersi fino alla fine della serata.”
“
Se ne occuperanno Cristina e Paolo. Non ti preoccupare. Tornerò a casa il prima
possibile.”
“
Posso guardare ?” chiese Marco Costa entrando in cucina.
Giulia
era ai fornelli da sola. Paolo si stava occupando dei vini in cantina e
Cristina sovrintendeva al lavoro dei camerieri che apparecchiavano nella grande
sala da pranzo.
“
Prego. La cucina è sua !”
“
Non vorrei disturbarla.”
“
Non mi disturba, assolutamente.”
“
Lei è Giulia, vero ? La moglie di Cesare Panti ?”
“
Sì. Ma preferirei essere considerata Giulia, la maga dell’arrosto.”
Si
rese conto che era meglio evitare qualsiasi riferimento al marito. Un campo
minato professionale. Cercò qualcosa da dire per evitare un imbarazzante
silenzio.
“
Ha delle porcellane meravigliose,” disse indicando il servizio da tavola scelto per l’occasione.
“
Credo di sì. Non presto molta attenzione a queste cose. Se ne occupava mia
moglie. Ex-moglie.”
La
villa dell’avvocato Costa era davvero molto bella. Giulia non aveva visitato
l’interno a parte la cucina nella quale si trovava, ma l’esterno era
spettacolare, sembrava un piccolo castello medievale.
“
Ha davvero una splendida casa.”
“
Lo crede davvero ? L’ha scelta la mia ex-moglie. Dopo la separazione mi
sembrava enorme ed estranea. Ma devo ammettere che ora mi ci trovo molto bene.
Ci si abitua a tutto, no ?”
“
Certo, ma non sarà stato difficile abituarsi ad una casa bella come questa !”
rise Giulia.
“ E
lei ? Anche lei si è obbligata ad abituarsi ?”
Giulia
lo guardò con aria sorpresa. “ Cosa intende dire ?”
Costa
scrollò le spalle e sorrise “ Non lo so. Non ci faccia caso. A volte mi vengono
in mente pensieri strani. Una specie di intuizione. Ma non gli dia importanza.”
“
Sa, sono un po’ nervosa. Vorrei che stasera fosse tutto perfetto e ho paura di
essermi presa una responsabilità troppo grande.”
“
Lei si sottovaluta. Credo che i miei invitati non crederanno ai loro occhi
quando vedranno questa meraviglia,” disse lui osservando il lungo tavolo della
cucina sul quale erano disposti grandi piatti di portata con gli antipasti,
alcune specialità di Giulia già pronte per essere servite: sfogliatine al pollo
tartufato, crêpes agli asparagi, bignè di prosciutto e quiche lorraine ai
carciofi.
Giulia
si muoveva tra i fornelli e la dispensa. Aprì il forno per sistemare un’enorme
teglia di lasagnette con funghi e sugo di lepre. Poi diede un’occhiata esperta
al banco sul quale erano disposti gli ingredienti per i dolci: pasta
mandorlata, salsa di nocciola e sciroppo di zucchero.
Certa
di avere tutto sotto controllo, si sentì soddisfatta. “ Ha una cucina perfetta,
sembra di essere nel ristorante di Cristina. Mi fa venire un po’ d’invidia.”
“
Beh, una cucina perfetta per una vera professionista. Si occupa spesso di
catering ?”
“
Oh, no … in realtà è la prima volta. Sto solo dando una mano ai miei amici.”
“
Beh, se le venisse voglia di farlo avrebbe sicuramente un grande successo. Non
l’ha mai preso in considerazione ? In fondo, lei è un’esperta. La sua fama la
precede.”
“
Non credo che sarebbe possibile .. sono già molto impegnata con i miei libri,
la fotografia, il volontariato e la casa … è molto grande, e il mio tempo
sembra non bastare mai. Sa, mio marito tiene molto alla casa.” Lui la osservò
con uno sguardo interrogativo e leggermente ironico. O almeno, lei lo interpretò così. Si
sentì improvvisamente in imbarazzo.
“
Ora dovrei concentrarmi sulle quaglie,”
disse in fretta.
“
Posso sperare di avere la sua compagnia a
tavola ?”
“
Beh…non è possibile. Si ricorda ? Mi pagano per lavorare, non sono un’ospite
… comunque, grazie per il pensiero.”
