mercoledì 30 gennaio 2013

Capitolo 21


 “ E’ nel portico.”
“ Come sta ?”
“ Male.”
“ Ma.. com’è possibile ? Da quanto tempo è ammalata ?”
“ Da maggio. E non ha fatto altro che peggiorare.”
“ Da maggio ? Ma sono passati due mesi ! Cristo Santo, Cesare, cosa ti è saltato in mente di dirmi che era in Sudafrica ?”
“ Non sapevo in quale altro modo gestire la situazione. Solo Alberto sapeva la verità, anche se non conosceva i particolari. Vedi, Laura, neanche i dottori si aspettavano che le condizioni di Giulia sarebbero peggiorate in questo modo. Anzi, avevamo sperato in un progressivo miglioramento, invece… ”
“ Ma almeno si ricorda chi è ?”
“ No. Siamo stati io e i medici a dirglielo,” spiegò Cesare, “ ma lei non se lo ricorda. Le ho raccontato tutto della sua vita, del suo lavoro, il nostro matrimonio, i viaggi che abbiamo fatto …. ormai conosce ogni dettaglio della sua vita, ma non si ricorda di averla vissuta.”
“ Oh Dio … è pazzesco. Si è capito cosa ha provocato l’amnesia ?”
“ Secondo i medici, la perdita del bambino,” rispose tristemente lui.
“ Ma … sono passati mesi ! Mi sembrava che l’avesse superato !”
“ Io invece penso che il peggio non sia ancora arrivato.”
Giulia sentiva le loro voci come una fastidiosa interferenza nel silenzio del suo mondo.  I suoni nascevano armoniosi, ma subito diventavano versi assordanti che martellavano nell’orecchio, e si spegnevano in un mormorio distorto prima che lei potesse comprenderli. Sapeva che parlavano di lei, parlavano con lei, sempre, ma erano parole senza importanza. Lei stava bene così. Era nel suo angolo preferito del piccolo portico, circondata dalle azalee, e si dondolava sotto il sole. Rosa l’aveva avvolta in uno scialle di lana, e lei stava sudando. O forse no, forse era solo saliva. Non le interessava. Qualcuno sarebbe venuto a pulirla. C’era sempre qualche premuroso visitatore che con gentilezza le tamponava delicatamente gli angoli della bocca e le rinfrescava la fronte. Le donne, in genere, le accarezzavano anche i capelli. A lei andava bene, li lasciava fare. I visitatori erano stati molti. Venivano a trovarla da quando Cesare l’aveva riportata a casa. Non ricordava esattamente quando. Forse una settimana, o forse di più. Era contenta di non avere più la cognizione del tempo. Prima, aveva combattuto disperatamente contro la sensazione angosciante delle ore che scivolavano via, aveva cercato di fuggire dall’oblio indotto dalle medicine, che rendeva ogni minuto uguale al precedente e al successivo, come granelli di sabbia in un deserto. Finalmente, adesso era in pace.  Dopo aver distrutto la serenità dei ricordi smarriti accanendosi nella ricerca del passato, trovando ogni pietra della sua vita e sollevandola liberando così orribili mostri, finalmente aveva capito di aver fatto un irreparabile errore. Come poteva vivere sapendo di aver rovinato la vita dell’uomo che l’amava e di aver ucciso il loro bambino ? No, la battaglia era terminata. Lei ora stava bene lì. Nel silenzio.  Lontana da tutto.
Cesare l’aveva riportata a casa dopo il drammatico confronto al pronto soccorso di Verbania.
Ricordava i medici e l’infermiera che la salutavano e stringevano la mano di lui, offrendo la loro disponibilità e promettendo di fargli sapere quando sarebbe tornata la dottoressa Sala.
Cesare li aveva rassicurati, sua moglie aveva solo bisogno di molto riposo e di tranquillità.
Giulia lo aveva seguito docilmente. In quel momento, il suo unico pensiero era tornare a casa, salire in camera e cercare il rifugio del suo letto. Avrebbe voluto sparire per sempre, anzi, in realtà avrebbe voluto morire.
Adesso non aveva più paura delle pastiglie che le davano, ed era sempre con una sensazione di sollievo che accettava la sonnolenza e il torpore. I pensieri si stemperavano dolcemente nell’oscurità, il corpo perdeva peso e consistenza, e lei era leggera, lontana dal dolore, nascosta dentro se stessa, protetta contro la luce della vita esterna. Anche i dolori fisici collaterali indotti dal farmaco non le davano più fastidio, anzi, erano la giusta punizione per tutto il dolore provocato, di cui solo lei era la responsabile. Adesso i tasselli si erano ricomposti ordinatamente, e il puzzle della sua vita era completo. Tutto aveva il suo significato. I soldi, il sangue e i lividi. Avevano il loro posto e non c’era più bisogno di fare domande. Anche perché le risposte non la interessavano più. Che senso aveva capire perché aveva cercato di uccidere suo    marito ? Tanto, aveva già ucciso il suo bambino. Un giorno aveva aperto lo scatolone colorato che Cesare aveva preso dalla cantina. Le sue mani avevano accarezzato le morbide tutine di velluto da neonato, le minuscole scarpine, le calzette ricamate …. ma non aveva provato niente, erano solo piccoli indumenti senza ricordi.
Da quando era tornata, aveva passato molto tempo sul dondolo del portico, osservando la luce del mattino allungarsi sulle piastrelle e ritirarsi all’arrivo della sera, ripensando a tutto quello che aveva fatto da quando era rientrata in quella casa la prima volta. Ricordava la sensazione di quella sera, quando aveva sentito che stava iniziando una nuova vita. Quando ci pensava, piangeva sempre. Nemmeno i suoi incubi più paurosi erano paragonabili a quello che aveva fatto della sua esistenza. Adesso era facile capire perché la sua mente aveva cercato la fuga. Non aveva più potuto affrontare la devastazione del senso di colpa e aveva cancellato tutto. Dovevo cancellare me stessa, pensava, dovevo essere abbattuta come si fa con i cavalli che si spezzano le zampe.
Pensava alle sue paranoie nei confronti di Cesare, la certezza che ci fosse una congiura contro di lei,  la paura che lui stesse volontariamente cercando di farla impazzire, quando invece aveva fatto l’impossibile per proteggerla e aiutarla.
Adesso, Cesare cercava di fare in modo che lei non fosse mai sola. Dopo aver cercato di salvarla isolandola dal mondo, ora aveva deciso di dividere il loro dramma con gli amici. I primi ad essere chiamati erano stati Fabrizia e Carlo. Fabrizia aveva pianto, Carlo non era riuscito nemmeno ad avvicinarsi e si era messo a parlare a bassa voce con Cesare.
Giulia avrebbe voluto rincuorarli, avrebbe voluto spiegare che andava bene così, che era stata lei a scegliere la pazzia, che ne aveva bisogno per ritrovare un  equilibrio e che non dovevano essere preoccupati per lei. Ma non era riuscita a muovere le mani e le parole erano rimaste nella sua mente. Li aveva guardati attraverso una specie di nebbia e non aveva detto nulla, pregando che se ne andassero e la lasciassero sola. In pace.
Erano venuti a trovarla anche tutti gli altri. Ogni volta, Cesare bisbigliava lo stesso avvertimento:     “ Non parlate del bambino.” Così, nessuno lo nominava mai e lei avrebbe voluto ringraziarli per questo. Il bambino. Chissà se era un maschietto o una femminuccia. Chissà se aveva già scelto il nome.
“ Non parlare del bambino,” sentì bisbigliare Cesare e subito dopo Laura era chinata su di lei. Gli occhi della donna erano lucidi.
“ Oh, cara …” disse piano Laura.
“ Non ti preoccupare,” la consolò Cesare,                “ fisicamente non soffre.”
“ Le posso parlare ? Mi capisce ?”
“ Sì,” rispose lui sistemando il cuscino dietro la testa di Giulia. “ Tesoro, guarda, Laura è venuta a trovarti. Non vuoi salutarla ?”
Giulia cercò di sorridere ma le sue labbra non ubbidirono al comando. Non si sforzò di riprovarci. Tanto, non serviva a niente.
Laura si rivolse a Cesare. “ Non riesco a capire. Non capisco come abbia potuto ridursi in queste condizioni. Mi rendo conto che ha subito una perdita molto dolorosa, ma …”
“ Laura,” la zittì Cesare. La donna respirò profondamente per calmarsi.
