giovedì 15 maggio
Il sole entrava nella camera filtrando dalle
tapparelle. Cercò di mettersi seduta molto lentamente, provando a sostenersi
con i gomiti. Le ronzavano le orecchie e non riusciva a mettere a fuoco la
stanza. La bocca era impastata. Deglutì con fatica. E tentò di scendere dal
letto. Tutto cominciò a girare intorno a
lei. Si sentiva la testa pesantissima, come se al posto dei capelli avesse una cuffia di granito.
Lo specchio le rimandò l’immagine di una
donna patetica. Chi diavolo sei ? pensò con lo sguardo fisso su quel volto
gonfio di disperazione.
La testa cominciò a girare come una giostra
impazzita e ricadde sul cuscino. Vai piano, si disse. Si sentiva come anestetizzata. Cerca di
non svenire, ripetè a se stessa. Cercò di tornare alla realtà. Lei era Giulia
Marini, si era appena svegliata nel suo letto e il letto era nella camera della
villa in cui viveva con suo marito Cesare. Questo era ormai un fatto certo. Le
foto e i documenti l’avevano dimostrato. Suo marito era un avvocato famoso e
lei una nota scrittrice. Aveva un guardaroba pieno zeppo di vestiti firmati e
una vasca da bagno con le zampe in ottone. E non dimenticare, si disse, che
nella cabina doccia c’è anche l’idromassaggio.
Quindi, dal momento che l’esistenza di
questa vita privilegiata era certa, perché aveva solo voglia di nascondersi
sotto la coperta e scomparire ?
Ricordò l’incubo di quella notte. Tutto quel
sangue addosso a lei. Dopo la pastiglia che Cesare le aveva portato, però, non
aveva fatto altri brutti sogni. Aveva dormito ma si sentiva più stanca che mai,
come se avesse scalato una montagna a mani nude. E i suoi pensieri erano
terribilmente confusi. Il profumo delle saponette alla vaniglia nella boccia di
cristallo le dava la nausea. Guardò la sveglia sul comodino. Le nove del
mattino. Era ora di alzarsi. Ma appena provò a scendere dal letto il pavimento
le si lanciò addosso. Si ritrovò in ginocchio senza neanche accorgersene.
Dove sarà Cesare ? si chiese pensando che in
quel momento non le sarebbe dispiaciuto un sostegno. Lentamente, si rialzò e si
trascinò nel bagno. La casa era silenziosa, sembrava che non ci fosse nessuno.
Si sedette sul water tenendosi la testa fra le mani. Forse era depressa perché
suo marito non era accanto a lei quando si era svegliata. Non dire stronzate,
pensò, non sai neanche chi sia. Si gettò un po’ d’acqua sul viso senza riuscire
a togliersi la nebbia dalla testa.
La donna nello specchio la fissò con lo
sguardo spento, pallida e sofferente. Non si lavò neanche i denti. Si trascinò
di nuovo in camera da letto e tornò nel caldo rifugio del sonno.
Si risvegliò a mezzogiorno. La sua testa era
un po’ più sgombra e le gambe la reggevano senza troppa fatica, anche se il
senso di paura e depressione che l’aveva assalita quel mattino non era ancora
andato via. Beh, meglio essere un po’ depressi che sanguinanti per Piazza del
Duomo, pensò ironicamente. Brava, stai facendo grandi progressi. Cominciò a
sentire la fame. Bene, sarebbe scesa e avrebbe dato un’occhiata al contenuto
del frigorifero.
Si infilò la vestaglia e scese le scale,
attraversò la sala da pranzo ed entrò in cucina. Una donna le dava le spalle ed
era intenta ad affettare qualcosa su un tagliere. Non si era accorta della sua
presenza.
“ Mi scusi ” disse lei.
La donna sobbalzò e si girò di scatto.
“ Mi scusi, l’ho spaventata ? ” chiese
Giulia.
“ Certo che no. Buongiorno. Spero abbia
dormito bene. E’ una bellissima giornata di sole” rispose la donna.
