venerdì 11 gennaio 2013

Capitolo 5


mercoledì 14 maggio, ore 16.30

Giulia aspettava seduta da sola nello studio del dottor Zannini.
Fuori, nel corridoio, il medico e la polizia stavano parlando con un uomo che diceva di essere suo marito. Poco prima aveva scoperto il suo nome.
Il suo presunto nome.
Giulia Marini. Giulia Marini in Panti. Giulia Marini coniugata Panti.
Giulia, continuò a ripetere piano, sperando che quel nome si infiltrasse nella sua memoria aprendo qualche porta. Ma era solo un nome. Lettere prive di significato. Non erano legate a niente, nessuna emozione, solo un desolato senso di indifferenza. Chissà se anche l’uomo dietro quella porta non avrebbe portato con sé nulla. E se non l’avesse riconosciuto ? Sentiva un violento impulso che le urlava di scappare, correre via da quell’ospedale, nascondersi per sempre nel posto più lontano che fosse stato possibile raggiungere. Era terrorizzata all’idea di incontrare quell’uomo, quello sconosciuto. “Cesare Panti,” le aveva comunicato il dottor Zannini, “un avvocato famoso.”  Non voleva vederlo. Si obbligò a rimanere seduta. E comunque, come pensava di andarsene ? Tutte le finestre di quel reparto erano fornite di robuste grate. Non dimenticartelo, pensò, questo è un reparto per i pazzi. In ogni caso, se anche fosse riuscita a dileguarsi, dove sarebbe andata ? Non era già scappata abbastanza ? Le venne da piangere, ma cercò di non farlo timorosa che potessero sentirla.  Ma era ancora sola, seduta immobile nella stessa posizione da quella che le sembrava un’eternità, da quando il dottor Zannini le aveva detto che la polizia e l’avvocato Cesare Panti erano lì per lei. Ed era uscito per andare a incontrarli, abbandonandola su quella sedia con le sue angosce. E se quest’uomo e la polizia si fossero sbagliati ? Se neanche lui l’avesse riconosciuta ? Chissà com’era, questo famoso avvocato. Sposata ad un noto avvocato. Ecco spiegata la fede e il diamante del solitario.
La porta si aprì e il dottor Zannini rientrò nello studio accompagnato da tre poliziotti.
Il medico le sorrise, i poliziotti invece erano seri. Chissà se anche loro stavano pensando ad una camicia imbrattata di sangue.
“ Bene, signora Giulia Marini”, disse il medico con aria soddisfatta, mentre lei aveva ancora voglia di piangere “ qui fuori c’è suo marito e non vede l’ora di abbracciarla. Si sente pronta ? ”.
Le parole le uscirono dalla bocca esitanti, la voce bassissima “ Come fa a sapere che è mio marito ? Come fate ad esserne sicuri ? ”
“ Stamattina ha denunciato la sua scomparsa. La polizia ha alcune sue fotografie. E lui ha portato la sua carta d’identità e il vostro certificato di matrimonio. Non c’è alcun dubbio.”
“ Quindi, io sono proprio Giulia Marini”, ripetè lei.
“ Sì, ne siamo assolutamente certi.”
“ E Cesare Panti è il nome di mio marito? ”
“ Sì, ed è qui fuori. E’ molto preoccupato, ma anche sollevato per averla ritrovata. Ed è molto ansioso di vederla.”  Lei accennò un sorriso.
“ Credo che sia arrivato il momento di farlo entrare, non       crede ? ”
“ Aspetti… non me la sento. Non ancora. Per favore.”
Il dottor Zannini si avvicinò e le si inginocchiò davanti prendendole le mani. “ Mi ascolti, Giulia. Non c’è ragione di avere paura. E’ suo marito. Era fuori di sé dalla preoccupazione. La ama molto”.
“ Ma se per me non significa niente ? Se lo guardo e non lo riconosco ? Che cosa farò allora ? ”
“ Giulia, deve trovare la forza di affrontare la verità. E non pensa che sia crudele prolungare un’attesa che per suo marito è già tanto  angosciante ? Coraggio, lo affronteremo insieme.”
“ Resterà qui ? Non ci lascerà soli, vero ? La prego …”  e strinse con tutte le sue forze le mani del medico.
“ Non la lascio. Dovrà mandarmi via. Ora posso farlo entrare ? ”
“ Va bene.”
Il medico si rialzò e chiese ai poliziotti di uscire. Poi le accarezzò una guancia con tenerezza e le sussurrò “ Non abbia paura”. Uscì dallo studio richiudendo la porta.
Lei non riusciva quasi a respirare. Si sentiva invadere dal panico. Si alzò, si strofinò le mani sudate sui pantaloni, andò alla finestra, si risedette. Sentì alcune voci avvicinarsi.
