Si
risvegliò all’improvviso da un sogno in cui correva in un labirinto buio, senza
riuscire a trovare l’uscita. Cesare si mosse accanto a lei ma continuò a
respirare profondamente, allora Giulia si sdraiò nuovamente appoggiando la
guancia sul cuscino e aspettando che il torpore tornasse. Pochi minuti dopo era
nello studio di Carla Feltre e teneva in mano un sacchetto. Dentro il sacchetto
c’era un neonato sporco di sangue e lei lo voleva restituire.
“
Questo bambino è macchiato,” disse all’avvocato Feltre che indossava un
tailleur luccicante di strass.
“ Non
accettiamo resi macchiati,” rispose la Feltre guardando dentro il sacchetto, “
e comunque questo l’abbiamo venduto a gennaio. È troppo tardi.”
“ No
!” gridò svegliando Cesare che l’abbracciò cercando di calmarla.
“ Stai
tranquilla,” la confortò, “ va tutto bene, è tutto a posto. Hai avuto un
incubo. È passato.”
Giulia
non disse niente. Si lasciò cullare pensando ad un neonato sporco di sangue in
un sacchetto, gli occhi sbarrati dall’angoscia.
“ Me
lo vuoi raccontare ?”
Lei
scosse la testa. Cosa avrebbe dovuto raccontargli ? Che aveva cercato di
restituire un bambino insanguinato all’avvocato Feltre ? Eppure… c’era qualcos’altro, riflettè sciogliendosi
dall’abbraccio. C’era qualcos’altro. Ma cosa ?
“ Vado
a prenderti le pastiglie,” disse Cesare scendendo dal letto.
Cosa ?
Cos’altro c’era ?
Cercò
di fissare il sogno prima di perderlo completamente, tornò nello studio della
Feltre, ricordò la conversazione con la donna luccicante di strass, la sentì
rispondere che era stato venduto a gennaio. Gennaio, pensò. Cosa c’era di tanto
importante in gennaio ?
Poi si
ricordò della donna bellissima con i capelli lunghi in sala d’aspetto. Sonia
Paggi, ripetè mentalmente. Sonia Paggi aveva detto qualcosa a proposito di
gennaio….. che cosa ?
“
Eccola. Tieni.” Cesare le stava porgendo una pastiglia diversa dal Paxil che
prendeva da tanto tempo. Le aveva cambiato il farmaco ? La prese e la osservò.
Era giallognola e granulosa. Se non era il solito Paxil, cos’era ? Ma in fondo,
voleva saperlo davvero ? Cosa sarebbe cambiato ? si chiese.
Prese
il bicchiere che Cesare le stava porgendo.
Cosa
le aveva detto Sonia Paggi ? Che si erano conosciute in ospedale, che erano a
Gallarate, che c’era Emanuela e qualcun altro, e che lei sarebbe dovuta essere
in Sudafrica. Sì, aveva detto tutte queste cose. A gennaio. In ospedale a
gennaio. Sì, l’aveva detto. Ne era assolutamente certa.
“
Prendi la pastiglia, Giulia. Cerchiamo di dormire ancora un po’, è presto.”
Doveva
pensare. Riflettere, concentrarsi. Se adesso avesse preso la pastiglia, in
pochi minuti sarebbe sprofondata nel sonno, e invece lei aveva bisogno di
ricordare qualcos’altro. Era sicura che la sua mente, o forse la sua memoria,
le stesse mandando dei messaggi. Nonostante le medicine, i suoi ricordi avevano
combattuto per emergere nei suoi incubi, perché c’era qualcosa di molto
importante che lei doveva sapere. Adesso doveva concentrarsi, non poteva
dormire.
Si
mise la pastiglia in bocca e avvicinò il bicchiere alle labbra, ma il polsò
tremò violentemente e l’acqua si rovesciò sul lenzuolo.
“
Giulia… che casino stai facendo,” sbottò Cesare.
“
Scusa. Mi stava cadendo il bicchiere.”
“ Beh,
non è successo niente. Ti sei bagnata ?”
“ No,
solo il lenzuolo”
“ Ti
prendo dell’altra acqua”
Appena
Cesare uscì dalla camera, Giulia sputò la pastiglia e la infilò sotto il
cuscino.
“ Ci siamo conosciute in ospedale, a gennaio.”
Gennaio.
Cesare
tornò con un altro bicchiere, e Giulia fece finta di deglutire la pastiglia.
Lui tornò a letto, la baciò sui capelli e si girò dall’altra parte.
Giulia
rimase sveglia ad ascoltare il battito forte del suo cuore. Quella donna le
aveva messo qualcosa in mano. Ma lei non si ricordava dove l’aveva nascosto. E
cosa c’era di tanto importante nel fatto che si fossero conosciute in ospedale
a gennaio ? E poi non era possibile, lei era stata in ospedale più di un anno
prima.