“
Ma io sono il padrone di casa e la sto invitando. Qundi, sarebbe un’ospite.”
“
Non credo sia il caso.”
Lui
la guardò con aria divertita. “ Non è il caso perché suo marito non è qui ?”
Giulia
annuì con la testa. “ Ora però devo proprio rimettermi al lavoro. ” Costa
sorrise nuovamente e uscì dalla cucina. Giulia si sentì un po’ agitata.
Perché
mai dovrei, pensò, non ha detto niente di sconveniente.
Due
ore dopo, la musica e le risate entravano dalla porta a molla della cucina che
si apriva e si chiudeva al passaggio dei camerieri.
“
Si stanno divertendo un mondo,” disse Cristina entrando, “ e hanno ripulito i
piatti. Sei stata grande. Non so come avrei fatto senza di te. Sei davvero una
cuoca con i fiocchi !”
Nonostante
fosse molto stanca, Giulia si sentì elettrizzata dal complimento.
Quando
Costa fece capolino dalla porta dicendo che gli invitati volevano vedere lo
chef, accettò di seguirlo in sala da pranzo con piacere. Gli uomini e le donne
al tavolo sembravano tutti professionisti e uomini d’affari, e le loro compagne
erano eleganti e molto sofisticate.
La
coprirono di complimenti. Giulia si sentì felice. Era davvero soddisfatta.
Gli
ospiti chiesero di ballare e Costa cambiò il cd nell’impianto stereo.
Le
tese le mani. “ Sia gentile, mi regali un ballo.”
“
Oh, no. Ballo malissimo.”
“
Anch’io. Almeno saremo in due.” La guidò al centro della sala.
Giulia
si sentiva un po’ ridicola, ma si accorse che si stava divertendo.
Vide
che Cristina le faceva un cenno dalla porta indicando l’orologio al polso e si
rese conto che era mezzanotte passata. Era convinta che fossero le undici al
massimo. Cercò di abbandonare il ballo, ma Costa la guidò verso il giardino,
all’esterno della casa, dove altri invitati stavano ballando un lento.
“
Devo proprio andare,” sussurrò Giulia.
“
Solo cinque minuti. Mi piace ballare con lei.”
Costa
era poco più alto di Giulia. Le loro guance si sfiorarono.
“
Ha un buon profumo,” continuò lui a voce bassa.
Giulia
si sentì immediatamente a disagio e si irrigidì.
“
Mi scusi, non volevo metterla in imbarazzo.”
“
Beh … mi ha presa un po’ alla sprovvista.”
“
Le chiedo scusa. Era solo un complimento. Potrebbe accettarlo senza sentirsi a
disagio ?”
“
Penso di sì. La ringrazio.”
“
Di niente.”
Continuarono
a ballare in silenzio. Lei sentiva il suo respiro sul collo.
“
E’ molto tardi. Devo proprio andarmene …”
Non
aveva ancora finito la frase. “ Giulia !” La voce di Cesare era furiosa. Tutti
gli ospiti smisero di ballare e si fermarono a guardare l’uomo che avanzava a
grandi passi nel giardino illuminato dai lampioncini.
“
Finalmente ! Eccoti qui ! Al telefono e alla porta non risponde nessuno !” urlò
lui.
Giulia
avrebbe voluto scomparire, tanta era la vergogna che provava in quel momento.
“
Mio marito, Cesare Panti,” disse “ Cesare, ti presento Marco Costa … oh, che
sciocchezza. Avevo dimenticato che sicuramente vi conoscete …”. Il cuore le
batteva all’impazzata, in preda all’ansia e all’agitazione.
“
Sono spiacente che nessuno le abbia risposto,” disse Costa, “ eravamo qui e la
musica era alta. Vuole unirsi a noi ?”
“
Non credo proprio. E’ l’una del mattino e normalmente a quest’ora non ballo nei
giardini altrui.” rispose Cesare in tono maleducato. “ Allora,” si girò a guardarla con
occhi feroci “ prendi le tue cose
in fretta e andiamo a casa.”
Giulia
si sentì morire di vergogna.
Senza
salutare nessuno, corse in cucina e prese la borsa. Cristina e Paolo erano già
andati via.
Poi
si diresse verso la sua macchina, osservando la rigida sagoma del marito
all’interno della sua. L’umiliazione subita le fece venire una gran voglia di
piangere.