Mio Dio, pensò ancora, e se non lo riconosco ?
Non lo riconobbe.
Il dottor Zannini rientrò nello studio in compagnia di un estraneo. Sulla cinquantina, alto e robusto ma snello, i folti capelli scuri un po’ brizzolati. Nonostante l’espressione sconvolta, era decisamente un bell’uomo. Lineamenti regolari, naso diritto e occhi verdi. Attraente. Aveva anche una bella bocca. Un uomo affascinante. Un affascinante sconosciuto. L’uomo le si avvicinò con espressione ansiosa, ma lei si tirò indietro istintivamente. Rimasero immobili a guardarsi.
“ Ciao,” disse lui con un tono di voce caldo, “ non sai quanto sono felice di vederti.”
Lei rimase in silenzio.
“ Giulia …. mi riconosci ? ”
Lei scosse la testa spaventata.
“ Cara … scusami. Sono un po’ nervoso.”
“ Perché ? ” chiese lei in tono sommesso.
“ Perché non so cosa fare. Non so come comportarmi. Non mi era mai successo di dover affrontare una situazione del genere”.
Anche lo sguardo di lui era confuso e disorientato.
Indossava un paio di pantaloni sportivi, blu scuro, una maglia di cotone a maniche lunghe grigio chiaro e in mano teneva una valigetta di pelle. Al polso un orologio d’oro e al dito una fede nuziale identica alla sua. Aveva delle belle mani. Forti, pensò, mani forti. Lui le sorrise e lei si sorprese a rispondere al sorriso.
“ Credo che ora vi lascerò un po’ soli,” disse il medico, “ e quando sarà pronta per tornare a casa non dimentichi di farmi chiamare. Vorrei salutarla”.
“ Sembra una brava persona,” disse lui quando il medico uscì dallo studio.
“ Sì, è stato molto gentile.”
“ Giulia, dimmi cosa devo fare. Cosa posso dire o fare per aiutarti. Non posso pensare che tu abbia paura di me.” Sospirò lentamente.
Lei gli si avvicinò un poco, non troppo.
“ Tu sei mio marito ? ” chiese titubante.
“ Sì, siamo sposati da sette anni.”
“ Quanti anni ho ? ”
“ Ne hai trentasette. Io ne ho cinquantadue. Ti ho affascinata con la mia maturità. Ti piacerebbe vedere il nostro certificato di matrimonio ? ”
“Sì.” rispose lei tendendo la mano per prenderlo.
Lo guardò. “ Ci siamo sposati a Cattolica ? ”
“ Sì. Il venti novembre del 2000. ”
“ Allora abitiamo lì ? ”
“ No. Ci siamo sposati a Cattolica perché ci vive mia madre. Tu non avevi più i genitori e ci piaceva l’idea di un matrimonio al mare. ”
“ E tuo padre ? ”
“ Era morto l’anno prima.”
“ Hai detto che non avevo più i genitori ? ”
“ No, sono morti molti anni fa. Mi dispiace.” Lei si sentì triste, non per la notizia, ma perché non li ricordava.
“ Se non viviamo a Cattolica, dove abitiamo ? ”
“ A Stresa, sul lago Maggiore. Ci siamo conosciuti qui a Milano, che è la tua città di origine, ma io abitavo a Stresa, così ti sei trasferita. La tua attività non ne avrebbe risentito. Inoltre, anche tu amavi il lago e l’idea di vivere in un posto pieno di verde.”
“ Tu sei un avvocato”, affermò lei.
“ Sì, un avvocato penalista. Ho il mio studio a Verbania, un socio e alcuni collaboratori. Tu sei una scrittrice”.
“ Una scrittrice ? Di cosa ? ”
“ Hai scritto e pubblicato cinque libri di cucina. Hai avuto molto successo. Ora stai per terminare il sesto.”
“ Non me lo ricordo. Non ricordo niente.”
“ Vuoi vedere la tua carta d’identità ? ” chiese lui porgendole il documento.
Lei lo aprì. Sì, era sicuramente lei.
“ Hai qualche fotografia ? ” chiese.
Lui estrasse qualche foto dalla valigetta. Quando lei le prese, le loro mani si sfiorarono per la prima volta. Nella prima foto erano abbracciati sulla sdraio di una spiaggia. Entrambi abbronzati e sorridenti, lei con i capelli molto più lunghi e più chiari di adesso.
“Dove è stata fatta ? ”
“ In Grecia. A Lyndos. Ci siamo andati due anni fa con Alberto e Laura. Alberto è il mio socio, lei è sua moglie.” Nessuno di questi nomi le disse niente.
La seconda fotografia li ritraeva ancora abbracciati, in abito da sera.