“ Non vorrei sembrarle maleducata, ma lei
chi è ? ”
“ Ah, mi scusi tanto, sono Rosa Zacchera, la
domestica. Vengo qui tre volte alla settimana. L’avvocato non glielo ha detto ?
”
“ Ha ragione. Mi scusi lei. Ho qualche
problema con la memoria.”
“ L’avvocato mi ha detto che ha avuto
un’amnesia. Si sente bene ? ”
“ Passerà presto. Sa dov’è mio marito ? ”
“ E’ andato allo studio stamattina presto.
Aveva degli impegni urgenti. Ma non si preoccupi, mi prenderò io cura di lei.”
“ Grazie, ma non credo di avere bisogno di
nulla.”
“ L’avvocato mi ha detto di occuparmi di
tutto.”
“ Va bene, ” cedette Giulia “ allora potrei
avere qualcosa da mangiare ? ”
“ Certo. Cosa le preparo ? Dei toast ? Uova
strapazzate ? Una fetta di torta ? Latte e cereali ? ”
“ Solo un caffè e qualche biscotto, se ce ne
sono. E se non è troppo disturbo avrei voglia di una spremuta d’arancia.”
“ Nessun disturbo. Il caffè è già pronto e
la spremuta gliela preparo in un minuto. Quali biscotti preferisce ? ” chiese
Rosa.
“ Non saprei. Che biscotti ci sono ? ”
“ Credo che i suoi biscotti preferiti siano
quelli ai cereali. Quelli croccanti. ”
“ Allora vada per quelli croccanti. Posso
fare qualcosa ? ”
“ L’avvocato ha detto che deve riposare.”
“ Bene, ma credo di potermi spremere due
arance senza grande fatica, non crede ? ” rispose Giulia un po’ seccata.
“ Non ne vedo il motivo. L’avvocato mi ha
detto molto chiaramente che non deve preoccuparsi di fare nulla.”
“ Beh, se l’ha detto
lui e lei è così gentile… ”
Si sedette al tavolo della cucina già stanca
di discutere con quella donna che le sembrava un robot telecomandato.
Rosa le posò davanti una tazza di caffè
caldo. Mentre Giulia allungava la mano per prendere la zuccheriera, la donna
aggiunse : “ Lei lo beve sempre nero.”
“ Ah…… beh, grazie.” Ritirò la mano dalla
zuccheriera sentendosi come una ladra colta sul fatto.
Mentre Rosa preparava la spremuta e
disponeva qualche biscotto su un piattino, Giulia la osservò. Non le sembrava
particolarmente simpatica e affabile, ma forse l’atteggiamento scostante della
donna dipendeva solo dal fatto che non sapeva bene come comportarsi. Non
succede tutti i giorni che la donna per la quale lavori tre giorni alla
settimana perda la memoria e non ti riconosca più.
Rosa dimostrava circa cinquant’anni, era
bassa e piuttosto tozza, oltre che abbondantemente sovrappeso. I capelli più
grigi che castani legati con un elastico lasciavano scoperto un volto
abbastanza grossolano, anche se non brutto. Più che altro, insignificante.
Indossava una gonna di jeans, scarpe basse con la suola di gomma e una maglia
di cotone un po’ sformata. Quando le posò davanti il piattino dei biscotti e il
bicchiere di spremuta notò che anche le mani erano grassocce e tozze, con le
unghie tagliate cortissime.
Dopo averla servita in silenzio, le voltò le
spalle e ricominciò ad affettare pomodori.
“ Normalmente cosa fa quando viene qui ? ”
chiese Giulia.
Rosa appoggiò il coltello sul tagliere, si
asciugò le mani sul grembiule allacciato alla vita e si voltò a guardarla.
“ Faccio le pulizie, pavimenti, vetri e la
polvere. Mi occupo di portare in tintoria i capi da lavare a secco e vado a
riprenderli. Faccio il bucato per le altre cose, sa…..asciugamani, lenzuola,
cose così, meno delicate. E stiro. Non beve la spremuta ? ”
Giulia si portò il bicchiere alla bocca. “
Lei ci mette sempre un cucchiaino di zucchero.”