Mise
in moto e seguì Cesare che guidava a forte velocità verso la loro casa.
Perché
? si chiese, perché si comporta così ? Dannazione, mi ha fatto fare una figura
da idiota. Era stata una bellissima serata, e la cattiveria di Cesare l’aveva
rovinata. Ma chi credeva di essere ? Con quale diritto le mancava di
rispetto in quel modo ?
Quando
Giulia arrivò a casa, Cesare aveva già parcheggiato e la stava aspettando
davanti alla porta d’ingresso. Questa storia deve finire, pensò lei, sarò calma
e ragionevole, ma non possiamo andare avanti così.
“
Cesare, sono sbalordita. Sei stato veramente maleducato.”
“
Maleducato ? Cosa stai dicendo ? Sono venuto a riprendere mia moglie, che
doveva essere a casa ore fa.”
“
Mi hai umiliata davanti agli invitati e lo sai. Come hai potuto farmi
vergognare così ?”
“
Forse ero preoccupato, non credi ? Era l’una del mattino, e non ti sei neanche
degnata di farmi una telefonata ! Cosa dovevo pensare ?”
“
Potevi chiamarmi sul cellulare, per esempio.”
“
L’ho fatto, mia cara, ma evidentemente eri troppo occupata a divertirti per
sentire il telefono. Ma ti rendi conto ? Esco di notte per cercarti e dove ti
trovo ? A lavorare ? A fare quello che avresti dovuto ? No ! Oh, no ! Lei
ballava ! Ballava con quel figlio di puttana di Costa ! Ma lo fai apposta ? Sei
completamente stupida o pensi di farmi fare la figura dell’imbecille ?”
“
Ho ballato cinque minuti e non potevo rifiutare senza essere scortese. E
comunque, stavo per venire via.”
“
Cinque minuti ? Sei sicura ? Pensaci bene, perché c’ero anch’io !”
A
Giulia saltarono i nervi per la tensione e la paura.
“
Mi stavi spiando ? Dovresti vergognarti. Ti sei comportato come un pazzo. Sei
saltato fuori all’improvviso urlando e hai messo tutti in imbarazzo.”
“
Non me ne frega niente. E soprattutto, non mi interessa quello che pensano
Costa e i suoi amici, chiaro ?”
“
Ti sei spiegato molto bene.”
Cesare
le voltò le spalle e si diresse verso l’ingresso.
“
Muoviti. Vieni in casa e vai a letto. Sono stanco di parlare con te.”
“
Perché fai così ?” chiese ancora lei “ perché sei sempre arrabbiato con tutti
?”
“
Ma fammi il piacere. Adesso cosa farai, scriverai un manuale di psicologia da
quattro soldi ? Pretendo le tue scuse ed è chiaro che una situazione del genere
non si ripeterà mai più.”
Lei
lo fissò sbigottita.
“
Le mie scuse ? Tu pretendi le mie scuse ?”
“
Non mi piace il tuo tono di voce, Giulia. Stai attenta, ti sto avvisando.”
“
Ah, e se non mi scuso cosa farai ? Mi chiuderai in casa per tutta la vita ?”
urlò lei.
“
Giulia, falla finita. Stai passando il limite. Sto perdendo la pazienza.”
“
No, non la faccio finita …”
Cesare
l’afferrò per un braccio.“ Mi stai stancando.”
Giulia
cercò di divincolarsi e sentì la seta della camicetta lacerarsi. Diventò furiosa.
“
Lasciami subito !” urlò.
“
Vieni dentro immediatamente.”
“
No ! Lasciami andare !”
Fuori
di sé per la rabbia, Cesare alzò la mano per colpirla. Lei si ritrovò
rovesciata sui gradini di pietra. Le ginocchia le facevano un male infernale e
la faccia le bruciava.
“
Oh Dio, Giulia !” mormorò Cesare.
La
sollevò da terra. Giulia aveva le calze strappate, le gambe sanguinanti e il
viso bagnato di lacrime. Appena si fu rimessa in piedi, lei barcollò un po’,
poi, senza dire una parola, comincio a salire i gradini.
“
Ti aiuto..” disse lui.
“
No. Non mi toccare.”
Entrò
lentamente in casa e gemendo salì la scala per andare in bagno.
“
Bene, fai come vuoi,” continuò Cesare, “ ma non è certo colpa mia se sei
caduta”.
