Cesare
era riuscito a parcheggiare in via Paleocapa, un centinaio di metri prima della
fermata dell’autobus per l’aeroporto di Malpensa.
“
Giulia, ti senti bene ? Pensi di riuscire a camminare fino alla stazione ?”
Lei
era sfinita. Quella mattina non si sarebbe neanche alzata dal letto, ma Cesare
aveva deciso che sarebbero andati a Milano a recuperare i trentamila euro che
Giulia aveva preso dal loro conto corrente. Quando lui ne aveva parlato, Giulia
aveva avuto bisogno di tempo per ricordare i particolari. Poi era riuscita a
far emergere dalla confusione della sua mente l’immagine di un reggiseno di
pizzo e di una piccola chiave filiforme. Non aveva immaginato di doverlo
accompagnare, ma lui aveva insistito e Giulia non aveva l’energia necessaria
per sostenere neanche una banale conversazione.
Quella
mattina, Laura e Fabrizia avevano telefonato per sapere se potevano passare da
casa a farle un saluto, e Cesare aveva detto ad entrambe che andavano a Milano
a fare un po’ di shopping, lei era dimagrita molto e aveva bisogno di rinnovare
il guardaroba, inoltre sperava che fare acquisti l’avrebbe messa di buon umore.
Perché non passavano tra qualche giorno ? Così avrebbero potuto ammirare i
nuovi abiti di Giulia. Della deviazione alla stazione di Cadorna non aveva
detto nulla, anche perché aveva
preferito non raccontare neanche agli amici che lei aveva rubato trentamila
euro prima di scomparire. In effetti, non era un dettaglio della vicenda di cui
andare molto fieri.
“ Sono
stanca. Preferisco aspettarti in macchina,” rispose, e sentì le parole
pronunciate dalla sua bocca provenire da lontano, come se a parlare fosse stato
un estraneo. Non voglio parlare, pensò, voglio solo abbassare il sedile e
rimanere qui a dormire.
“ Devi
sforzarti un po’,” insistè Cesare, “ camminare ti farà bene.
Non puoi dormire tutto il giorno, devi ricominciare a vivere normalmente.”
E
perché mai ? pensò lei. A pensarci bene, le veniva quasi da ridere. Quando
aveva desiderato disperatamente uscire Cesare l’aveva tenuta praticamente
segregata in casa. Quando avrebbe fatto l’impossibile per vedere gli amici
Cesare l’aveva isolata da tutti. Adesso che il suo unico desiderio era
rintanarsi nella sicurezza del suo letto e non parlare con nessuno, Cesare la
obbligava a fare vita sociale e gite in città. Perché ? Perché non la
lasciavano in pace ?
“
Forza,” disse Cesare aprendole lo sportello e aiutandola a scendere. Forse lui
non voleva lasciarla sola in macchina per paura di non ritrovarla al suo
ritorno. Non aveva ancora capito che sarebbe stato meglio per tutti ? Sparita.
Scomparsa per sempre.
E
invece no, era ancora lì, sollevata di peso dal sedile della macchina, in
minigonna e top di seta come se stesse andando ad una festa, i capelli lavati
quel mattino, anche se ormai non sembravano mai puliti, e il suo bellissimo
marito accanto a lei che la doveva sostenere per evitare che cadesse
inciampando nei suoi piedi. Arrivarono davanti alla stazione delle Ferrovie
Nord e lei era già fradicia di sudore, faceva un caldo terribile, l’afa e
l’umidità erano insopportabili e avrebbe voluto buttarsi nell’acqua della
fontana. Ogni passo era più difficile del precedente, le sembrava che il calore
le incendiasse la testa e si sentiva anche le orecchie tappate.
“ Vuoi
sederti e riposare un momento ?”
Lei
scosse lentamente la testa in segno di diniego. Fermarsi per qualche minuto non
sarebbe servito a niente, anzi, avrebbe ritardato il ritorno a casa.
Assolutamente no, pensò, sbrighiamoci in fretta, torniamo nell’aria
condizionata della macchina e corriamo a tutta velocità verso il mio letto, il
dondolo e le medicine. Le pastiglie. Solo grazie a loro le giornate erano
sopportabili. E pensare che all’inizio aveva cercato di rifiutarle, che follia.