“ Cristo Santo, Cesare, è una mia amica ! Ci conosciamo da anni, è una delle persone più solari e piene di vita che io conosca ! Non è più lei …”
Cesare si limitò ad annuire con la testa.
“ Non è possibile che non esista una cura,” continuò Laura.
“ I medici fanno quello che possono.”
“ E’ dimagrita moltissimo…”
“ Non vuole mangiare.”
Laura si inginocchiò davanti a Giulia. “ Non ti preoccupare, tesoro, ti faremo guarire.                     Ci prenderemo cura di te e tornerai la persona felice che sei sempre stata. Ci siamo noi con te. Cesare e tutti i tuoi amici.”
“ Se ne hai voglia, puoi leggerle qualcosa,” le suggerì Cesare porgendole una copia di Diva & Donna.
Laura aprì la rivista a caso. “ Mentre con l’aumento della temperatura esterna le texture dei trattamenti di bellezza si alleggeriscono, meglio un fluido a una crema troppo ricca che può creare lucidità sulla pelle….  le formule a base di fiori piacciono sia perché agiscono con dolcezza, sia perché diffondono un bouquet fresco e delicato … ” La voce le si spezzò.
“ Laura, tutto bene ?” chiese Cesare.
“ Tutto ok. Ma non ho voglia di leggerle stupidi articoli di bellezza .. scusami, Giulia.”
Non c’è problema, rispose Giulia mentalmente. Però vorrei che ve ne andaste. Mi piacerebbe tanto essere lasciata sola a morire in pace.
“ Vuoi un po’ d’acqua ? O un succo di frutta ?” le chiese Cesare. “ Se vuoi mangiare qualcosa, Rosa ha preparato dei biscotti alle nocciole.”
Giulia pensò a quando aveva tenuto sotto controllo Rosa con il forchettone. Sarebbe stato meglio se si fosse infilata le due punte negli occhi, spingendo fino a perforarsi il cervello.
Forse era ancora possibile. Poteva chiedere a Cesare e a Laura di accompagnarla in cucina a mangiare i biscotti con il succo di frutta e poi, all’improvviso, avrebbe afferrato il forchettone puntandolo al cuore e  infilzandosi con violenza,  e si sarebbe accasciata al suolo in un lago di sangue ….  il suo sangue, come era giusto che fosse. Punto. Fine.
Invece rimase in silenzio a fissare le azalee. Se almeno quel giorno fosse riuscita a sparire avrebbe fatto un favore a tutti. Se non si fosse rivolta ai carabinieri, se non fosse andata in ospedale, se  Cesare non l’avesse ritrovata … prima o poi avrebbero smesso di cercarla, lui si sarebbe rifatto una vita, magari con un’altra donna, gli amici l’avrebbero ricordata per un po’ con affetto e poi avrebbero pensato ad altro. Deglutendo, la sua gola emise uno strano verso.
“ Cesare, non c’è proprio nulla che possiamo      fare ?”
“ Temo di no.”
Giulia avrebbe voluto consolarla e dirle che tutto sarebbe finito bene. Ma se in qualche modo avesse provato a comunicare, ad arrivare fino a lei, Laura si sarebbe illusa che era possibile sperare. E questo non sarebbe stato vero. La speranza era finita. Lei lo sapeva. Ora, tutto ciò che desiderava era non ritrovare mai più la memoria. Aveva già saputo tutto quello che doveva. Se Dio avesse avuto un po’ di pietà, non avrebbe permesso che lei ricordasse il momento in cui aveva ucciso il suo bambino e l’avrebbe aiutata a morire, facendola sparire per sempre.
“ Sai, ho appena finito di leggere un libro che ti piacerebbe molto,” esclamò Laura all’improvviso, tentando di suscitare una reazione nell’amica. “ Lo scrittore è americano, Steve Berry, e questo romanzo, un po’ thriller e un po’ storico, ha per protagonista un sacerdote che dalla descrizione è proprio un gran figo – anzi, per la verità ho pensato che assomigliasse a Cesare – e che da giovane ha avuto una storia con una giornalista, ma poi ha scelto la Chiesa e ha lasciato lei.”
Giulia cominciava a sentire le palpebre pesanti.      “ Comunque,” continuò Laura, “ questo fighissimo prete è il segretario personale del papa Clemente XV e vive in Vaticano. Tutta la storia si concentra sul terzo segreto di Fatima, che in realtà non è mai stato completamente svelato perché…”
Cesare si schiarì la gola. “ Credo che ora Giulia sia un po’ stanca. Magari le racconti il seguito la prossima volta.”
“ Un momento ancora. Questa è una trama che troverà molto intrigante.”
Giulia osservò Cesare sorridere pazientemente e riportare l’attenzione sulle pagine del quotidiano sportivo. Come fa ? Come può sopportare di vivere con un relitto ? Come riesce a occuparsi di me dopo quello che ho fatto ?
“ Allora,” stava continuando Laura, “ un bel giorno Clemente XV entra nella Riserva segreta dell’archivio vaticano e scopre tutta la storia del pezzo mancante del terzo segreto. La rivelazione è talmente esplosiva che Sua Santità – udite udite – si fa un’overdose di sonnifero e viene trovato morto proprio dal suo segretario … ”
“ Laura, ” intervenne in tono seccato Cesare, “ non credo che a Giulia interessi. Possiamo cambiare argomento ?”
“ Speravo solo che magari …”
“ Senti, perché ora non la lasciamo un po’ in pace ? Dobbiamo avere pazienza. Quando starà meglio sarà tutto più facile.”
“ Quando starà meglio ? Guardala, Cesare ! Credi davvero che potrà stare meglio ?”
Cesare girò lo sguardo verso Giulia. “ Non lo so. Non so più cosa pensare e non so più cosa fare. E non so neanche se tenerla qui sia la soluzione migliore per lei.”
“ Cosa vuoi dire ?”
“ Andiamo in cucina,” disse lui senza rispondere alla domanda, “ beviamo un caffè insieme.”
“ Ma cosa stavi dicendo ?”
Cesare prese tempo versando il caffè nelle tazze.     “ Mi sono informato. Forse è arrivato il momento di curarla seriamente in una clinica specializzata.”
“ Una cosa ? Stai parlando di ospedali per malati di mente ?”
“ Dio Santo, Laura, non sto parlando di un manicomio ! Cerca almeno di capirmi ! Abbiamo già provato di tutto. Ma ti rendi conto della gravità delle sue condizioni ? E’ diventata un vegetale, e ogni giorno è peggio ! Credi che a me faccia piacere ? Credi che lo prenderei in considerazione se esistesse un altro modo, qualsiasi altro modo, per aiutarla ?”
“ Ma non credi che dipenda dalle medicine che prende ?”
“ Se non prendesse le medicine sarebbe molto più grave…. incubi, allucinazioni, autolesionismo. Inoltre, diventerebbe violenta anche nei confronti degli altri. Almeno in questo modo non fa del male a nessuno, soprattutto a se stessa. Insomma, non è come Il nido del cuculo di Jack Nicholson. Ci sono strutture ottime per la cura di questi disturbi. E io voglio che Giulia guarisca, lo capisci ?”
“ Sì… hai ragione. Non riesco neanche a immaginare cosa stai passando. E’ solo che non posso accettare che si sia arrivati a tanto  … ” Laura si alzò in piedi e tornò di fianco all’amica.
“ Giulia, ti prego, guardami ! Ti prego, reagisci !”
Giulia la guardò e si sentì triste. Era dispiaciuta per Laura, che non capiva che il passato condiviso non esisteva più e non sarebbe mai tornato. Aveva ucciso il suo bambino e aveva distrutto la vita di Cesare.
Stava scontando la sua condanna, ed era giusto così. Andava bene così.
Laura la baciò sulla guancia. “ Tornerò presto a trovarti. Ti voglio tanto bene,”  le disse cercando di trattenere le lacrime.
Giulia non rispose e non cercò di restituirle il bacio. Rimase immobile, gli occhi semichiusi, un sottile filo di saliva che le colava dall’angolo della bocca. Osservò Cesare accompagnare Laura dentro la cucina, e pensò che tutti sarebbero stati meglio senza di lei. Gli amici si sarebbero liberati della sua imbarazzante presenza, e Cesare forse sarebbe riuscito a rifarsi una vita. Magari si sarebbe risposato e avrebbe avuto dei figli. Dei bambini in sostituzione di quello che lei aveva ucciso. Tutti avrebbero avuto la loro meritata felicità. Lei, invece, sarebbe finita in un ospedale per malati di mente o forse si sarebbe tolta di mezzo definitivamente.