Le prese il bicchiere dalla mano e mise lo zucchero nella spremuta.
Giulia la guardò con stizza. Si sentiva come
una bambina un po’ scema.
“ Potevo farlo da sola.” Rosa non si prese neanche il disturbo di
rispondere. Era chiaro che stava ubbidendo a ordini precisi e non avrebbe
deviato di un millimetro dalle disposizioni ricevute.
Giulia decise di lasciarla fare. In fondo
quella donna stava solo facendo quello che doveva.
“ Lavora per noi da molto tempo ? ” le
chiese mentre Rosa lavava la tazza del caffè.
“ Da circa sei anni.”
“ Spero che non si sia offesa per il fatto
che non me lo ricordo …”
“ Guardi, non è che ci siamo mai incontrate
spesso. Io vengo qui quando lei fa la volontaria alla biblioteca e in quei
giorni non ci incontriamo mai. Quando lei è in casa, in genere sta lavorando
nel suo studio e io non la disturbo. Se faccio più ore per le pulizie di fino,
l’avvocato organizza sempre perché in casa non ci sia nessuno.”
“ Come l’ho assunta ? Lavorava per qualcuno
che conosco ? ”
“ No, mi ha assunta l’avvocato.”
“ E’ stato mio marito ad assumerla ? Strano,
pensavo di essere io quella che si occupa della casa, ” rispose Giulia un po’ perplessa.
“ L’avvocato ha dato una mano a mio marito.
L’ha tirato fuori dai guai. Non mi fraintenda, mio marito è una brava persona.
Ha avuto qualche problema a causa delle cattive compagnie. Senza l’aiuto di suo
marito probabilmente sarebbe in galera senza aver fatto niente. E’ stata una
benedizione del cielo. Ancora caffè ? ”
“ Scusi ? ”
“ Gradisce un’altra tazza di caffè ? ”
“ Oh…. no, grazie. Sono a posto così.”
“ Forse dovrebbe mangiare qualche altro
biscotto. E’ un po’ troppo magra.”
Giulia si osservò la caviglia nuda sopra la
pantofola di cotone. Le sembrava affusolata, non magra.
“ E oggi a che ora finisce ? ”
“ L’avvocato mi ha chiesto di trasferirmi
qui fino a quando la situazione non sarà tornata normale. Sa, da giovane ho
fatto un corso da infermiera,” replicò Rosa con aria decisa.
“ E suo marito ? E’ d’accordo ? ” chiese
Giulia.
“ Per lui non ci sono problemi. Farebbe
qualsiasi cosa per l’avvocato. Sa, noi dobbiamo molto a suo marito. L’avvocato
è una persona meravigliosa. Ha fornito lui le referenze alle altre persone per
cui lavoro. Non credo che l’avrebbero fatto in molti. Le persone importanti
pensano solo a guadagnare soldi.”
Giulia pensò alle banconote da cinquecento
euro che si era ritrovata in tasca.
“ Mi scusi signora, non volevo essere
maleducata.”
“ Non si deve scusare.”
“ Volevo solo spiegare che l’avvocato è
stato sempre molto generoso e sensibile. Ha tirato fuori dai guai mio marito
senza chiedere un soldo di parcella, gli ha trovato un lavoro come muratore e
poi ha offerto un lavoro anche a me. All’inizio ho pensato che era un po’
strano. Voglio dire, nessuno fa niente per niente. Ma suo marito è fatto così.
Gli dobbiamo molto. Faremmo qualsiasi cosa per lui.”
Giulia sorrise. Le piaceva l’idea di essere
sposata ad un uomo così benvoluto, anche perché se Cesare era tanto meraviglioso
probabilmente anche lei era una bella persona. Ma allora perché era scappata
salendo sul tram della fuga isterica ?
“ Ora vuole riposarsi un po’ ? ” le domandò
Rosa.
Giulia si alzò dalla sedia. “ No, vorrei
uscire sul porticato e godermi il sole.”
Non protestò quando Rosa dichiarò che
l’avrebbe accompagnata.