Cesare
la guidava in mezzo a decine di persone che scendevano e salivano dai treni,
tirandola come un peso morto. Arrivati al gabbiotto del Safe Box, lei si
sedette sul basso muretto di pietra mentre Cesare si metteva in coda dietro una
coppia di americani e un uomo di colore in giacca e cravatta. Nessuno faceva
caso a lei. Se ne avesse avuto la forza, si sarebbe alzata e avrebbe seguito la
folla, confondendosi al suo interno, una figura in mezzo ad altre centinaia. E
questa volta era sicura che non ci sarebbe stato un seguito. Ma le ginocchia le
tremavano per lo sforzo dei pochi metri percorsi e sapeva che avrebbe avuto
bisogno di Cesare anche solo per rimettersi in piedi. Osservò il marito
aspettare pazientemente il suo turno e dire qualcosa all’impiegato. Qualche
minuto dopo erano davanti alle cassette di sicurezza, lei appoggiata al muro e
Cesare e l’impiegato con le loro chiavi in mano. Poi l’impiegato li lasciò
soli, e Cesare estrasse dalla cassetta la borsa di pelle nera. La posò sul
tavolo e guardò dentro. Le sembrò che impallidisse. Forse aveva visto la
camicia sporca di sangue. Chiuse la borsa senza dire nulla e tornò al gabbiotto
per saldare i giorni di deposito. Quando ebbe finito, andarono nel bagno. La
borsa, la camicia e gli altri vestiti finirono in fondo al grosso bidone della
spazzatura, le banconote da cinquecento euro furono velocemente trasferite
nella valigetta che Cesare aveva portato con sé. Finalmente, pensò Giulia, ora
possiamo tornare a casa. Ma Cesare aveva altri programmi. Tornarono alla macchina
e lei si accomodò sul morbido sedile tirando un sospiro di sollievo, e solo
dopo qualche minuto di viaggio si rese conto che non stavano prendendo la
direzione per l’autostrada.
“ Dove
stiamo andando ?” chiese.
“ A
fare qualche acquisto per te.”
“ Oh
Dio, Cesare, no. Non mi sento bene. E poi, non ho bisogno di niente. Per
favore, torniamo a casa subito.”
“ Hai
bisogno di vestiti nuovi. Quelli che hai sono troppo larghi e non ha senso
farli stringere. Non puoi continuare a indossare abiti che non sono della tua
taglia. Comunque, non devi preoccuparti. Compreremo tutto nello stesso negozio
e sono sicuro che ti divertirai. Ti è sempre piaciuto fare shopping nelle
boutiques del centro.”
Davvero
? si chiese lei, non me lo ricordo. E comunque, chi se ne frega. Io voglio
andare a casa.
Non
disse più nulla, sapeva che tanto era inutile. Avrebbe fatto quello che voleva
lui, avrebbero comprato quello che piaceva a lui, qualsiasi cosa pur di finire
in fretta e tornare indietro. Aveva bisogno della sua pastiglia.
“ Se
non ti dispiace, passiamo un attimo nello studio di una collega. Devo ritirare
alcuni atti.”
Giulia
non rispose.
Parcheggiò
vicino al Castello Sforzesco e attraversarono la strada, lei aggrappata al
braccio di Cesare per riuscire a stargli dietro, lo sguardo concentrato sulle
strisce pedonali che sembravano accavallarsi una sull’altra. Lo vide salutare
con la mano una figura affacciata alla finestra del primo piano nel palazzo di
fronte a loro. La donna li accolse nell’atrio dello studio.
“
Cesare ! Come stai ?”
“
Benissimo, grazie. E tu, va tutto bene ?”
“ A
meraviglia. Ho già preparato gli atti e sono pronta per la mia vacanza. Ti
ringrazio molto per la disponibilità, comunque sono solo poche udienze.”
“ Non
c’è nessun problema. A proposito, lei è mia moglie, Giulia. Giulia, lei è una
collega, l’avvocato Carla Feltre.”
“
Ciao, lieta di conoscerti,” disse la donna guardandola come se avesse visto uno
scarafaggio sul lucido pavimento di marmo. Giulia non rispose. Forse le sue
labbra avevano accennato una specie di sorriso, ma non ne era molto sicura.
“
Carla si occupa di diritto di famiglia. Sta partendo per una crociera e mi
lascia un po’ di lavoro in sospeso.”
Lei
annuì, ma loro avevano cominciato ad esaminare degli incartamenti e non le
prestavano più attenzione.
Ecco,
parlate voi, pensò Giulia sollevata, guardandosi intorno per localizzare un
posto in cui sedersi.
Quella
donna non le piaceva, la faceva sentire inadeguata. Carla Feltre era perfetta
ed elegante, fresca come una rosa nonostante il calore opprimente che entrava
dalle finestre, i preziosi accessori intonati al tailleur di sartoria. La sua
voce era squillante e decisa, con il tono del professionista affermato. Si
chiese se anche nella sua vita precedente donne così sicure di loro stesse le
avessero provocato la stessa spiacevole sensazione. Probabilmente no, riflettè,
in fondo ero una scrittrice conosciuta e ho sposato un noto avvocato. E adesso
? Adesso non sono più niente, tutto quello che ero è precipitato da una
scalinata insieme alla mia vita.
Si
accorse che una donna seduta nella sala d’aspetto dello studio la stava
fissando. La guardò, e la donna abbassò gli occhi continuando a sfogliare una
rivista. Appena Giulia distolse lo sguardo, la donna ricominciò a fissarla.