Tanto, per lei era la stessa cosa. 

lunedì 28 gennaio 2013

Capitolo 20


“ Stai lontano da me ! ” urlò, afferrando una penna stilografica dalla scrivania e agitandola in aria.
Cesare parlò con voce esitante e commossa : “ Non mi respingere, ti prego. Voglio solo aiutarti.”
“ Certo ! Vuoi aiutarmi con un’iniezione ? ”
“ No. Sono qui per riportarti a casa. … nella nostra casa.”
“ Scordatelo,” ringhiò Giulia, girando lo sguardo dall’uno all’altro. “ State tutti lontani ! ” urlò ancora brandendo la stilografica come un’arma. Immaginò la prima pagina del Quotidiano del Verbano affissa davanti all’edicola della stazione: SCRITTRICE IMPAZZITA MINACCIA IL PERSONALE DEL PRONTO SOCCORSO DI VERBANIA CON UNA PENNA STILOGRAFICA !
“ Vattene e lasciami in pace.”
“ Non lo posso fare.”
“ Perché ? Perché non puoi ? ”
“ Perché ti amo. E sono preoccupato per te.”
“ Stronzate !”
“ Giulia, ti prego, cerca di non agitarti …”
“ Tu non avvicinarti.”
“ Ti stai rendendo ridicola…. chiedo scusa a tutti,” continuò Cesare rivolgendosi ai due medici e all’infermiera, “ e vi ringrazio per avermi chiamato. Mia moglie,” spiegò girando lo sguardo verso Giulia, “ in questo periodo non sta bene. Soffre di amnesia isterica e di manie di persecuzione. Stamattina non ha preso le sue medicine ed è uscita di casa senza avvisare nessuno ..”
“ Non è vero !” gridò Giulia, “ non mi sta dando le pastiglie che mi hanno prescritto ! Mi sta facendo prendere il Paxil ! Mi ha drogata e rinchiusa in casa. Mi impedisce di comunicare con chiunque. ”
“ Giulia, per favore ….”
“ No ! Adesso mi lasci parlare. Hai mentito a tutti, e ti hanno creduto perché sei il famoso avvocato, il cittadino stimato e rispettabile, mentre io sono considerata una pazza che ha perso la memoria. Ma la verità è un’altra. Anche se non mi ricordo chi sono, so di non essere pazza, anche se stai facendo di tutto per farmi andare fuori di testa. Prima che tu mi riportassi a casa, non stavo così male, anzi, non stavo male  affatto ! Quindi, che cosa mi hai fatto per ridurmi così ? Che medicine mi hai dato ? ”
Prese dalla tasca le pastiglie che aveva mostrato al farmacista e tenendole sul palmo della mano si rivolse ai due medici. “ Forza, ditemi se questo è Xanax ! ”
“ Dove hai preso quelle pastiglie ? Cosa sono ? Chi te le ha date ? ” esclamò Cesare con espressione strabiliata.
Giulia rimase quasi inebetita per lo stupore. “ Cosa stai dicendo ? Stai forse cercando di sostenere che queste non sono le pastiglie che mi stai dando da settimane ? ”
“ Giulia, ti prego. Vieni a casa con me e parliamone con tranquillità.”
“ Rispondi alla domanda ! Stai cercando di far credere che le pastiglie che mi hai dato non sono queste ? ”
“ Assolutamente no. Non le ho mai viste prima.”
“ Sei uno schifoso bugiardo ! ” Guardò disperata i medici. “ Vi prego, credetemi ! Non sta dicendo la verità !”
“ Ma… Giulia,  perché tuo marito dovrebbe  mentire ? ” chiese il medico che l’aveva tradita.
“ Perché non vuole che mi torni la memoria ! E’ successo qualcosa che non vuole che io ricordi, e il modo migliore per esserne sicuro è ridurmi come un vegetale. Così potrà farmi interdire, rinchiudermi da qualche parte e tutti diranno che non poteva fare altrimenti. Penseranno che io sia pazza, e qualsiasi cosa dirò sarà il delirio di una  pazza ! ”
“ Giulia, per carità …. ” la pregò Cesare, “ non ti rendi conto che le cose che dici sembrano le fantasie malate di una squilibrata ? Cosa vuoi che pensi chi ti ascolta ? ”
“ E cos’altro potrei fare ? ” chiese Giulia rivolgendosi al medico, “ come faccio a farvi capire che non sono pazza e che non sto farneticando ? ”
“ Giulia, adesso basta,” insistè Cesare, “ queste persone vorrebbero aiutarti e tu le stai mettendo molto a disagio. Non è meglio se ne parliamo con tranquillità, da soli ? ”
“ No ! Non voglio più parlare con te ! Voglio essere lasciata in pace. Voglio che tu te ne vada.”
“ Questo non posso farlo. Io ti amo.”
Nonostante tutto, Giulia sapeva che in quel momento Cesare non stava mentendo.
“ Perché mi stai facendo questo ? ” gli chiese in tono sommesso.
“ Perché ho giurato a me stesso di proteggerti.”
“ Tu non mi stai proteggendo, mi stai   distruggendo !”
“ Giulia, tesoro….”
“ Che cosa mi stai nascondendo ? Che cosa non vuoi dirmi ? Da cosa devi proteggermi ? ”
“ Giulia, ti prego …”
Che cosa è successo tra noi il giorno in cui sono scomparsa ? ”
L’orrore e lo spavento che vide negli occhi di Cesare le disse che non si era sbagliata. Quel giorno era successo qualcosa. Qualcosa di terribile.
“ Per favore, vieni a casa con me. Ti prometto che parleremo di tutto.”
“ No. Il dizionario parla di perdita del controllo e di  …. atti di violenza contro qualcuno che si ama…… allora, abbiamo avuto una discussione ? Una lite violenta ? ”
“ Non c’è stata nessuna discussione.”
“ Stai mentendo. Sei un bugiardo.”
“ Giulia … ”
“ Se non abbiamo litigato, come ti sei ferito al  petto ? ”
“ Te l’ho già spiegato. Tu non lo ricordi più, ma sono stato aggredito da un cliente …”
“ Non ci credo. E la cicatrice è fresca. Perché non la fai esaminare da questi dottori ?”
“ Avvocato,” intervenne l’infermiera, “ vuole che chiami la polizia ? ”
“ Non chiami nessuno ! ” urlò Giulia.
“ Non è necessario, per adesso, ” rispose Cesare,    “ forse possiamo convincere Giulia ad essere ragionevole.”
“ Io sono pazza, l’hai dimenticato ? ” replicò lei,      “ come pensi di convincere una pazza ad essere ragionevole ? ”
“ Giulia, ti amo… torna a casa con me.”
“ Se mi ami così tanto, perché ho cercato di ucciderti ? ”
Cesare sembrava paralizzato dallo stupore. Tutti gli altri lo fissarono immobili, in un silenzio sbigottito.
“ Non mi rispondi ? Allora è vero. Ho cercato di ucciderti.”
“ No.”
“ No ? Non abbiamo litigato e io ti ho colpito con un oggetto tagliente ? ”
“ No.”
“ Se non è andata così .. ” Giulia esitò un istante, poi prese fiato e continuò “ perché il giorno in cui sono scomparsa la mia camicia era tutta macchiata di sangue ? ”
“ Sangue ? ” esclamarono insieme i due medici e l’infermiera.
Cesare rimase in silenzio.
“ E i lividi che avevo sul corpo ?”
“ Lividi ? Mio Dio ! ” sussurrò l’infermiera.
Cesare continuò a guardarla senza dire una parola.
“ E i soldi ? Avevo trentamila euro in tasca. Dove li ho presi ? Parla, Cesare. Non stai dicendo nulla, ma i tuoi occhi ti tradiscono. E’ chiaro che sai di cosa sto parlando.”
Il silenzio era assordante. Tutti gli occhi erano puntati su Cesare, immobile, i bei lineamenti tesi nell’espressione di un uomo colpito da un fulmine.
“ Perché non ne hai mai parlato prima ? ” chiese a voce bassa.