A meno
che non fosse così. A meno che la donna ricordasse esattamente. Quindi, lei era
stata in ospedale a gennaio. E se era stata in ospedale a gennaio, l’incidente
era successo nello stesso periodo, o poco prima. Sussultò violentemente. Cesare
si mosse nel letto. Ma se era successo a gennaio, perché Cesare le aveva detto
che l’incidente risaliva a più di un anno prima ? Se non era vero, allora tutto
quello che Cesare le aveva raccontato poteva essere una menzogna. E poi,
perché quella donna sosteneva che lei doveva trovarsi in Sudafrica con Emanuela
?
Cominciò
a sentire la stanchezza appesantirle le palpebre. Voleva resistere, ma era
stanca… forse se si fosse riposata qualche ora al risveglio le cose le
sarebbero apparse più chiare.
Rannicchiata
in un angolo della sala, Giulia aprì la bocca alla ricerca disperata di aria.
La stanza, fino ad un attimo prima piena di luce, si era improvvisamente
oscurata. Nelle orecchie sentiva un suono lontano, come un risucchio, e sapeva
che era il suo respiro, ansimante e spezzato, aria che scende e risale dai
polmoni, ma a lei sembrava di affogare proprio lì, in quell’angolo, con lo
sguardo sul libro fatto a pezzi che stava sfogliando pochi minuti prima.
Prima
che Cesare tornasse a casa.
Non
era preoccupata. La paura di affogare e le pagine lacerate non erano
importanti. Il
dolore era troppo intenso per permettersi altri pensieri. Un dolore totale,
avvolgente, pulsante come un’infezione all’interno del suo corpo, là dove poco
prima c’era la sensazione meravigliosa di un bimbo che cresce. Non aveva mai
provato un dolore come questo, neanche quando lui l’aveva picchiata fino a
farle perdere i sensi. Ma era diverso. Questo dolore sembrava un coltello
incandescente che straziava la carne. Tenne le mani attanagliate al ventre. Ma
invece del bambino sentiva una palla di fuoco. No, ti prego, no…. urlò dentro di sé, non il mio bambino …
Ma
la consapevolezza la stordì. Lei sapeva che il suo bambino non stava bene. Al
quinto mese di gravidanza, il bambino è reale e vive con te, dentro di te, e in
quel momento Giulia sapeva che il piccolo si era fatto tanto male. Un liquido
vischioso le percorse l’interno delle cosce. Per un attimo, si illuse che fosse
sudore, o forse urina .. sì, forse per la paura e per il dolore se l’era fatta
addosso. Ma l’illusione durò pochi istanti. L’odore metallico del sangue le
salì alle narici. Il suo bambino se ne stava andando e Giulia non poteva fare niente
per fermarlo. Davanti a lei, in piedi a gambe divaricate, la figura imponente
di Cesare la sovrastava. In mano stringeva il ricevitore del cordless, e
parlando cominciò a camminare avanti e indietro.
“
E’ un’emergenza, per favore, dovete intervenire subito,” stava gridando, “ mia
moglie è incinta e le è successo qualcosa.” Il suo tono di voce era quello di
un uomo disperato, ma lei riescì a sentire anche quella punta di arroganza che
emergeva ogni volta che Cesare si rivolgeva a qualcuno che riteneva inferiore,
come un semplice operatore del 118.
Anche se poteva essere l’unica persona al mondo in grado di salvare il
suo bambino. “ E’ ovvio che non la sposto ! Mi ha preso per un imbecille ”
Le
dita di Giulia si infilarono sotto la gonna, percorrendo lente l’interno della
coscia fino al cotone caldo e bagnato delle mutandine. “ Per favore, per favore
…” supplicò ancora nella sua mente, ma le preghiere non servirono a nulla.
Quando trovò il coraggio per farlo, la mano che estrasse da sotto la gonna era
sporca di sangue. Mentre si osservava le dita insanguinate, un crampo tremendo
le squassò il ventre come una sega elettrica. Ripiegandosi su se stessa soffocò l’urlo selvaggio che aveva in gola.
Cesare smise di gridare al telefono. Fermo davanti a lei, la guardò con aria
preoccupata. Lei sollevò la mano sporca di sangue, quasi a volersi proteggere.
Cesare spostò la sua attenzione sulla stanza, e un attimo dopo si chinò per
raccogliere il libro stracciato e buttato per terra.
“
Guarda che disordine,” mormorò piano. Le agitò davanti agli occhi la copertina
del libro, dove una fila di neonati vestiti come fiori sorridevano al mondo e
all’obbiettivo di Anne Geddes. “ E’ questo il problema.” Brandì la copertina
come un’arma, poi si inginocchiò con il volto tra le mani, le spalle scosse dai
singhiozzi.“ Perché non ti basto ?
