martedì 5 febbraio 2013

Capitolo 23


Si risvegliò all’improvviso da un sogno in cui correva in un labirinto buio, senza riuscire a trovare l’uscita. Cesare si mosse accanto a lei ma continuò a respirare profondamente, allora Giulia si sdraiò nuovamente appoggiando la guancia sul cuscino e aspettando che il torpore tornasse. Pochi minuti dopo era nello studio di Carla Feltre e teneva in mano un sacchetto. Dentro il sacchetto c’era un neonato sporco di sangue e lei lo voleva restituire.
“ Questo bambino è macchiato,” disse all’avvocato Feltre che indossava un tailleur luccicante di strass.
“ Non accettiamo resi macchiati,” rispose la Feltre guardando dentro il sacchetto, “ e comunque questo l’abbiamo venduto a gennaio. È troppo tardi.”
“ No !” gridò svegliando Cesare che l’abbracciò cercando di calmarla.
“ Stai tranquilla,” la confortò, “ va tutto bene, è tutto a posto. Hai avuto un incubo. È passato.”
Giulia non disse niente. Si lasciò cullare pensando ad un neonato sporco di sangue in un sacchetto, gli occhi sbarrati dall’angoscia.
“ Me lo vuoi raccontare ?”
Lei scosse la testa. Cosa avrebbe dovuto raccontargli ? Che aveva cercato di restituire un bambino insanguinato all’avvocato Feltre ? Eppure…  c’era qualcos’altro, riflettè sciogliendosi dall’abbraccio. C’era qualcos’altro. Ma cosa ?
“ Vado a prenderti le pastiglie,” disse Cesare scendendo dal letto.
Cosa ? Cos’altro c’era ?
Cercò di fissare il sogno prima di perderlo completamente, tornò nello studio della Feltre, ricordò la conversazione con la donna luccicante di strass, la sentì rispondere che era stato venduto a gennaio. Gennaio, pensò. Cosa c’era di tanto importante in gennaio ?
Poi si ricordò della donna bellissima con i capelli lunghi in sala d’aspetto. Sonia Paggi, ripetè mentalmente. Sonia Paggi aveva detto qualcosa a proposito di gennaio….. che cosa ?
“ Eccola. Tieni.” Cesare le stava porgendo una pastiglia diversa dal Paxil che prendeva da tanto tempo. Le aveva cambiato il farmaco ? La prese e la osservò. Era giallognola e granulosa. Se non era il solito Paxil, cos’era ? Ma in fondo, voleva saperlo davvero ? Cosa sarebbe cambiato ? si chiese.
Prese il bicchiere che Cesare le stava porgendo.
Cosa le aveva detto Sonia Paggi ? Che si erano conosciute in ospedale, che erano a Gallarate, che c’era Emanuela e qualcun altro, e che lei sarebbe dovuta essere in Sudafrica. Sì, aveva detto tutte queste cose. A gennaio. In ospedale a gennaio. Sì, l’aveva detto. Ne era assolutamente certa.
“ Prendi la pastiglia, Giulia. Cerchiamo di dormire ancora un po’, è presto.”
Doveva pensare. Riflettere, concentrarsi. Se adesso avesse preso la pastiglia, in pochi minuti sarebbe sprofondata nel sonno, e invece lei aveva bisogno di ricordare qualcos’altro. Era sicura che la sua mente, o forse la sua memoria, le stesse mandando dei messaggi. Nonostante le medicine, i suoi ricordi avevano combattuto per emergere nei suoi incubi, perché c’era qualcosa di molto importante che lei doveva sapere. Adesso doveva concentrarsi, non poteva dormire.
Si mise la pastiglia in bocca e avvicinò il bicchiere alle labbra, ma il polsò tremò violentemente e l’acqua si rovesciò sul lenzuolo.
“ Giulia… che casino stai facendo,” sbottò Cesare.
“ Scusa. Mi stava cadendo il bicchiere.”
“ Beh, non è successo niente. Ti sei bagnata ?”
“ No, solo il lenzuolo”
“ Ti prendo dell’altra acqua”
Appena Cesare uscì dalla camera, Giulia sputò la pastiglia e la infilò sotto il cuscino.
Ci siamo conosciute in ospedale, a gennaio.”
Gennaio.
Cesare tornò con un altro bicchiere, e Giulia fece finta di deglutire la pastiglia. Lui tornò a letto, la baciò sui capelli e si girò dall’altra parte.
Giulia rimase sveglia ad ascoltare il battito forte del suo cuore. Quella donna le aveva messo qualcosa in mano. Ma lei non si ricordava dove l’aveva nascosto. E cosa c’era di tanto importante nel fatto che si fossero conosciute in ospedale a gennaio ? E poi non era possibile, lei era stata in ospedale più di un anno prima.