Giulia scosse la testa. Si sentiva liberata da un peso enorme. Ce l’aveva fatta. Il suo incubo segreto era venuto alla luce. L’aveva detto a voce alta. Quale sarebbe stata la reazione di Cesare ?
“ Vorrei rimanere solo con mia moglie per qualche minuto,” disse rivolgendosi agli altri, “ ho bisogno di parlarle in privato.”
“ Preferirei che rimanessero,” obiettò Giulia, spaventata all’idea di restare sola con Cesare.
“ Come vuoi, ” rispose lui, “ ma sarebbe meglio se quello che devo dirti rimanesse una questione personale. Almeno per adesso. Se poi non sarai d’accordo con me, racconterai tutto a chi vuoi. Anche alla polizia, se credi. Anzi, forse sto sbagliando io, non avrei dovuto proteggerti così a lungo se queste sono le conseguenze del mio tentativo.”
“ Possiamo aspettare qui fuori,” propose uno dei medici rivolgendosi a Giulia. Lei annuì con la testa.
Li guardò uscire e chiudersi la porta alle spalle. Allora arretrò fino a trovarsi dall’altra parte della scrivania.
“ Stammi lontano,” lo avvertì.
“ Perché ? Pensi che voglia farti del male ? ”
“ Non lo so. Può essere. Sei molto abile, e da quello che ricordo sei anche pericoloso. Non mi fido di te. Ieri sera è stata un’ulteriore conferma.”
“ Pensi davvero che io ti abbia messo qualcosa nel succo ? ”
“ Perché, non l’hai fatto ? ”
“ No.”
“ E come spieghi il fatto che all’improvviso ho cominciato a vederci doppio, ad avere la nausea e mi sono trovata per terra ? ”
“ Non è una novità.”
“ Quindi ? ”
“ Quindi tu non stai bene. E ieri hai superato te stessa. Prima hai minacciato Rosa con un forchettone, poi hai sostenuto una conversazione ai confini della realtà con una sconosciuta, l’hai invitata a cena,  ti sei preparata per passare una serata con due persone che non ricordi per nulla, e hai recitato una parte francamente insostenibile. Non credi che sia stato un po’ troppo ? Soprattutto considerando che fisicamente non sei affatto in forma ? ”
No, Giulia non lo credeva. “ Certo che quando devi convincere qualcuno sei davvero bravo.”
“ Forse lo sono perché sto dicendo la verità. Giulia, ti giuro che il tuo aperitivo non l’ho nemmeno toccato.”
Lei si aggrappò con le mani al bordo della scrivania e strinse con tutte le sue forze.
“ Voglio sapere cos’è successo il giorno in cui sono scomparsa. Voglio sapere del sangue. Dei lividi. Dei soldi. Voglio sapere tutto.”
“ Allora è meglio se ti siedi.”
“ Sto bene in piedi.” Non era vero. Aveva bisogno di sedersi, la sua resistenza era veramente arrivata alla fine.
“ Ti aiuto a sederti sulla poltrona.” Cesare si avvicinò e Giulia, spaventata, perse l’equilibrio e cadde sbattendo le ginocchia a terra.  Lui le corse accanto.
“ Stai lontano !” gridò lei.
“ Giulia, per favore ! Voglio solo darti una mano a rialzarti. Cosa pensi che voglia farti ? ”
Lei scivolò verso il muro allontanandosi da Cesare.
Rassegnato, lui sospirò e tornò dalla sua parte della scrivania, si sedette e appoggiò le mani vuote sul tavolo.
“ Guarda, sono seduto lontano e non ho niente che potrebbe farti del male. Cos’altro posso fare per convincerti ? ”
“ Dirmi la verità.”
Cesare rimase in silenzio per qualche istante, la fronte aggrottata, gli occhi fissi sul palmo delle proprie mani. Lei si rialzò faticosamente e si lasciò cadere sulla poltrona del medico.
“ Giulia, ti prego di credermi. Hai ragione, non ti ho detto tutta la verità. Non sono stato… …..completamente sincero. Ma l’ho fatto pensando a te, convinto che fosse il modo migliore per proteggerti e aiutarti a stare meglio. Se solo avessi sospettato che tu ricordavi il sangue, i lividi e i soldi,  le cose sarebbero andate molto diversamente. Dio Santo, ” sospirò scuotendo lentamente la testa, “ ora capisco le tue paranoie e i tuoi sospetti. Adesso capisco perché non ti fidi e hai paura di me.” Si accarezzò distrattamente il petto, passando la mano sulla cicatrice nascosta dalla camicia.
“ Quindi stai dicendo che mi hai mentito ? ”
Lui alzò la testa verso di lei, lo sguardo intenso concentrato sul suo viso.
“ Sì. Non volevo che tu sapessi cos’era successo veramente. Se te l’avessi detto quando sei tornata a casa e non ricordavi nulla, ti avrei fatto solo altro male. Ero convinto che la tua mente avrebbe cominciato a ricordare quando tu fossi stata pronta ad affrontare la realtà. E, soprattutto, non volevo essere io a farti soffrire ancora di più. Volevo solo proteggerti. Avevi patito già tanto ….”
“ Dimmi …”
“ Non è facile, Giulia. Non so neanche da dove cominciare.”
“ E’ … così difficile ? ”
“ Sì. E che tu lo sappia da me mi fa stare ancora peggio…”
Giulia cominciava a sentirsi più spaventata che bramosa di conoscere la verità.  “ Forza… dimmi..”
“ Dobbiamo tornare indietro di oltre un anno,” cominciò Cesare, “ a quando … a quando perdesti il bambino. Eri già al quinto mese di gravidanza.”
Giulia non riusciva quasi a respirare. “ Ho … perso.. il mio bambino ..?”  ripetè ansimando.
“ Il nostro bambino, Giulia. Non pensare che sia facile per me ricordare quel momento terribile. E’ stato un incidente, una disgrazia, chiamala come vuoi. Sei caduta dalla scalinata, in casa. Forse sei inciampata o forse hai avuto un capogiro… questo non è importante. Il punto è che tu non sei riuscita ad accettare la perdita. Ti sei data la colpa di quanto era successo, e hai cominciato a comportarti come se volessi punirti da sola. Non volevi più frequentare gli amici, hai piantato a metà un libro già venduto, hai messo la macchina fotografica nel cassetto e hai smesso anche di parlare con me. Passavi ore a dondolarti sul portico della cucina, sprofondata nella tua depressione, piangendo per ore. A un certo punto hai cominciato a rifiutare il cibo. Ho provato a convincerti ad intraprendere una terapia psicologica, a rivolgerti a uno specialista, insomma … qualsiasi cosa ti potesse far uscire da quel tunnel di disperazione, ma non hai voluto sentire ragioni. Sei sempre stata una donna dolcissima, e in poco tempo ti sei trasformata in un’estranea furibonda. Ti arrabbiavi per cose insignificanti, ce l’avevi con tutti, hai litigato con metà paese e alla fine hai cominciato ad avere attacchi di rabbia incontrollata … rompevi oggetti, tiravi piatti contro il muro, strappavi i fiori… cose così. Non c’era niente di veramente preoccupante, ma tu ti rifiutavi di essere aiutata, dicevi di avere bisogno di tempo per superare il dolore, così ti ho lasciato gestire la perdita come credevi meglio, ho avuto pazienza, ho aspettato che la situazione migliorasse, che tu tornassi serena…..e in effetti dopo un po’ di settimane hai cominciato a stare meglio. Abbiamo ricominciato a vivere in modo quasi normale, e tu hai iniziato ad accarezzare l’idea di avere un altro bambino.”
“ E poi ? ”
Cesare sospirò. “ Poi la situazione è precipitata. Un paio di mesi prima che fosse passato un anno dall’incidente, hai cominciato a parlare ossessivamente del bambino che avevamo perduto, continuando a ripetere che la colpa era stata tua. Parlavi solo di quello e avevi degli incubi terribili che non riuscivi quasi a raccontare. Poi, un giorno … ” Cesare si nascose il viso tra le mani e cominciò a piangere, le spalle scosse dai singhiozzi.
“ Cosa ? Un giorno… cosa ? ” bisbigliò Giulia, anche se pensava di aver già indovinato il resto.