Il porticato era ancora più bello della sera
prima. Intimo e accogliente. Si sedette sul dondolo in mezzo ai fiori. Il sole
la riscaldò facendola sentire in pace con se stessa.
“ Le porto qualcosa di più pesante da
appoggiare sulle spalle ” disse Rosa, e rientrò in cucina prima che Giulia
potesse dirle che non era necessario. Ok, aveva una schiava-
infermiera-domestica-cuoca a sua disposizione e sembrava che la sua opinione
non contasse assolutamente nulla. Probabilmente avrebbe cercato di farle il
bagno e di vestirla ? Le avrebbe scelto i vestiti da indossare e i libri da
leggere ? E le avrebbe anche detto a che ora andare a dormire e quali programmi
televisivi guardare ? Decisamente, era il caso di riprendersi in fretta per
dare un taglio veloce a questa situazione assurda.
O forse sono ingiusta e ingrata. Non so
riconoscere la gentilezza e la comprensione. Faccio schifo. Qualcuno sta
cercando di rendermi la vita più facile e io reagisco come una stupida. Perché
mi comporto così ? Dannazione !
Le lacrime le salirono agli occhi con
prepotenza e ben presto il pianto diventò un singhiozzo. Sentì le mani di Rosa
appoggiarle con gentilezza un plaid sulle spalle e posarle in grembo un
pacchetto di fazzolettini di carta. Le venne in mente una pubblicità … Scottex,
il posto più morbido in cui mettere il naso. Quanto sono idiota, pensò.
“ Prenda,” disse Rosa mettendole una
pastiglia bianca nel palmo della mano e porgendole un bicchiere d’acqua.
“ Non la voglio” piagnucolò lei asciugandosi
le lacrime con la manica della vestaglia.
“ L’avvocato dice che deve prenderla.”
“ Ho detto che non la voglio.”
“ Perché vuole che l’avvocato si preoccupi
ancora di più ?” chiese Rosa come se stesse parlando ad una ragazzina
capricciosa.
Giulia capì che era inutile discutere. Tanto
vale, pensò, e buttò giù la pastiglia con un sorso d’acqua.
Nel sogno, aveva dimenticato di chiudere la
portiera. Nonostante fosse già in ritardo, Giulia non venne meno alle sue
abitudini. Tornò indietro, inserì la chiave nella serratura, la girò e
controllò che la portiera fosse chiusa, poi infilò il mazzo nella borsa. Nella
mano destra teneva il cartellino di riconoscimento per poter entrare dalla
porta riservata al personale del pronto soccorso. Sentì la sua presenza senza
neanche averlo visto: puzzava, era una massa fisica indefinita e incombente. Le
fu addosso all’improvviso e la spinse contro la macchina con il suo corpo,
senza neanche toccarla con le mani. Lei cercò di girarsi, di affrontarlo. Ma
lui le stava addosso, parlandole in modo incomprensibile, a voce bassa,
minaccioso.
“ Cosa ? Cosa .. ?
L’uomo l’afferrò per una spalla con un
grugnito e con l’altra cercò di strapparle la camicetta. Istintivamente, lei
alzò una mano per proteggersi il seno.
“Vuoi i soldi ? Vuoi i soldi ? Prendi la
borsa, prendi ….”
L’uomo la colpì in faccia con un pugno
violentissimo. Lei sentì il dolore esploderle nel cervello.
Cercò di spingerlo via e di allontanarsi
dalla macchina, dalla stretta di quella mano e dai suoi pugni furiosi. Gli
scagliò addosso la borsa con tutte le sue forze. Capì di averlo colpito, lo
sentì urlare rabbiosamente.
Lei gridò.
“ Aiuto ! Per favore, aiuto ! Qualcuno mi
aiuti …”
La mano dell’uomo le strinse la gola mentre
le si gettava ancora addosso.