A meno che non fosse così. A meno che la donna ricordasse esattamente. Quindi, lei era stata in ospedale a gennaio. E se era stata in ospedale a gennaio, l’incidente era successo nello stesso periodo, o poco prima. Sussultò violentemente. Cesare si mosse nel letto. Ma se era successo a gennaio, perché Cesare le aveva detto che l’incidente risaliva a più di un anno prima ? Se non era vero, allora tutto quello che Cesare le aveva raccontato poteva essere una menzogna. E poi, perché quella donna sosteneva che lei doveva trovarsi in Sudafrica con Emanuela ?
Cominciò a sentire la stanchezza appesantirle le palpebre. Voleva resistere, ma era stanca… forse se si fosse riposata qualche ora al risveglio le cose le sarebbero apparse più chiare.

Rannicchiata in un angolo della sala, Giulia aprì la bocca alla ricerca disperata di aria. La stanza, fino ad un attimo prima piena di luce, si era improvvisamente oscurata. Nelle orecchie sentiva un suono lontano, come un risucchio, e sapeva che era il suo respiro, ansimante e spezzato, aria che scende e risale dai polmoni, ma a lei sembrava di affogare proprio lì, in quell’angolo, con lo sguardo sul libro fatto a pezzi che stava sfogliando pochi minuti prima.
Prima che Cesare tornasse a casa.
Non era preoccupata. La paura di affogare e le pagine lacerate non erano importanti.                         Il dolore era troppo intenso per permettersi altri pensieri. Un dolore totale, avvolgente, pulsante come un’infezione all’interno del suo corpo, là dove poco prima c’era la sensazione meravigliosa di un bimbo che cresce. Non aveva mai provato un dolore come questo, neanche quando lui l’aveva picchiata fino a farle perdere i sensi. Ma era diverso. Questo dolore sembrava un coltello incandescente che straziava la carne. Tenne le mani attanagliate al ventre. Ma invece del bambino sentiva una palla di fuoco. No, ti prego, no….  urlò dentro di sé,  non il mio bambino …
Ma la consapevolezza la stordì. Lei sapeva che il suo bambino non stava bene. Al quinto mese di gravidanza, il bambino è reale e vive con te, dentro di te, e in quel momento Giulia sapeva che il piccolo si era fatto tanto male. Un liquido vischioso le percorse l’interno delle cosce. Per un attimo, si illuse che fosse sudore, o forse urina .. sì, forse per la paura e per il dolore se l’era fatta addosso. Ma l’illusione durò pochi istanti. L’odore metallico del sangue le salì alle narici. Il suo bambino se ne stava andando e Giulia non poteva fare niente per fermarlo. Davanti a lei, in piedi a gambe divaricate, la figura imponente di Cesare la sovrastava. In mano stringeva il ricevitore del cordless, e parlando cominciò a camminare avanti e indietro.
“ E’ un’emergenza, per favore, dovete intervenire subito,” stava gridando, “ mia moglie è incinta e le è successo qualcosa.” Il suo tono di voce era quello di un uomo disperato, ma lei riescì a sentire anche quella punta di arroganza che emergeva ogni volta che Cesare si rivolgeva a qualcuno che riteneva inferiore, come un semplice operatore del 118.  Anche se poteva essere l’unica persona al mondo in grado di salvare il suo bambino. “ E’ ovvio che non la sposto ! Mi ha preso per un imbecille ”
Le dita di Giulia si infilarono sotto la gonna, percorrendo lente l’interno della coscia fino al cotone caldo e bagnato delle mutandine. “ Per favore, per favore …” supplicò ancora nella sua mente, ma le preghiere non servirono a nulla. Quando trovò il coraggio per farlo, la mano che estrasse da sotto la gonna era sporca di sangue. Mentre si osservava le dita insanguinate, un crampo tremendo le squassò il ventre come una sega elettrica. Ripiegandosi su se stessa  soffocò l’urlo selvaggio che aveva in gola. Cesare smise di gridare al telefono. Fermo davanti a lei, la guardò con aria preoccupata. Lei sollevò la mano sporca di sangue, quasi a volersi proteggere. Cesare spostò la sua attenzione sulla stanza, e un attimo dopo si chinò per raccogliere il libro stracciato e buttato per terra.