Lui si sforzò di calmarsi e di proseguire il racconto. “ Una sera…. erano giorni che non dormivi, avevi crisi di nervi e la tensione era inimmaginabile … una sera sono tornato a casa e ti ho trovata sdraiata sul letto… sembravi morta… oh Dio, Giulia ! Non puoi capire cos’ho provato …. avevi ingerito tutto il possibile… sonniferi, aspirine, antidolorifici … di tutto. Ti hanno fatto una lavanda gastrica. Hanno detto che se fossi arrivato anche solo un’ora dopo ….” Cesare ricominciò a piangere.
“ Quindi… ho cercato di togliermi la vita per il senso di colpa ? ”
Lui annuì. “ E non è tutto. Quando sei tornata a casa, approfittavi di ogni attimo in cui non riuscivo a controllarti per farti del male…. Avevi il corpo ricoperto di lividi. Non sapevo più cosa fare. Ho consultato uno psichiatra, ma senza la tua collaborazione non poteva aiutarti, e tu ti rifiutavi nel modo più assoluto di ammettere la violenza contro te stessa. Ero disperato, Giulia, disperato …”
“ E poi ? Poi cos’è successo ? ”
“ Poi è arrivato il giorno dell’anniversario dell’incidente. Dovevo essere a Roma, ma sapevo che non potevo lasciarti sola proprio quel giorno. Così, non ti ho detto niente e sono rientrato a casa quella mattina presto. …eri in camera da letto e stavi buttando dei vestiti in una borsa. Sembravi impazzita, hai cominciato a insultarmi. Ho cercato di parlarti, di chiederti cos’era successo, ma tu eri isterica, gridavi, mi prendevi a pugni, piangevi. Poi hai cominciato a dire che dovevi andartene, che dovevi farlo per me, perché se no mi avresti rovinato la vita, mi avresti fatto del male… come avevi già fatto a qualcuno che io amavo.”
“ Ma perché dicevo cose del genere ? ”
Cesare rimase in silenzio.
“ Cesare … ”
“ Senti, è già abbastanza difficile così … per oggi fermiamoci a cosa è successo …del perché parleremo un’altra volta.”
“ No…. cosa vuol dire che ti avrei fatto del male come avevo già fatto a qualcuno che amavi ? ”
Cesare si irrigidì. Ricominciò a parlare con voce roca. “ Un paio d’anni fa .. prima dell’incidente …” si interruppe nuovamente e strinse i pugni. “ avevi fatto qualche servizio di catering con Cristina….. e avevi preso l’abitudine di andare ogni giorno a pranzo nel loro ristorante…. per me non c’è mai stato problema, ma poi ho scoperto che a quell’ora Cristina non c’era e che tu passavi il tempo cucinando insieme a Paolo … ”
“ E abbiamo avuto una relazione,” disse Giulia,      “ tu come l’hai scoperto ? ”
“ Lo sospettavo. Eri strana, non ridevi più, mi guardavi come se avessi paura di me … non lo sopportavo. Te l’ho chiesto senza tanti giri di parole e tu l’hai ammesso subito. Sembravi quasi sollevata.”  Scosse la testa. “ Ma di questo preferirei non parlare più.”
“ Ti ho ferito molto.”
“ Sì, ma in parte la colpa è stata mia. Tu l’hai fatto per attirare la mia attenzione, ti sentivi trascurata. Ero spesso in viaggio per lavoro e, in ogni caso, non ti dedicavo il tempo di cui avevi bisogno. Non avevi alcun interesse per Paolo, stavi solo cercando di ingelosirmi.”
“ E ci sono riuscita ?”
“ Se ci sei riuscita ?” Cesare fece una mezza risata, poi tornò serio. “ Non è questo il punto. Ho capito, abbiamo capito, che gli impegni e i ritmi di lavoro ci stavano allontanando. Ma soprattutto ci siamo resi conto di amarci come il primo giorno. Quel bambino è stato concepito dopo quel momento. Era il coronamento della nostra felicità, il completamento perfetto del nostro amore.”
“ Quindi, quando ho avuto l’incidente e l’ho perso la mia reazione è stata influenzata anche dal significato che gli avevamo dato …”
“ Già. Ha esasperato il tuo dolore e ti ha impedito di accettare la perdita e andare avanti …”
“ Ma quella mattina ? Quando sei tornato e io stavo facendo la valigia ? Cos’è  successo ? ”
“ Ho cercato di calmarti, di ragionare con te, ma tu continuavi a colpirmi e a gridare che mi avevi rovinato la vita. Allora … beh, immagino di essere stato talmente spaventato dal tuo comportamento da aver perso il controllo per un attimo … ho cominciato a scuoterti, tu mi graffiavi, poi ho sentito un dolore atroce al petto e ho visto il sangue…. mi avevi colpito con un paio di forbici … Dio, quanto sangue… Devo essere svenuto per lo shock, perché non ricordo altro. Quando mi sono ripreso, tu eri sparita lasciando tutto lì…. chiavi, documenti, vestiti. Non avevi preso niente. Solo più tardi ho scoperto che avevi ripulito il nostro conto corrente comune. Circa trentamila euro.”
Giulia rimase in silenzio per alcuni minuti. “ Perché hai aspettato fino al giorno dopo per denunciare la mia scomparsa ? E perché non hai raccontato nulla alla polizia ? ”
“ Ero sicuro che saresti tornata. Poi, quando la notte è passata senza avere tue notizie, ho capito che doveva esserti capitato qualcosa. E non ho raccontato nulla di tutto questo per ovvi motivi … Cosa pensi che sarebbe successo se avessi detto alla polizia che mi avevi ferito ed eri scappata con i nostri soldi ?  Ti avrebbero denunciata e cercata come una criminale. Pensi che avrei potuto permettere una cosa del genere ? Come puoi pensare che ti avrei fatto questo ? Io ti amo, dovevo proteggerti. Volevo solo che ti ritrovassero, ero sicuro che in qualche modo avremmo superato insieme anche questo … ” Cesare si interruppe per qualche istante.
“ Quando mi hanno detto che ti trovavi in ospedale e che non ricordavi chi fossi, da una parte mi è sembrato di scoppiare di sollievo, dall’altra ho capito che la situazione era precipitata e che dovevo fare tutto quello che era possibile per aiutarti. Anche mentendo alla polizia e a tutti i nostri amici.”
“ E le medicine che mi davi ? ”
Cesare distolse lo sguardo. “ Dopo l’incidente hai sofferto di una gravissima depressione e ti hanno prescritto il Paxil. Ne ho parlato con il dottor Zannini quando ci siamo incontrati in ospedale. Nel momento in cui ci siamo resi conto che lo Xanax non aveva nessun effetto e, anzi, stavi peggiorando e ricominciavi ad essere depressa, mi ha consigliato di riprovare con il Paxil.”
Giulia stava tormentando il bracciolo della poltrona.  “ C’è qualcosa che non mi stai dicendo. Me lo sento. Lo leggo nei tuoi occhi. Cosa mi nascondi ? ”
“ Ti ho detto tutto. Tutto quello che è successo.”
“ No, non è vero. Ne sono assolutamente certa.”
“ Giulia, ti prego. Non è abbastanza ? ”
“ Dimmelo, Cesare.” Giulia stava ricominciando ad agitarsi. “ Non capisci che ho bisogno di sapere tutto ?  Tu hai detto che mi sono data la colpa dell’incidente. Hai detto che ho fatto di tutto per punirmi. E che volevo lasciarti per non fare ancora del male a qualcuno che amavi…. “ Si alzò e si chinò verso di lui. Bisbigliando aggiunse : “ Cosa non mi hai detto ? Qual’ è la verità che       nascondi ? ”
Cesare nascose il volto tra le mani. “ Non è stato un incidente.”
A Giulia cedettero le gambe. Si rese conto di essersi afflosciata a terra. Cesare era accanto a lei e le sosteneva la testa.  “ Non è stato un incidente .. ? Cosa significa ? Non sono caduta dalla  scalinata ?”
Lui la strinse tra le braccia e la tenne contro il suo petto. “ Ti sei buttata….. non volevi più il bambino.”
“ Oh, Dio mio …. Dio mio…..” gemette Giulia.
“ Ti prego… non fare così….. torniamo a casa e ricominciamo a vivere … ti prego, mi manchi tanto….” Cesare aveva ricominciato a piangere, e lei sentiva le sue lacrime bagnarle il collo.