Perché hai voluto un estraneo nella nostra vita ? Lo vedi, lo vedi cosa mi
costringi a fare ?” Lei gemette piano. “ Il .. mio … bambino …”
“
Non ci serve un bambino,” rispose lui, “ non ne hai bisogno.”
Poi
le sorrise. Si alzò, la copertina stracciata ancora in mano.
Maledetto bastardo, pensò lei, ti odio.
Tornarono i crampi, e Giulia si sentì spaccare in due.
Lui
si chinò nuovamente e con delicatezza la sollevò, tenendola tra le braccia come
un oggetto fragile e prezioso. “ Stai tranquilla,” le disse, “ andrà tutto bene.” Si guardò intorno
come se stesse decidendo dove era successo l’incidente. “ Sto .. sanguinando … ” balbettò lei.
“
Lo so.”
“
Non .. dovresti … spostarmi ..”
“
Non devi preoccuparti di nulla. Sta arrivando l’ambulanza. Andrà tutto bene.”
La
portò fino alla scalinata dell’atrio e la posò delicatamente a terra, sotto
l’ultimo gradino.
“
Stai bene ?” le chiese con espressione premurosa.
Crepa,
pensò lei senza parlare.
Lui
tornò in sala, raccolse i pezzi di libro rimasti sul pavimento e sistemò
ordinatamente i cuscini sul divano. Si osservò per assicurarsi di non essersi
sporcato di sangue quando l’aveva presa in braccio. La camicia era immacolata.
Si voltò a guardare l’angolo in cui lei era caduta. Sul pavimento c’erano
schizzi e macchie di sangue. Dal corpo di Giulia stava uscendo altro sangue,
con velocità e insistenza, e lei si sentì invadere da un senso di insano
torpore. Cesare andò in cucina e ci restò per qualche minuto. Sentì rumore di
ante aperte e richiuse mentre il dolore dentro di lei cresceva, fino a
sgonfiarsi in un rumore liquido. Era come se fosse seduta sopra un brodo caldo,
denso, che gocciolava lentamente dal suo ventre. Sentì l’acqua scorrere nel lavello
e la voce di Cesare canticchiare qualcosa, mentre il suo bambino scivolava via
dal suo corpo. Lui uscì dalla cucina con uno straccio bagnato in mano, le passò
davanti e tornò in sala, chinandosi nell’angolo in cui Giulia si era
rannicchiata dopo che lui le aveva strappato il libro di mano e le aveva tirato
due pugni violentissimi all’addome. Pulì le gocce di sangue con lo straccio.
L’emorragia sarebbe rimasta sotto di lei, in fondo alla scalinata, dove Cesare
aveva deciso. Lui esaminò con attenzione le piastrelle di cotto, lo straccio
ora sporco di rosa. Tornò in cucina a sciacquarlo mentre in lontananza si
sentivano le sirene dell’ambulanza. Tornò accanto a lei e si inginocchiò,
prendendole le mani e accarezzandole con dolcezza.
“ Mi dispiace….” disse, “ ma ho tanti di quei
pensieri … quel maledetto di Costa mi ha soffiato un cliente importante …”
“
Il….mio ….bambino …” balbettò Giulia.
Lui
le strinse forte le mani, i lineamenti del viso stravolti dalla collera.
“
Ascoltami. Tra poco arriverà l’ambulanza. Guardami, maledizione ! Sta arrivando
l’ambulanza. Andrà tutto bene. Sei inciampata sui gradini e sei caduta. Hai
capito ?”
Giulia
lo fissò senza dire una parola. “ Hai
capito ?” ripetè Cesare.
Lei
fissò il sangue a terra e annuì con la testa.
“ Va
bene. Sai cosa ti succederà se dirai qualcosa di diverso ?” Le mani di Cesare
ora stringevano quelle di lei così forte da farle male.
Giulia
annuì ancora.
“
Dillo a voce alta. Devo essere sicuro che tu abbia capito bene.”
“
Mi ucciderai,” mormorò lei.
Le
vetrate si illuminarono di luci rosse e pulsanti. Lui si alzò per andare ad
aprire la porta, un’espressione ansiosa sul viso, l’espressione di un uomo
preoccupato per la moglie incinta che ha avuto un incidente.
Giulia
scivolò lontano da se stessa. Sentì il rumore degli sportelli che sbattevano,
piedi che correvano verso di lei e il suono metallico di una lettiga. La voce
concitata di Cesare che parlava con i paramedici. “ Sbrigatevi, per l’amor di
Dio, ha perso molto sangue.”
Poi,
più niente.
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