“ Guarda che disordine,” mormorò piano. Le agitò davanti agli occhi la copertina del libro, dove una fila di neonati vestiti come fiori sorridevano al mondo e all’obbiettivo di Anne Geddes. “ E’ questo il problema.” Brandì la copertina come un’arma, poi si inginocchiò con il volto tra le mani, le spalle scosse dai singhiozzi.“ Perché non ti  basto ? Perché hai voluto un estraneo nella nostra vita ? Lo vedi, lo vedi cosa mi costringi a fare ?” Lei gemette piano. “ Il .. mio … bambino …”
“ Non ci serve un bambino,” rispose lui, “ non ne hai bisogno.”
Poi le sorrise. Si alzò, la copertina stracciata ancora in mano.
 Maledetto bastardo, pensò lei,  ti odio.  Tornarono i crampi, e Giulia si sentì spaccare in due.
Lui si chinò nuovamente e con delicatezza la sollevò, tenendola tra le braccia come un oggetto fragile e prezioso. “ Stai tranquilla,” le disse,        “ andrà tutto bene.” Si guardò intorno come se stesse decidendo dove era successo l’incidente.       “ Sto .. sanguinando  … ” balbettò lei.
“ Lo so.”
“ Non .. dovresti … spostarmi ..”
“ Non devi preoccuparti di nulla. Sta arrivando l’ambulanza. Andrà tutto bene.”
La portò fino alla scalinata dell’atrio e la posò delicatamente a terra, sotto l’ultimo gradino.
“ Stai bene ?” le chiese con espressione premurosa.
Crepa, pensò lei senza parlare.
Lui tornò in sala, raccolse i pezzi di libro rimasti sul pavimento e sistemò ordinatamente i cuscini sul divano. Si osservò per assicurarsi di non essersi sporcato di sangue quando l’aveva presa in braccio. La camicia era immacolata. Si voltò a guardare l’angolo in cui lei era caduta. Sul pavimento c’erano schizzi e macchie di sangue. Dal corpo di Giulia stava uscendo altro sangue, con velocità e insistenza, e lei si sentì invadere da un senso di insano torpore. Cesare andò in cucina e ci restò per qualche minuto. Sentì rumore di ante aperte e richiuse mentre il dolore dentro di lei cresceva, fino a sgonfiarsi in un rumore liquido. Era come se fosse seduta sopra un brodo caldo, denso, che gocciolava lentamente dal suo ventre. Sentì l’acqua scorrere nel lavello e la voce di Cesare canticchiare qualcosa, mentre il suo bambino scivolava via dal suo corpo. Lui uscì dalla cucina con uno straccio bagnato in mano, le passò davanti e tornò in sala, chinandosi nell’angolo in cui Giulia si era rannicchiata dopo che lui le aveva strappato il libro di mano e le aveva tirato due pugni violentissimi all’addome. Pulì le gocce di sangue con lo straccio. L’emorragia sarebbe rimasta sotto di lei, in fondo alla scalinata, dove Cesare aveva deciso. Lui esaminò con attenzione le piastrelle di cotto, lo straccio ora sporco di rosa. Tornò in cucina a sciacquarlo mentre in lontananza si sentivano le sirene dell’ambulanza. Tornò accanto a lei e si inginocchiò, prendendole le mani e accarezzandole con dolcezza.
“  Mi dispiace….” disse, “ ma ho tanti di quei pensieri … quel maledetto di Costa mi ha soffiato un cliente importante …”
“ Il….mio ….bambino …” balbettò Giulia.
Lui le strinse forte le mani, i lineamenti del viso stravolti dalla collera.
“ Ascoltami. Tra poco arriverà l’ambulanza. Guardami, maledizione ! Sta arrivando l’ambulanza. Andrà tutto bene. Sei inciampata sui gradini e sei caduta. Hai capito ?”
Giulia lo fissò senza dire una parola. “ Hai    capito ?” ripetè Cesare.
Lei fissò il sangue a terra e annuì con la testa.
“ Va bene. Sai cosa ti succederà se dirai qualcosa di diverso ?” Le mani di Cesare ora stringevano quelle di lei così forte da farle male.
Giulia annuì ancora.
“ Dillo a voce alta. Devo essere sicuro che tu abbia capito bene.”
“ Mi ucciderai,” mormorò lei.
Le vetrate si illuminarono di luci rosse e pulsanti. Lui si alzò per andare ad aprire la porta, un’espressione ansiosa sul viso, l’espressione di un uomo preoccupato per la moglie incinta che ha avuto un incidente.
Giulia scivolò lontano da se stessa. Sentì il rumore degli sportelli che sbattevano, piedi che correvano verso di lei e il suono metallico di una lettiga. La voce concitata di Cesare che parlava con i paramedici. “ Sbrigatevi, per l’amor di Dio, ha perso molto sangue.”
Poi, più niente.    

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