“ Ma perché … perché ho fatto una cosa così orribile…. ? ”
“ Giulia, tesoro, è difficile da capire e da spiegare … dopo quello che era successo con Paolo … avevi paura che il bambino avrebbe preso il tuo posto nel mio cuore….”
“ Oh, no … no ! ” urlò Giulia.
“ Adesso basta. .. amore mio,  non voglio perderti.” Cesare strinse ancora più forte il corpo pietrificato di Giulia. “ E’ stata una tragedia, ma fa parte del passato. Se non riuscirai ad accettarlo, non ci sarà futuro per noi due.”
“ Ho ucciso il mio bambino …. ho ucciso il … mio ….  bambino ….”
“ Ancora non ricordi niente di quel giorno, vero ?”
Giulia scosse la testa. “ Il … mio … bambino .. ”
“ Basta, basta …. Noi siamo ancora qui, e siamo insieme. Abbiamo tutta la vita davanti a noi.”
Giulia guardò il bel volto di Cesare bagnato di pianto, vide l’amore nei suoi occhi, sentì la forza del suo abbraccio.
Chiuse gli occhi e non disse nulla.

domenica 27 gennaio 2013

Capitolo 19


“ Devo vedere la dottoressa Sala.”
Si era rivolta all’infermiera bionda seduta all’accettazione del pronto soccorso, intenta a lavorare al computer. La giovane donna la guardò con un po’ di diffidenza. Devo avere un aspetto inquietante, pensò Giulia, lisciandosi lo spolverino con le mani umide di sudore. Dopo averla osservata in silenzio per qualche istante, l’infermiera rispose: “ Mi dispiace, non è possibile.”
“ Non ho preso un appuntamento, ma sono disposta ad aspettare tutto il tempo necessario. Vorrei solo che mi annunciasse.”
“ Non dipende dal fatto che non ha un appuntamento.”
“ Sia gentile, potrebbe almeno avvisarla ? Le dica che c’è Giulia Marini.”
“ Non mi sono spiegata. La dottoressa Sala non c’è.”
“ Non c’è ?” Giulia guardò l’orologio rotondo sulla parete della sala d’aspetto. Erano le due del pomeriggio. Forse non era ancora rientrata dal pranzo o stava bevendo un caffè.
“ Rientrerà tra qualche settimana. Sta usufruendo di un periodo di congedo. Credo che si trovi all’estero. Vuole essere contattata al suo ritorno ? ”
“ Non posso aspettare. E’ molto urgente.”
“ Allora posso chiamarle uno dei medici di turno, il dottor Troilo o la dottoressa Salin, oppure il dottor Alberici …”
“ No, ho proprio bisogno della dottoressa Sala.”
L’infermiera cominciò a dare segni di nervosismo.
“ Allora non posso fare niente per lei. Posso solo farla contattare quando ritornerà.”
“ Non posso aspettare così a lungo.” Giulia si rese conto che la sua voce aveva un tono molto ansioso e che lo sguardo dell’infermiera era diventato diffidente. Doveva fermarsi un momento a pensare, a riflettere sulle alternative possibili  prima di fare qualcosa di sbagliato. “ Le dispiace se mi siedo un attimo in sala d’attesa ? ”
“ Prego,” rispose l’infermiera indicandole la fila di sedie vuote.
Giulia si sedette su una sedia di plastica verde e respirò profondamente per rallentare il battito del cuore, sentendosi agitata per l’espressione sospettosa della donna. Chissà cosa sta pensando di me e del mio aspetto. Forse non ha ancora deciso come comportarsi. Magari è titubante perché non sa se sono un’amica personale di Emanuela o una sua paziente. Magari pensa che io sia una donna disturbata con cattive intenzioni. Forse sotto lo spolverino sono armata. D’altra parte, è comprensibile… mi tremano le mani e sono tutta sudata.
“ La dottoressa Sala è il suo medico curante ?” chiese l’infermiera.
“ Sono una sua ex-paziente,” mentì Giulia,  “ mi ha detto che rientrerà tra qualche settimana ?”
“ Sì, ma non so precisamente quando. Posso informarmi.”
“ Oggi che giorno è ? ”
“ E’ venerdi. 29 giugno. 2007 ”
“ Grazie.”
“ E’ sicura di non voler vedere un altro medico ? Il dottor Troilo dovrebbe essere disponibile.”
“ No ! ”
La reazione esagerata di Giulia fece sussultare l’infermiera, che si affrettò ad appoggiare la mano sul telefono.
“ Non è necessario chiamare il dottor Troilo.” Era un perfetto sconosciuto, cosa avrebbe potuto raccontargli ?
La giovane donna sembrò tranquillizzarsi e riprese a lavorare al computer.
Allora, adesso cosa faccio ? si chiese Giulia cercando di calmarsi.
Aveva puntato tutte le sue speranze sull’incontro con Emanuela, preparato il racconto che le avrebbe fatto, pronta ad ogni domanda dell’amica, sapendo che forse all’inizio avrebbe dubitato di lei, ma certa che in ogni caso l’avrebbe aiutata. Aveva già immaginato i momenti più critici della conversazione.
“So che farai fatica a credermi, e forse esiste una spiegazione ma io non riesco a trovarla. Credo che solo tu possa aiutarmi.
Giulia, qual è il problema ?
Beh, il neurologo aveva detto che probabilmente avrei ritrovato la memoria in breve tempo ….
Sono d’accordo, ma la mente ha i suoi tempi, non si può programmare.
Sì, questo lo capisco, ma da quando sono tornata a casa sono stata sempre peggio …
Cosa vuoi dire ?
Sono sempre stanca e depressa, e a volte non ho la forza di alzarmi dal letto …
Questo però non è insolito.
Non è solo questo. Vedi, io sono sicura che Cesare non mi stia dando le pastiglie prescritte dal neurologo, ma qualcos’altro….
Che cosa te lo fa pensare ?
Quando ho telefonato al dottor Zannini, lui disse di avermi prescritto lo Xanax. Io ho portato queste pastiglie al farmacista di Stresa, e lui ha detto che non sono compresse di Xanax. Ha detto che questo farmaco si chiama Paxil.
Paxil ? No, si sbaglia sicuramente. Hai queste pastiglie ?
Sì, eccole.
Beh, di certo non è Xanax. Sei sicura che Cesare ti abbia dato queste ?
Sì. E mi fanno stare male. Mi gira la testa, ho le vertigini e la nausea, dolori muscolari …...
Ne sono sicura. Queste pastiglie sono molto pericolose. Ma perché Cesare dovrebbe darti una medicina sbagliata ? Un farmaco che tra l’altro, senza prescrizione, si può ottenere solo tramite Internet in modo quasi illegale ? Non capisco.
Non ti ho ancora raccontato tutto.
Che cos’altro è successo ?
Quando mi sono resa conto che non ricordavo più chi ero, ho preso il treno e sono andata a Milano. E ho scoperto delle cose che non ho detto a nessuno, neanche al neurologo.
A nessuno ? Neanche ai carabinieri ?
No, avevo paura di parlarne. Mi sono trovata trentamila euro in tasca.
Trentamila euro ?
Sì. E la mia camicia era tutta sporca di sangue.
Sangue ?
E non è tutto. Quando mi sono spogliata, mi sono accorta che il mio corpo era ricoperto di lividi.
E non l’hai detto neanche a Cesare ?
No, a nessuno.
Il sangue era il tuo ?
Sono sicura di no. E sono sicura che Cesare abbia mentito sulla sua ferita.
Quale ferita ?
Ha una lunga cicatrice recente sul petto.
Capisco.
Cosa ?
Tu pensi che il sangue sulla tua camicia fosse di Cesare ?
Sì. Sono convinta che sia successo qualcosa che non vuole dirmi, e penso di essere stata io ad aggredirlo. Ha parlato anche di un bambino.
Un bambino ? Quale bambino ?
Non lo so.
E quindi lui ti somministrerebbe il Paxil per impedirti di ritrovare la memoria e ricordare cos’è successo ?
Ha parlato di interdizione legale. Sarebbe il modo migliore per liberarsi di me.
E i soldi ?
I soldi ?
Si, i trentamila euro che avevi in tasca. Dove li hai presi ?
Non ne ho idea.
Giulia, le tue accuse sono molto gravi, e Cesare è un professionista stimato e conosciuto.