Giulia
non si prese neanche il disturbo di rispondere.
In
bagno, si lavò le mani, buttò via le calze strappate e si disinfettò le
ginocchia. Alla faccia avrebbe pensato più tardi. Per quel tipo di ferita ormai
era pratica.
Lo
sentì dietro di lei.
“
Cosa vuoi ?” chiese, “ hai dimenticato di rinfacciarmi qualcosa ?”
Lui
sospirò profondamente: “ Non è stata colpa mia se ti sei fatta male.”
“
Mi hai spinta sui gradini.”
“
No. Ho cercato di farti entrare in casa. Tu mi hai respinto e sei caduta.”
“
Non è andata così.”
“ A
me sembra proprio di sì. Non inventarti stronzate per farmi sentire in colpa.”
“
Vuoi lasciarmi in pace ? Almeno questo ? Vorrei finire di disinfettarmi e
andare a dormire.”
“
Bene, spero che tu ci riesca. Per quanto riguarda me, non ne sono sicuro. E’
stata una notte orribile. E mia moglie mi accusa di responsabilità non mie.” Si
voltò e andò in camera da letto.
Giulia
si tamponò delicatamente il viso. Una settimana in casa, pensò, non posso certo
uscire conciata così. Pianse piano, seduta sul bordo della vasca, ripensando
alla catena di eventi che avevano fatto precipitare una serata iniziata tanto
serenamente.
Sono
stanca, pensò, stanca di avere paura dell’uomo che amo.
Quando
si infilò a letto la camera era buia. Cesare non disse una parola. Lei si voltò
dalla sua parte del letto, il più lontana possibile dal corpo di lui, e cercò
disperatamente di addormentarsi.
Non
dormì quasi per niente, ma quando lo sentì alzarsi alle sette del mattino finse
di farlo. Aspettò che lui si preparasse e scendesse in cucina per la colazione.
Allora si alzò, e zoppicando per il dolore alle ginocchia andò in bagno. La
faccia era gonfia e tumefatta, aveva gli occhi rossi per il pianto e profonde
occhiaie scure.
L’unica
consolazione era che quella mattina Rosa non sarebbe venuta, non era il suo
giorno. Almeno, non l’avrebbe vista in
quelle condizioni un’altra volta.
Decise
di non provare neanche a nascondere il livido e il gonfiore. Tanto, nessun
cosmetico avrebbe migliorato la situazione.
Scese
in cucina per bere un caffè. Cesare leggeva il giornale seduto al tavolo,
pronto per andare in studio. La guardò ansiosamente.“ Ti senti meglio ?” le chiese.
“ Mi
sento benissimo. Non si vede ?”
“
Vedo che hai l’aria molto stanca e il viso un po’ gonfio, e mi dispiace molto,
che tu ci creda o meno. Davvero. Non puoi immaginare quanto.”
“
Oh, sì, immagino. Ma sono stufa di questa commedia del dispiacere. Sei stato tu
a farmi male, anche se stai cercando di tirartene fuori.”
“
Capisco. Forse sarà meglio parlarne un’altra volta. Quando avrai le idee più
chiare e ricordi più precisi. Sei caduta da sola, Giulia, cerca di non
dimenticarlo.”
Quando
la macchina di Cesare lasciò il vialetto, lei si sedette sul dondolo del
piccolo porticato e pianse fino allo sfinimento.
Si
svegliò di soprassalto, fradicia di sudore. Un martello batteva ritmicamente
dentro la sua testa.
Insieme
al dolore, altri bisbigli lontani.
Il
bambino. Quale bambino ?
Interdetta.
Non so più dove sbattere la testa. Interdetta.
Scappare.
Devo scappare.
Richiuse
gli occhi e precipitò ancora in un incubo di ricordi.
Giulia allungò la mano per aprire
la porta della camera da letto e si sentì afferrare brutalmente un polso. Ruotò
su se stessa e accanto a lei, nell’oscurità, vide stagliarsi il profilo
minaccioso di Cesare. Anche la luce fioca non poteva nascondere la furia nella
sua espressione. Indossava solo un accappatoio e il suo alito puzzava di alcol.
In piedi accanto a lui, Giulia si rese conto del vantaggio fisico che aveva su
di lei. Con le mani le avrebbe potuto circondare facilmente la vita e, per
quanto ne sapeva, volendo avrebbe anche potuto spezzarle il collo.