“ La prego, la prego, non mi faccia del
male…la prego.. prenda tutti i soldi…”
Lui ricominciò a colpirla, e ogni volta che
il pugno si alzava e calava su di lei il dolore era sempre più forte. Continuò
a urlare con tutte le sue forze. Sperava che questo lo avrebbe fermato, che il
rumore attirasse qualcuno. Erano nel parcheggio del pronto soccorso, era
pomeriggio, c’era luce. La sentirono
dall’interno dell’ambulatorio e si precipitarono alla finestra, pazienti in
attesa e personale in servizio. Giulia vide che la guardavano. Sentiva qualcosa
di pesante e appiccicoso sulla faccia, sapeva che era il suo sangue. Sapeva che
quell’uomo la stava massacrando a pugni. Si sentì vuota, leggera, come se
stesse scivolando via da se stessa.
Adesso anche l’uomo faceva rumore. Lei
urlava per il dolore e per il terrore, lui per la rabbia e la frustrazione.
Poi, in un attimo tornò la calma. L’uomo si allontanò da lei e lasciò scivolare
le braccia lungo i fianchi. La guardò con odio. Si guardò intorno come se solo
ora si rendesse conto che erano in piena luce, in un parcheggio, e che qualcuno
si stava precipitando verso di loro.
Si girò correndo e scomparve.
Ora le grida di Giulia erano più deboli. Si
guardò intorno, vide le macchine e gli alberi confondersi. Si trascinò sulle ginocchia verso un cestino
per i rifiuti, vi si appoggiò e cominciò a piangere. Sentì che il suo corpo
scivolava via … e l’ultima immagine che ricordò fu il bel volto di Emanuela
accanto al suo.
Si svegliò di soprassalto, fradicia di sudore.
Aprì gli occhi cercando di orientarsi. Era
sul dondolo del porticato e il sole non c’era più. Quante ore aveva dormito ? E
perché aveva fatto quel sogno orribile ?
Senti il telefono squillare. “ Pronto ? ”
rispose la voce di Rosa. “ No, la signora non è in casa. Starà via per qualche giorno….. certo, le
riferirò il messaggio. Arrivederci.”
Giulia lasciò il porticato ed entrò in
cucina. Rosa aveva appena riagganciato la cornetta del telefono. Sentì i passi
di Giulia e si girò. “ Ah, si è svegliata”.
“ Chi era al telefono ? ”
La donna rispose un po’ imbarazzata. “ Mi
scusi, non ho chiesto.”
“ Perché ha detto che non c’ero ? ”
La donna esitò un attimo prima di
rispondere.
“L’avvocato desidera che nessuno la disturbi
finchè non si sentirà meglio.”
“ Io non sto male. Ho solo perso
temporaneamente la memoria” rispose lei infastidita.
“ Appunto,” ribattè la donna, “ cosa
potrebbe dire a qualcuno che non riconosce ? ”
“ Beh, forse potrebbe darmi qualche
informazione utile, non le pare ? ” Ora Giulia si sentiva irritata.
“ O forse potrebbe crearle ancora più
confusione. Vuole mangiare qualcosa ? ”
“ Ma se ho mangiato poco fa”.
“ Ha fatto una leggera colazione e ha
saltato il pranzo. Forza, le farà bene e l’aiuterà …”
“ …
a stare meglio, certo.”
Sedette rassegnata al tavolo della cucina
mentre Rosa cominciava a cucinare.
Più tardi, approfittando del fatto che Rosa
era occupata con le pulizie, decise di esplorare il resto della casa. Salì al
primo piano e decise di cominciare dalla camera degli ospiti.
Le diede uno sguardo veloce: grandi finestre
che davano sul giardino con tende leggere giallo chiaro; la tappezzeria era
bianca con minuscoli fiorellini giallo e arancio; un letto matrimoniale in
ferro battuto con un copriletto arancio chiarissimo di pizzo e grandi cuscini
gialli disposti ordinatamente; due comodini di legno bianco con le rispettive
abat-jour; un tavolo da toilette abbinato ad una sedia ricoperta di stoffa
arancio con un grande specchio e tanti piccoli cassettini, anche questi di
legno bianco. Il pavimento era ricoperto da uno splendido parquet con sfumature
color miele. Sui muri, stampe incorniciate di impressionisti francesi. Contro
una parete, un armadio di legno bianco in stile classico. Giulia lo aprì.