Lo so, per questo mi sto rivolgendo a te. Sei l’unica persona che mi può aiutare. Nessuno crederebbe a me, tu invece sei mia amica e sei un medico. Se tu venissi con me alla polizia, ho qualche possibilità che mi ascoltino.
Certo che verrò con te. Non devi più preoccuparti di nulla. Capiremo insieme cos’è successo e ti aiuterò a guarire.”

“ Allora, ha deciso cosa vuole fare ? ” la voce dell’infermiera interruppe il corso dei pensieri di Giulia.
Scosse la testa. Sapeva però che se fosse rimasta ancora lì la donna avrebbe chiamato qualcuno, ma non riusciva a decidere cosa fare. Se fosse andata alla polizia senza Emanuela si sarebbe messa nei guai e Cesare l’avrebbe ritrovata subito. E anche se avesse raccontato tutto, e li avesse accompagnati al deposito bagagli di Cadorna a recuperare i soldi e la camicia, si sarebbero comunque insospettiti per il fatto che non aveva detto subito tutta la verità. Quindi, a chi avrebbero creduto ? A una donna visibilmente malata che aveva già mentito o all’avvocato che aveva fatto carriera con l’arte della persuasione ? A quel punto, sarebbe stato ancora peggio, perché Cesare avrebbe avuto tutti gli strumenti per farla interdire serviti su un piatto d’argento. No, la polizia era da escludere. Almeno per il momento. La cosa migliore sarebbe stata sparire fino a quando Emanuela non fosse tornata. Ma questo non era possibile, perché non aveva i soldi per fare nulla. La chiave del deposito bagagli era nascosta in un reggiseno che aveva lasciato alla villa, dove certamente non era il caso di tornare. E senza documenti e chiave, non aveva nessuna possibilità di accedere a quella cassetta di sicurezza. Quindi, non aveva posti in cui nascondersi. Doveva pensare a qualcos’altro. Ma cos’altro restava ? Le alternative erano ugualmente terribili: tornare a casa ad affrontare Cesare o andare alla polizia sperando che l’affrontassero loro.
Se almeno avesse potuto ricordare !
A meno che … se fosse riuscita a spingere in qualche modo la sua mente a tornare indietro, al momento in cui aveva deciso di evadere dalla realtà…. allora lei avrebbe saputo e, conoscendo la verità, forse avrebbe potuto spiegare e dimostrare tutto quello che era successo dopo. Avrebbe avuto una via d’uscita.
“ Mi scusi, ci sono dei testi di medicina che si possono consultare ? ” chiese.
“ Scusi ? ” Evidentemente l’infermiera era rimasta un po’ sconcertata dalla richiesta.
“ Avrei bisogno di controllare qualcosa su un dizionario medico.”
“ Un momento, vado a vedere.” La donna si alzò dalla sedia e sparì nel corridoio.
Giulia rimase ad aspettare in preda all’inquietudine. E se l’infermiera fosse andata a chiamare   qualcuno ? Se non fosse tornata entro pochi minuti, se la sarebbe data a gambe.
L’infermiera tornò quasi subito con un libro enorme tra le braccia.
“ Ecco, qui dovrebbe esserci tutto. Lo appoggi pure sul quel tavolo. ”
“ Grazie,” rispose Giulia combattendo contro una vertigine improvvisa.
Aprì il volume all’indice alfabetico. Sbrigati, si ordinò, cercando di concentrarsi sulle parole che si confondevano una sull’altra. Trovò la pagina relativa alla voce Amnesia e cominciò a scorrerla velocemente.
“……disturbi dissociativi…fuga isterica … stati di incoscienza di durata protratta …perdita dell’identità per dimenticanza …percentuali di disturbi della memoria connessi a infanticidi …”
Infanticidi ? Cesare aveva parlato di un bambino.
“ … fuga patologica  ….. motivi seri e drammatici ….  che portavano a tentare inutili fughe da situazioni di estrema violenza …”
I sogni. Quei sogni terribili che forse erano ricordi reali.
“ … il soggetto si trova in una situazione fortemente conflittuale  …che non ha nessuna possibilità di risolvere …la fuga dissociativa ha sempre un esordio improvviso e inaspettato … Non ha una causa fisica o medica diretta, è piuttosto il precipitato di uno stato emotivamente traumatico …in certe circostanze la fuga dissociativa costituisce un’inconsapevole protezione da impulsi suicidi …”
Impulsi suicidi ?
“ …. momentanea caduta dei controlli alle reazioni impulsive …. tale da portare ad atti di violenza con intento omicida ai danni di una persona amata ….
Oh Dio. Cosa voleva dire ? Aveva cercato di uccidere Cesare ?
Ma perché ? Forse perché lui aveva scoperto la sua relazione con il marito di Cristina ?
E adesso lui stava cercando di trasformarla in uno zombie per vendicarsi ?
“ Ciao, Giulia.”
Alzò la testa di scatto e fissò lo sconosciuto in camice bianco accanto all’infermiera.  
“ Come stai ? Caterina mi ha detto che stai cercando la dottoressa Sala. Posso esserti utile ? ”
Giulia non aveva la minima idea di chi fosse quel medico, ma se aveva fatto la volontaria al pronto soccorso lo conosceva sicuramente.
“ Sì… ”
“ Ti senti bene ? ”
“ Non proprio.”
“ Vuoi un bicchiere d’acqua ? ”
“ Mi farebbe piacere.”
“ Forza, vieni nel mio ufficio.”
Giulia chiuse il dizionario e si alzò con fatica. Le girava la testa, aveva la nausea ed era sconvolta dalle implicazioni di quello che aveva appena letto. Seguì l’uomo in una piccola stanza che conteneva un lettino, alcuni apparecchi, un diafanoscopio e una scrivania. Evidentemente veniva utilizzato per le visite.
“ Sei stata ammalata ? Sei molto pallida.”
“ Non sono stata bene.”
“ Hai spaventato l’infermiera. Perché non mi hai fatto chiamare ?”
Perché non ho la più pallida idea di chi tu sia, pensò lei. “ Scusa, non sapevo che fossi qui,” rispose.
“ Cosa stavi cercando sul dizionario ?”
“ Alcune informazioni che mi servivano.”
“ Caterina mi ha detto che ti comportavi in modo strano… posso fare qualcosa per te ? ”
Giulia sospirò. Va bene, allora avrebbe giocato il tutto per tutto.
“ Stanno succedendo delle cose strane.”
“ Hai voglia di parlarne ? ”
“ Credo che ieri sera mio marito abbia messo qualcosa nel mio aperitivo, qualcosa che mi ha fatto stare male. Stamattina sono scappata e sono venuta qui. Indosso ancora l’abito che portavo a cena.”
“ Perché tuo marito dovrebbe farti stare male ? E perché hai pensato che l’unica soluzione fosse scappare ? ”
Giulia ebbe la sensazione fortissima che qualcosa non andasse. Il medico le parlava con distacco, senza alcuna partecipazione, come se lei fosse un’estranea.
“ Tu pensi che io sia fuori di testa, vero ? ”
“ Io non l’ho detto.”
Si rese conto che si era infilata nella trappola come un’idiota. Sicuramente avevano già chiamato Cesare.
“ E’ meglio se me ne vado.”
“ E dove pensi di andare nello stato in cui sei ? ”
Era chiaro che stava solo cercando di trattenerla. Giulia si alzò dalla sedia nel momento in cui la porta dello stanzino si apriva. Un altro medico in camice bianco e l’infermiera entrarono insieme ad un uomo, mentre lei metteva a fuoco il viso di Cesare e capiva che la fuga verso la salvezza finiva lì.

venerdì 25 gennaio 2013

Capitolo 18


“Non so in quale altro modo spiegartelo, Giulia. Non sono per niente d’accordo che tu vada a cucinare a casa di Marco Costa. Può sicuramente pagarsi decine di cuochi ed è l’ultima persona al mondo che mia moglie dovrebbe frequentare,” disse Cesare in tono incollerito.
“ Lo so. Ma ti ho già detto che non posso rifiutare questo favore a Cristina. Ha firmato un contratto con Costa per una cena da dodici persone e il suo aiuto l’ha piantata all’ultimo momento. Sai quanto sono importanti per Paolo e Cristina questi servizi di catering. Oltre a guadagnare molto, si fanno pubblicità per il ristorante. Non pianto in asso un’amica che ha bisogno di me.”