“ Giulia, amore mio …” sussurrò,
attirandola verso di lui. La pressione sul polso aumentò, ma Giulia si fece
violenza per non urlare. Il dolore era lancinante.
Cesare parlava biascicando. “ Ti
ho chiesto di rimanere a casa con tuo marito, ma tu non ascolti mai … perché
fai così… perché mi obblighi a punirti ….” Prima che Giulia potesse pronunciare
una sola parola, Cesare la cinse con un braccio appoggiando il palmo della mano
contro la sua nuca, e attirando il viso di lei contro il suo.
Giulia cercò di divincolarsi, ma
invano. Lui la baciò con violenza, le labbra schiacciate contro i suoi denti.
La puzza di alcol nel fiato di lui le diede la nausea. Poi Cesare le lasciò il
polso e si tirò indietro. Con tutta la forza che aveva, Giulia lo schiaffeggiò.
Lui arretrò di un passo, barcollando, poi ritrovò un incerto equilibrio. La
guardò con odio, stringendo gli occhi, furioso e stupefatto. Prima si toccò la
guancia colpita, poi lasciò cadere la mano e scoppiò a ridere. “ Sei molto
combattiva stasera … non posso dire che non mi diverta …” le disse in tono
sarcastico.
“ Dovresti vergognarti. Hai
bevuto.”
“ Sei mia moglie.” Ora sul volto
e nella voce di Cesare apparvero un’improvvisa durezza e una cattiveria che la
spaventarono. “ In questa casa comando io. E tu mi appartieni. Sei una mia
proprietà.” Con una rapidità sorprendente per un ubriaco si mosse
all’improvviso e le strappò la camicia, infilandole una mano nel reggiseno.
Giulia cercò di liberarsi, ma Cesare le afferrò entrambe le braccia, e con una
violenza tale da toglierle il fiato la spinse contro la parete, bloccandola con
il corpo. Lei si agitò e scalciò, ma Cesare era troppo forte e la teneva
immobilizzata. Tenendola stretta per i polsi, le spinse le braccia indietro,
costringendola ad alzare le mani all’altezza delle spalle. Poi premette il suo
volto contro quello di Giulia, quasi soffocandola.
Lei cominciò a tossire,
sputandogli addosso la saliva, e le mancò il fiato quando la penetrò a forza
con la lingua. Poi Cesare le sollevò i polsi sopra la testa usando una sola
mano per bloccarli entrambi contro il muro, mentre con l’altra le rialzò la
gonna, chinandosi in avanti. Il movimento però gli fece perdere l’equilibrio e
Giulia riuscì a liberarsi una mano.
Terrorizzata, afferrò una piccola
scultura in ferro dal ripiano del mobile, pensando solo di difendersi e non di
colpirlo, ma quando Cesare si rese conto che lei gli stava sfuggendo e cercò di
afferrarla nuovamente, la sua mano colpì la statuina proprio nel punto più
affilato. Urlò e fece un salto all’indietro.
Gli occhi di Giulia ormai si erano abituati al buio del corridoio, e
guardò la mano che ora Cesare teneva sollevata davanti a sé. Entrambi la
fissarono stupefatti. La statuina aveva lacerato il palmo e il sangue stava
colando verso il polso. Non era una ferita grave, ma per Giulia le conseguenze
potevano essere pericolose. Lui la guardò. I suoi occhi erano cattivi. Poi,
oltre alla collera, lei vide sul suo volto la paura. E’ un violento e un
prepotente, pensò Giulia, ma è anche un vigliacco. Tenne la statuina in mano
con aria minacciosa. All’improvviso lui le sorrise. Si strinse la mano ferita e in tono
carezzevole le disse: “ Hai coraggio. Un’altra delle ragioni per cui ti amo
così tanto.”