Conteneva alcune paia di scarpe sportive: da ginnastica, colorate, e mocassini
bassi e comodi. Ne prese una per guardare la misura. Trentasei. Erano
sicuramente sue. Sul bastone appendiabiti c’erano alcune paia di jeans in varie
sfumature di azzurro più o meno stinto, magliette sportive, qualche tuta da
ginnastica e giacche sportive, non
impegnative. Sembrava tutto molto usato. Questi vestiti sono sicuramente miei,
pensò, chissà perché li tengo separati dagli altri. In un cassetto trovò della
semplice biancheria in cotone, calzettoni da palestra e alcuni pigiami di
cotone. Li toccò. Erano morbidi e profumati di ammorbidente, con disegni
spiritosi e frasi divertenti. Richiuse l’armadio ed entrò nel bagno attiguo.
Non conteneva nulla di personale. Sembrava il bagno di una camera d’albergo.
Sentì che Rosa era salita al primo piano e si dirigeva verso la camera da letto
principale. La seguì. La donna stava infilando i vestiti comprati il giorno
prima in un sacco per la biancheria, di quelli che si portano nelle tintorie.
“ Cosa sta facendo ? ” chiese.
“ Le faccio lavare questi vestiti. Non
dovrebbe appendere le cose alla maniglia della finestra. L’avvocato non ama il
disordine.”
Giulia non rispose. Andò in bagno, le era
venuta voglia di sciacquarsi il viso.
Dopo essersi rinfrescata, aprì le antine del
mobiletto. Una quantità incredibile di cosmetici occupava i ripiani di vetro.
Alcuni da uomo, ma quasi tutti femminili. Lancôme, Helena Rubinstein, Shiseido…
sembrava tutto molto costoso.
Appena Rosa ebbe lasciato la camera da
letto, corse a controllare il reggiseno sotto il materasso. Ovviamente, il
letto era stato perfettamente rifatto. C’era. Sentì un incredibile sollievo ma
pensò che avrebbe dovuto trovare un nascondiglio migliore per quella chiave.
Per adesso può restare qui, si disse, ci penserò più tardi.
Cominciava a sentirsi stanca. Avrebbe finito
il giro delle stanze in un altro momento, magari con Cesare. Poteva scendere in
salotto e guardare la televisione, oppure sdraiarsi sul divano a leggere un
libro, ma in realtà non ne aveva molta voglia.
Quello che voleva era che Cesare tornasse a
casa. Aveva voglia di parlare con lui, sapere della sua giornata, fargli un
altro milione di domande sulla loro vita insieme. Era rimasta un po’ delusa del
fatto che non si fosse fatto vivo per tutto il giorno. In fondo, la sua perduta
moglie era appena tornata a casa. Ritorno a casa. Il ritorno di Lassie. Ma
tornata da dove ?
Decise di andare a sedersi nel piccolo
porticato della cucina. Lo sentiva come un luogo familiare, sicuro. Chissà se
Cesare riteneva necessario prendere un appuntamento per lei con uno psichiatra.
Magari una bella seduta di ipnosi. Ripensò al sangue e ai soldi. No, forse
l’ipnosi era meglio evitarla, almeno fino a quando non avesse cominciato a
ricordare qualcosa. Ma quanto tempo ci sarebbe voluto ? Che cosa poteva fare ?
Stava vivendo una situazione assurda.
“Ciao,” la salutò Cesare sporgendosi dalla
portafinestra, “ come stai ? ”
“ Ciao a te,” rispose Giulia sentendosi
incredibilmente contenta della sua presenza.
“ Sono felice che tu sia tornato.” Andò
verso di lui e lo abbracciò. Lui la baciò sulla fronte.
“ Ne sono lieto,” le sussurrò all’orecchio,
“ mi sei mancata.” Si staccò dal suo abbraccio e la scrutò in viso. “ Va tutto
bene ? Hai avuto problemi con Rosa ? ”
“ No, assolutamente.”
“ Ma c’è qualcosa che non va. Su, dimmelo.”