“
Giulia, ho bisogno di qualche minuto. Ti dispiace aspettarmi qui ?” le chiese Cesare guidandola verso una sedia.
Lei si accomodò davanti alla donna che prima la stava scrutando, mentre Cesare
e Carla Feltre entravano in un ufficio.
La
donna la osservava di sottecchi girando le pagine della rivista. Giulia
cominciò a sentirsi un po’ imbarazzata. Prese un giornale dal tavolo e se lo
appoggiò sulle ginocchia.
“ Mi
scusi… lei non è Giulia ? L’amica di Emanuela Sala ?”
Giulia
sussultò, sollevò il viso e la guardò
stupita. La donna dimostrava circa la sua età ed era bellissima. Lunghi capelli
castani, occhi scuri, abbronzata e con un sorriso meraviglioso. Annuì senza
parlare.
“ Mi
dispiace,” continuò la donna, “ l’ho
spaventata ? Prima la stavo
osservando …. ero sicura di averla riconosciuta …”
Giulia
continuò a guardarla senza dire nulla.
“ Non
si ricorda di me ? Sono Sonia. Sonia Paggi. Ci siamo conosciute in ospedale.”
“ In
ospedale ?”
“ Sì…
scusi ancora… mi rendo conto che non è un argomento piacevole… e poi sono passati
pochi mesi. Lei non sta ancora bene, vero ?”
“ Lei
conosce Emanuela ? E mi ha conosciuta in ospedale ? Dove ?”
“ Non
se lo ricorda ? Giulia, si sente bene ? Cosa le è successo ?”
“ Io
.. non lo so. Sono stata male. Mio marito mi ha riportata a casa … ma non mi
ricordo nulla… in ospedale dove ? Quando ?”
La
donna smise di sorridere. “ Suo marito è l’uomo in compagnia dell’avvocato
Feltre ?”
“ Sì.”
“
Allora mi ascolti con attenzione,” disse la donna. Il tono della voce era
cambiato. Si sentiva l’urgenza. “ Quando
torna suo marito io smetterò di parlare e farò finta di non conoscerla. Credo
che stia succedendo qualcosa di poco chiaro. Io lavoro con l’avvocato Clerici.
Sono il ponte tra lo studio legale e l’associazione della dottoressa Sala. E
per quanto ne so, lei ora dovrebbe essere molto lontana da qui, in Sudafrica,
con Emanuela. Non so cosa sia successo, ma è chiaro che lei ha bisogno di
aiuto. Ci siamo conosciute all’ospedale di Gallarate, quando lei ha avuto
l’aborto. A gennaio. Poi ci siamo riviste nello studio di Martina. L’avvocato
Clerici. Era tutto pronto, Emanuela aveva sistemato tutto … ma lei non ricorda niente ?”
Giulia
non la stava più ascoltando. L’incidente. A gennaio. Emanuela. Il
Sudafrica. Cosa stava dicendo quella donna ?
“
Giulia, Giulia ! Mi ascolti !”
Ma lei
stava scivolando lentamente giù dalla sedia. Vide il volto della donna
sdoppiarsi, poi non vide più nulla.
“
Giulia … cara, stai meglio ?”
Lei
sentì la voce di Cesare e riaprì lentamente gli occhi. Era sdraiata sul
pavimento con qualcosa di morbido sotto la testa. Cosa diavolo sta succedendo,
si chiese mentalmente. Dietro Cesare vide il volto di Carla Feltre,
l’espressione chiaramente disgustata, e
accanto quello della donna che l’aveva così turbata. Nei suoi occhi ora c’era uno
sguardo strano, come … un allarme. Sì, un allarme. Era come se cercasse di
dirle qualcosa senza parlare, qualcosa di terribilmente importante.
“ Devi
essere svenuta per il caldo,” continuò lui,
“ non dovevo portarti a Milano, ti sei stancata troppo. Scusami, ora
torniamo a casa e potrai riposarti.”
“
Forse dovrebbe chiamare un medico,” intervenne la donna.
“ Non
è necessario. Mia moglie è in convalescenza e si è affaticata troppo. Appena
saremo a casa si sentirà meglio.” L’aiutò a rialzarsi e le fece bere un po’
d’acqua. Si congedò rapidamente dalla collega e raccolse la valigetta con i
soldi. Mentre Cesare infilava alcune cartelline nella tasca esterna della
ventiquattrore, la donna con i lunghi capelli castani le strinse un polso,
mentre con l’altra mano le infilava qualcosa tra il palmo e le dita.
Istintivamente,
Giulia strinse il pugno.
Le
parole della donna le giravano in testa confusamente. C’era qualcosa, qualcosa
che la sconosciuta aveva detto che le dava fastidio, come il rumore della goccia
da un rubinetto che perde, ma non riusciva a concentrarsi. Con un ultimo,
faticosissimo sforzo, infilò il bigliettino di carta tra la pelle e l’elastico
delle mutandine e si lasciò cadere sul sedile della macchina.
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