Poi chinò la testa e rimase in
silenzio qualche istante. Con grande sorpresa di Giulia, si inginocchiò e
cominciò a piangere. “ Perdonami, Giulia. Non so cosa mi abbia preso. E’ la
gelosia per te che mi fa perdere la testa. Perdonami, ti prego …” Il pentimento
di Cesare sembrava sincero. Giulia abbassò la statuina e fece un passo verso di
lui. “ Ti scongiuro, non bere più… dimentichiamo questo incidente. Promettimi
che non succederà più.” Lui scosse la testa. “ Te lo prometto, amore mio…” Giulia si avvicinò ancora, pensando di
tendergli una mano per aiutarlo a rialzarsi. Ma Cesare si sollevò di colpo, e
con la testa e la spalla le assestò un colpo talmente violento da scaraventarla
sul pavimento, facendo volare via la statuina. Giulia non vedeva dov’era
caduta, ma nonostante l’impaccio della gonna lottò per rialzarsi, anche troppo
consapevole della sua vulnerabilità. Ma i tacchi alti la tradirono, e l’ultima
immagine che vide fu la figura di Cesare che incombeva su di lei.
Si
svegliò piangendo. Rivolse lo sguardo al comodino, dove una volta c’era il
telefono che Cesare aveva spostato. Non poteva chiamare nessuno. Nessuno poteva
aiutarla.
Cesare
l’avrebbe fatta interdire. Lei sarebbe scomparsa nel nulla. Tutti avrebbero
creduto alla disperazione del marito perfetto.
Quale
bambino ?
Doveva
andarsene.
Scostò
le lenzuola e si rese conto che indossava ancora l’assurdo vestito che portava
alla cena … di quando ? Della sera prima
? Aveva perso la cognizione del tempo. Con un senso di malessere, si accorse
che il suo corpo emanava un acre odore di sporco, di sudore. In ogni caso,
forse sarebbe riuscita a cambiarsi, ma di certo non aveva la forza di arrivare
al bagno per lavarsi.
Appoggiò
i piedi al pavimento e avvertì subito un senso di vertigine. Puoi farcela, si
disse, concentrati sui movimenti. Pensa solo che devi assolutamente andartene
da qui.
E quando
sarai riuscita a scappare dove andrai ? Guardò l’immagine della donna dai
lineamenti stravolti che la fissava dallo specchio. Ci penserò dopo. Sì, ma che
cosa racconterai ? A chi ? E come
dimostrerai che non sei completamente in preda al delirio ? Andrò dagli amici.
Non sono tuoi amici, sono amici di Cesare. Ho anche degli amici miei. Loro mi
crederanno. Sì ? Come Fabrizia, Carlo, Tiziana e tutti gli altri ? Si
immobilizzò, tesa nello sforzo di ricordare qualcosa che era lì, che combatteva
per emergere …le pastiglie ! Le pastiglie che aveva nascosto nel collant ! E dove le porterai ? Le porterò a Emanuela. Lei è un medico, mi ha
soccorsa quando mi hanno aggredita in quel parcheggio e forse è l’unica amica
che mi rimane. E se anche lei non dovesse credermi, allora niente può essere
peggio. Ci penserò dopo. Ora devo arrivare da lei.
Aprì
l’armadio e frugò nel cassetto delle calze. Le pastiglie erano lì, nel collant
arrotolato. Era sicura che non sarebbe riuscita a togliersi quel vestito
attillato, così si limitò a coprirlo con uno spolverino lungo. Infilò le scarpe più basse che riuscì a trovare e
mise il collant nella tasca. Aveva paura di svenire per la tensione. Il cuore
le batteva furiosamente e aveva la nausea.
Andò
alla porta e l’aprì con cautela. Dalla cucina provenivano i soliti suoni che
segnalavano la presenza di Rosa. Entrò nella camera degli ospiti, che da quando
Cesare era tornato a dormire con lei era diventata la stanza della domestica.
Controllò dalla finestra il posto macchina di Cesare. Vuoto. Per adesso, la
fortuna era dalla sua parte. Aprì piano il cassetto del comodino e le vide
subito. Le chiavi della macchina di Rosa. Non avrebbe saputo descrivere la
sensazione di sollievo e di eccitazione che provò in quel momento. Stai calma, sei
solo all’inizio dell’opera, si disse, devi ancora uscire da questa casa.