“ Mah… non lo so. Credevo che ritrovarmi a
casa mi avrebbe fatto ritornare la memoria.” rispose lei con una vocina
afflitta.
“ Non ti devi sforzare. Vedrai, la memoria
ti tornerà presto. Devi avere un po’ di pazienza. Beviamo qualcosa insieme ? ”
“ Certo. Fai tu anche per me ? ”
“ Agli ordini, mia signora.” Rise e andò al
mobile bar della sala per preparare gli aperitivi. Giulia rimase a dondolarsi
nel portico. Tornò poco dopo con due bicchieri di Martini secco.
“ Il suo preferito, madame.” Sorrise
porgendole il bicchiere e sedendosi accanto a lei.
Giulia sorseggiò il drink. Le bruciò un po’
la gola.
“Com’è andata oggi ?” chiese cercando di
comportarsi da brava mogliettina.
“Una
giornata da dimenticare ….decine di problemi e clienti insopportabili ” rispose
lui. L’abbracciò avvicinandola a
sé. “ Scusami se non ero qui stamattina. Avrei voluto, speravo che la mia
presenza in studio non fosse necessaria, ma purtroppo abbiamo molte pratiche
urgenti. Ho telefonato tre volte, ma Rosa mi ha detto che dormivi.”
“ Già, in effetti devo aver dormito quasi
tutto il giorno. Credo che siano state le pastiglie.”
“ Non credo,” disse Cesare, “ il dottor
Zannini mi ha detto che non danno sonnolenza. Sono solo dei leggeri ansiolitici
che ti dovrebbero aiutare a rilassarti. Probabilmente eri molto stanca.”
“ Ho avuto un altro incubo.”
“ Ancora un lago di sangue ? ”
“ No, per fortuna. Ma era ugualmente
orribile. Un uomo che mi aggrediva in un parcheggio.”
Lui la osservò con lo sguardo
improvvisamente allarmato.
“ Raccontamelo” le chiese con un tono di
voce serio.
Giulia gli raccontò tutto quello che
ricordava dell’incubo, anche se parlarne la faceva stare ancora male.
Lui sospirò profondamente. “ Non hai avuto
un incubo”, disse poi lentamente.
“ Cosa vuoi dire ? ” Le mani le tremavano un
po’.
“ E’ successo veramente. Cinque anni fa. Non
me lo dimenticherò mai.”
“ Sono stata aggredita davvero ? ”
“ Sì. Nel parcheggio del Pronto Soccorso di
Verbania. Eri appena arrivata per fare le tue ore di volontariato. Un uomo ti è
arrivato alle spalle e ti ha picchiata a pugni. Un pazzo, evidentemente.
Purtroppo non l’hanno mai identificato e l’ha fatta franca. La notizia è finita
anche sui telegiornali locali. Sei stata molto fortunata, ti hanno sentito
gridare dall’ambulatorio e si sono precipitati fuori. Sei stata soccorsa
subito. All’inizio sembrava molto grave, ma grazie a Dio non hai riportato
nessun danno fisico permanente. “
“ Sono stata ricoverata ? ”
“ Sei rimasta in ospedale per quattro mesi.
Ma quando sei uscita eri ancora più bella di prima. Emanuela non lasciava il
tuo letto neanche per andare a mangiare ed era sempre lì anche quando non era
di turno. Beh, anch’io.”
“ Emanuela ? ”
“ La dottoressa Sala. E’ un medico del
Pronto Soccorso. Siete diventate molto amiche. Non potrò mai ringraziarla
abbastanza per quello che ha fatto per te.”
“ Quindi questo è successo davvero….”
mormorò lei.
“ Giulia, non capisci ? Non capisci che stai
cominciando a ricordare ? Vedi, è come aveva detto il dottore. Ci vuole solo un
po’ di tempo e tanto riposo.”
Rimasero qulche minuto in silenzio.
“ Vuoi sdraiarti un po’ prima di cena ?
Forse ricorderai qualcos’altro.”
“ No, grazie. Non sono stanca.”
E per oggi di ricordi ne ho avuti
abbastanza.
Ma questo non lo disse a voce alta.
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