“ Questa l’abbiamo fatta a Cuba. La sera in cui abbiamo cenato nel miglior ristorante dell’Avana.  E’ stato l’anno scorso.”
Nell’ultima foto erano a cavallo e ridevano con aria un po’ nervosa.
“ Qui eravamo in Umbria. In un agriturismo meraviglioso vicino ad Assisi. Tre anni fa. Avevamo una paura maledetta di quei cavalli.”
“ Sorridiamo sempre. Sembravamo felici.”
“ Lo eravamo. E sono sicuro che tornerà tutto come prima,” disse lui dolcemente.
Lei gli restituì le foto.
“ Ho fratelli ? Sorelle ? ”
“ No, eri figlia unica. Anch’io lo sono. Però ho ancora mia madre, anche se non ci vediamo molto spesso.”
“ Sono laureata ? ”
“ Sì. Hai preso una laurea in Scienze Storiche all’Università Cattolica di Milano. Però non ti interessava insegnare e hai trovato un lavoro in una casa editrice.”
“ Perché ho smesso di lavorare ? ”
“ Beh, credo di avere qualche responsabilità in questo. Tu eri appassionata di cucina e adoravi scrivere, non avevamo bisogno del tuo stipendio e così ti ho convinta a dedicarti solo alle tue ricette. Ed è stato un bene, perché i tuoi libri sono molto richiesti.”
Lei sospirò profondamente, cercando il coraggio di fare la prossima domanda.
“ Ho … abbiamo dei bambini ? ”
“ No. Non ne abbiamo mai voluti. Ci siamo sempre bastati. Tre anni fa il ginecologo ti suggerì di sospendere la pillola. Ma non sei mai rimasta incinta.”
“ Mi dispiace.”
“ No, te l’ho detto. Non ho mai voluto figli. E il nostro matrimonio era felice perché neanche tu ne volevi. Evidentemente siamo nati per essere una coppia.”
Lei si strinse le braccia intorno al corpo, improvvisamente sfinita di emozioni. Cominciò a piangere silenziosamente. Lui l’abbracciò piano, con la paura di essere respinto. Ma lei non si ritrasse.  “ Non piangere,” bisbiglio’ lui, “ va tutto bene, va tutto bene..” La tenne stretta lasciando che si sfogasse. Stretta al suo petto, lei si sentì al sicuro. Poi si staccò lentamente, asciugandosi le lacrime con le mani.
“ Raccontami qualcos’altro. Qualcosa di bello.”
“ Beh… sei la donna più bella che io abbia mai conosciuto. Sei dolce, gentile, intelligente, divertente..…e sei una cuoca eccezionale.”
Lei gli sorrise quasi con affetto.
“ Sei stonata come una campana e sotto le tue cure non sopravvivono neanche le piante finte. Fortunatamente abbiamo un giardiniere.”
Lei rise. “ Un giardiniere ? E  magari abbiamo anche un maggiordomo e domestici in livrea ? ”
“ No, solo una signora che si limita a fare le pulizie. Non sopporti che qualcuno si occupi della tua casa. Ma sul giardiniere hai dovuto cedere.”
“ Ho altri terribili difetti ? ”
“ Beh… sei testarda come un mulo. Se ti metti un testa una cosa non c’è verso di fermarti. E hai una certa passione per i gioielli costosi. Ma questo non l’ho mai veramente considerato un difetto.”
“ Qual’ è il mio colore preferito ? Ho dei fiori preferiti ? E qual’ è il piatto che cucino meglio ? ”
“ Ti piacciono il nero, il blu e il rosso. I tuoi fiori preferiti sono le rose bianche. E i tuoi  piatti vegetariani sono imbattibili.”
“ Non mi sembra di essere una brutta persona.”
“ Sei una persona meravigliosa. E io ho pensato che sarei morto se non ti avessi ritrovata. Ogni tanto discutiamo, ma credo che il nostro sia un matrimonio molto speciale. E… e io ti amo tanto.”
Lei desiderò disperatamente tornare ad avere tutto quello che lui le aveva raccontato.
“ Se abbiamo un giardiniere, e quindi abbiamo un giardino, la nostra casa è immersa nel verde ? Si vede il lago ? E’ una casa grande ? ”
“ Sì, è grande e bellissima. L’hai arredata tu. E abbiamo un terrazzo dal quale possiamo vedere le isole Borromee. E tante magnolie nel giardino. ”
Lei rimase in silenzio.
“ La vuoi vedere ? ” chiese lui dolcemente prendendole la mano.
Lei sentì un calore salire dalla bocca dello stomaco e arrivare al cervello.
Lo guardò negli occhi e gli accarezzò una guancia.
“Sì, la vorrei vedere. Adesso.”

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