Tenendo le chiavi ben strette nella mano destra, scese lentamente le scale,
quasi schiacciandosi contro il muro. Sentì l’acqua scorrere nel lavello della
cucina e la musica provenire dalla radio accesa. Raggiunse la porta d’ingresso,
uscì e dopo averla richiusa senza rumore si tuffò praticamente giù per la
scalinata. Raggiunse la vecchia Panda di Rosa e provò la maniglia dello
sportello dalla parte del guidatore. Era aperta, e Giulia quasi scoppiò a
piangere per la gioia. Entrò in macchina richiudendo lo sportello senza fare
rumore. Il cuore le batteva fortissimo quando infilò la chiave nell’accensione
e mise in moto. Sentì Rosa urlare qualcosa dalla porta d’ingresso e dallo
specchietto vide la donna alzare le braccia frustrata. Adesso si sarebbe
sicuramente precipitata a telefonare a Cesare. Non aveva molto tempo. Doveva
scappare il più in fretta possibile. Partì facendo schizzare i sassolini del
vialetto, pensando freneticamente a cosa avrebbe fatto quando fosse arrivata al
cancello della villa. Sicuramente Rosa doveva avere in macchina un telecomando
per l’apertura. Tenendo il volante con una mano aprì il cruscotto e fece cadere
il contenuto a terra. Eccolo, il benedetto rettangolo di plastica grigia che le
avrebbe aperto la porta della prigione. Lo azionò e uscì sulla strada,
sentendosi come Steve McQueen in Papillon al secondo tentativo di fuga.
E adesso ? Dove sarebbe andata ? Non aveva neanche un euro ed era senza
documenti. E non è la prima volta, riflettè. La differenza è che adesso so chi
sono. Sono Giulia Marini, e sto cercando di scappare da un incubo. Aveva paura
di perdere il controllo della macchina ma soprattutto di essere fermata dai
vigili o dalla polizia. Che cosa avrebbe raccontato ? Che stava fuggendo da un
marito violento che voleva farla rinchiudere ? E che sì, certo che aveva la
patente, ma si trovava in uno zainetto scomparso, e comunque la macchina
l’aveva rubata a una domestica che in realtà era una carceriera stipendiata ?
Ah ! dimenticavo…il marito in questione è l’avvocato Panti, quello famoso. No,
nessuno le avrebbe creduto, si sarebbe messa nei guai e avrebbero
immediatamente contattato Cesare. Fermò la macchina prima di arrivare in
centro, all’altezza del parco giochi. Decine di bambini giocavano nel recinto
di sabbia sotto l’occhio attento di mamme e baby-sitter. Di quale bambino
aveva parlato Cesare ? Cominciò a camminare verso la piazzetta del Comune.
Si sentiva molto vicina a stramazzare al suolo, ma istintivamente sapeva che se
si fosse fermata anche solo per un istante rischiava di addormentarsi sul
marciapiede. Certo che devo essere proprio un bello spettacolo, pensò cogliendo
le occhiate dei passanti. Sudata e puzzolente e avvolta in uno spolverino adatto
ad una temperatura inferiore di almeno venti gradi. Però, sapeva esattamente
dove stava andando. Senza esitazioni, arrivò davanti alle vetrine della
Farmacia Polirama. Le gambe la spinsero fino alla porta. Si spostò di lato per
lasciare uscire una cliente e appena oltrepassata la soglia l’aria condizionata
la investì come una slavina di neve, congelandole addosso il sudore. Si sentì
la testa leggera e prima che potesse concentrarsi sul viso dell’uomo dietro il
banco si trovò per terra. Il farmacista corse accanto a lei e le mise una mano
sulla fronte. “ Signora ? Mi sente ? E’ cosciente ?” le chiese aprendole un
occhio per osservarlo. Intanto una giovane donna, anche lei in camice bianco,
si avvicinò con un bicchiere d’acqua in mano.
“
Forza, beva piano,” le disse appoggiandole il bicchiere alle labbra.
L’uomo
le tamponò la fronte con un fazzoletto.
“ Credo che sia stato il caldo..” mormorò Giulia.
“ In
effetti, non è un po’ troppo vestita ? Ci saranno almeno trenta gradi. Pensa di
farcela ad alzarsi ?”
Giulia
scosse la testa. “ Non credo di riuscire a reggermi in piedi.”
“
L’aiuto io. Rimarrà seduta fino a quando non si sentirà meglio.”
Il
farmacista l’accompagnò nel retro del negozio tenendola per la vita e la fece
accomodare su una sedia di plastica.
“ Come
si sente ? Va un po’ meglio ?” chiese sedendosi davanti a lei.
“ Sì,
grazie. E grazie per avermi soccorsa.”
“ Se
non sono troppo indiscreto… è un po’ di tempo che non la vedo e non mi sembra
in gran forma … è stata ammalata ? ”
Giulia
capì che il farmacista la conosceva. Oh Dio ! Grazie ! Forse allora l’avrebbe
aiutata ! L’emozione e il sollievo presero il sopravvento e Giulia cominciò a
piangere.
“
Dottore … potrebbe dirmi cosa sono queste ? ” chiese estraendo dalla tasca il
collant arrotolato davanti all’espressione incuriosita dell’uomo. Dalla calza
uscirono le pastiglie e rotolarono per terra. Il farmacista si chinò per
raccoglierle, le appoggiò sulla scrivania e le osservò con attenzione,
rigirandole un paio di volte.
“ Dove
le ha prese ? ”
“ Sa
cosa sono ? ”
“
Penso di sì.”
“ E’
Xanax ? ”
“
Xanax ? No, assolutamente no. Chi le ha detto che è Xanax ? ”
Giulia
si sentì impallidire. “ Non è Xanax ? ”
“ No,
a prima vista sembrerebbe Paxil.”
“
Cos’è ? ”
“
Qualcosa di molto pericoloso.” La guardò con espressione grave. “ Chi ha fatto
la prescizione ? Posso vedere la ricetta ? ”
“ Non ce l’ho. Non
.. non lo sapevo, un’amica mi ha detto che potevano essere utili contro
l’insonnia. E’ un po’ di tempo che faccio fatica a dormire.”
“
Guardi, sarò molto diretto. Chi le ha detto una cosa simile e le ha fornito
questo farmaco con leggerezza è un criminale. Questa roba è molto, molto
pericolosa. Adesso capisco perché si è sentita male. Quante pastiglie ha preso
? ”
“
Quattro o cinque.”
“
Madonna Santissima.”
“ Ma è
sicuro che sia ….Paxil ? ”
“ Al
novanta per cento. Se è così, sarà il caso di consultare un medico il prima
possibile. Mi faccia controllare su Internet,” disse afferrando il mouse del
computer.
“ In
rete si trova tutto, anche le immagini. Ecco, guardi, sono identiche alle
pastiglie di questa foto. Si tratta di Paxil, non c’è dubbio.”
“ Che
non è indicato contro l’insonnia.”
“ Sta
scherzando ? Questo farmaco si prescrive solo in caso di gravissime forme di
psicosi.”
“
Forme di psicosi ? ”
“ Sì, ed
è comunque prescritto quasi come un’ultima spiaggia, come tutti gli
psicofarmaci per la cura delle depressioni maggiori. Se viene assunto da una
persona che non soffre di questi disturbi, le conseguenze possono essere
gravissime. E’ possibile che favorisca l’insorgere di una psicosi.”
“
Significa che se una persona non era depressa lo diventerà ?”
“ E
non è tutto. L’assunzione regolare di questi farmaci senza una ragione valida
trasforma una persona in una specie di zombie. Inoltre, spesso origina sintomi
molto simili a quelli del morbo di Parkinson.”
“ Per
esempio ? ”
“
Spasmi, difficoltà di deambulazione…”
“
Anche problemi a deglutire ? Salivazione incontrollata ? ”
“
Certo. Tutto i sintomi che rientrano nel quadro clinico della psicosi. Lo dica
alla persona che le ha dato questo bel consiglio. Con questi farmaci si scherza
con il fuoco. Per fortuna ne ha prese solo quattro o cinque, se fossero state
di più rischiava di ammalarsi in modo grave.” La osservò per un istante. “ E’ sicura di non averne prese di più ? ”
Giulia
sorrise, provando una sensazione molto simile alla felicità. Non era pazza. I
suoi sogni erano ricordi reali. Le pastiglie che il dottor Zannini le aveva
prescritto non erano quelle che Cesare le aveva somministrato. Non era un
blando ansiolitico, ma uno psicofarmaco da “ ultima spiaggia ” in grado di trasformarla
in una “zombie ”. Ecco perché stava sempre male. Per forza non faceva altro che
dormire e deprimersi. Ecco perché non riusciva neanche ad alzarsi dal letto.
“ Ho
bisogno di riavere le pastiglie,” disse al farmacista, “ devo mostrarle a
qualcuno.”
“
Forse sarebbe meglio se andasse da un medico.”
“ E’
quello che ho intenzione di fare. Devo arrivare all’ospedale di Verbania. Sono
uscita senza borsa. Sarebbe così gentile da prestarmi i soldi per il taxi ?”
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