“ Costa non mi piace. Farebbe qualsiasi cosa per portarmi via collaboratori e clienti.”
“ E tu faresti lo stesso. Non siete poi così diversi, no ? E comunque non mi vedrà nemmeno.                 Resterò segregata in cucina a lavorare, non servirò certo al tavolo !”
Giulia cercò di placare il tono della conversazione. “ Oggi sei particolarmente affascinante. Quel maglione ti dona molto.” Lui sorrise e lei si sentì sollevata. Forse la bufera si stava allontanando.
“ E tu sei sempre più bella. Com’è possibile ?”
Lei lo abbracciò. “ E’ perché mi rendi così felice.”
“ E inoltre, sono geloso. E’ una cena per soli uomini ?” insistè lui.
“ Non lo so. Gli invitati non li vedrò neanche !”
Lui le appoggiò la guancia sui capelli. “ Oh, Giulia, non immagini neanche quanto ti amo …”
Giulia pensò che nonostante fossero sposati ormai da cinque anni lui la desiderava come la prima volta. E lei lo ricambiava con la stessa passione. Non mancava mai di stupirsi per l’intensità con la quale i loro corpi continuavano a cercarsi…
“ E sia. Se ormai ti sei impegnata …ma appena avrai finito torni a casa, ok ? Non credo sarà necessario trattenersi fino alla fine della serata.”
“ Se ne occuperanno Cristina e Paolo. Non ti preoccupare. Tornerò a casa il prima possibile.”

“ Posso guardare ?” chiese Marco Costa entrando in cucina.
Giulia era ai fornelli da sola. Paolo si stava occupando dei vini in cantina e Cristina sovrintendeva al lavoro dei camerieri che apparecchiavano nella grande sala da pranzo.
“ Prego. La cucina è sua !”
“ Non vorrei disturbarla.”
“ Non mi disturba, assolutamente.”
“ Lei è Giulia, vero ? La moglie di Cesare Panti ?”
“ Sì. Ma preferirei essere considerata Giulia, la maga dell’arrosto.”
Si rese conto che era meglio evitare qualsiasi riferimento al marito. Un campo minato professionale. Cercò qualcosa da dire per evitare un imbarazzante silenzio.
“ Ha delle porcellane meravigliose,” disse indicando il servizio da tavola  scelto per l’occasione.
“ Credo di sì. Non presto molta attenzione a queste cose. Se ne occupava mia moglie. Ex-moglie.”
La villa dell’avvocato Costa era davvero molto bella. Giulia non aveva visitato l’interno a parte la cucina nella quale si trovava, ma l’esterno era spettacolare, sembrava un piccolo castello medievale.
“ Ha davvero una splendida casa.”
“ Lo crede davvero ? L’ha scelta la mia ex-moglie. Dopo la separazione mi sembrava enorme ed estranea. Ma devo ammettere che ora mi ci trovo molto bene. Ci si abitua a tutto, no ?”
“ Certo, ma non sarà stato difficile abituarsi ad una casa bella come questa !” rise Giulia.
“ E lei ? Anche lei si è obbligata ad abituarsi ?”
Giulia lo guardò con aria sorpresa. “ Cosa intende dire ?”
Costa scrollò le spalle e sorrise “ Non lo so. Non ci faccia caso. A volte mi vengono in mente pensieri strani. Una specie di intuizione. Ma non gli dia importanza.”
“ Sa, sono un po’ nervosa. Vorrei che stasera fosse tutto perfetto e ho paura di essermi presa una responsabilità troppo grande.”
“ Lei si sottovaluta. Credo che i miei invitati non crederanno ai loro occhi quando vedranno questa meraviglia,” disse lui osservando il lungo tavolo della cucina sul quale erano disposti grandi piatti di portata con gli antipasti, alcune specialità di Giulia già pronte per essere servite: sfogliatine al pollo tartufato, crêpes agli asparagi, bignè di prosciutto e quiche lorraine ai carciofi.
Giulia si muoveva tra i fornelli e la dispensa. Aprì il forno per sistemare un’enorme teglia di lasagnette con funghi e sugo di lepre. Poi diede un’occhiata esperta al banco sul quale erano disposti gli ingredienti per i dolci: pasta mandorlata, salsa di nocciola e sciroppo di zucchero.
Certa di avere tutto sotto controllo, si sentì soddisfatta. “ Ha una cucina perfetta, sembra di essere nel ristorante di Cristina. Mi fa venire un po’ d’invidia.”
“ Beh, una cucina perfetta per una vera professionista. Si occupa spesso di catering ?”
“ Oh, no … in realtà è la prima volta. Sto solo dando una mano ai miei amici.”
“ Beh, se le venisse voglia di farlo avrebbe sicuramente un grande successo. Non l’ha mai preso in considerazione ? In fondo, lei è un’esperta. La sua fama la precede.”
“ Non credo che sarebbe possibile .. sono già molto impegnata con i miei libri, la fotografia, il volontariato e la casa … è molto grande, e il mio tempo sembra non bastare mai. Sa, mio marito tiene molto alla casa.” Lui la osservò con uno sguardo interrogativo e leggermente ironico.           O almeno, lei lo interpretò così. Si sentì improvvisamente in imbarazzo.
“ Ora dovrei concentrarmi  sulle quaglie,” disse in fretta.
“ Posso sperare di avere la sua compagnia a  tavola ?”
“ Beh…non è possibile. Si ricorda ? Mi pagano per lavorare, non sono un’ospite …  comunque, grazie per il pensiero.”
“ Ma io sono il padrone di casa e la sto invitando. Qundi, sarebbe un’ospite.”
“ Non credo sia il caso.”
Lui la guardò con aria divertita. “ Non è il caso perché suo marito non è qui ?”
Giulia annuì con la testa. “ Ora però devo proprio rimettermi al lavoro. ” Costa sorrise nuovamente e uscì dalla cucina. Giulia si sentì un po’ agitata.
Perché mai dovrei, pensò, non ha detto niente di sconveniente.

Due ore dopo, la musica e le risate entravano dalla porta a molla della cucina che si apriva e si chiudeva al passaggio dei camerieri.
“ Si stanno divertendo un mondo,” disse Cristina entrando, “ e hanno ripulito i piatti. Sei stata grande. Non so come avrei fatto senza di te. Sei davvero una cuoca con i fiocchi !”
Nonostante fosse molto stanca, Giulia si sentì elettrizzata dal complimento.
Quando Costa fece capolino dalla porta dicendo che gli invitati volevano vedere lo chef, accettò di seguirlo in sala da pranzo con piacere. Gli uomini e le donne al tavolo sembravano tutti professionisti e uomini d’affari, e le loro compagne erano eleganti e molto sofisticate.
La coprirono di complimenti. Giulia si sentì felice. Era davvero soddisfatta.
Gli ospiti chiesero di ballare e Costa cambiò il cd nell’impianto stereo.
Le tese le mani. “ Sia gentile, mi regali un ballo.”
“ Oh, no. Ballo malissimo.”
“ Anch’io. Almeno saremo in due.” La guidò al centro della sala.
Giulia si sentiva un po’ ridicola, ma si accorse che si stava divertendo.
Vide che Cristina le faceva un cenno dalla porta indicando l’orologio al polso e si rese conto che era mezzanotte passata. Era convinta che fossero le undici al massimo. Cercò di abbandonare il ballo, ma Costa la guidò verso il giardino, all’esterno della casa, dove altri invitati stavano ballando un lento.
“ Devo proprio andare,” sussurrò Giulia.
“ Solo cinque minuti. Mi piace ballare con lei.”
Costa era poco più alto di Giulia. Le loro guance si sfiorarono.
“ Ha un buon profumo,” continuò lui a voce bassa.
Giulia si sentì immediatamente a disagio e si irrigidì.
“ Mi scusi, non volevo metterla in imbarazzo.”
“ Beh … mi ha presa un po’ alla sprovvista.”
“ Le chiedo scusa. Era solo un complimento. Potrebbe accettarlo senza sentirsi a disagio ?”
“ Penso di sì. La ringrazio.”
“ Di niente.”
Continuarono a ballare in silenzio. Lei sentiva il suo respiro sul collo.
“ E’ molto tardi. Devo proprio andarmene …”
Non aveva ancora finito la frase. “ Giulia !” La voce di Cesare era furiosa. Tutti gli ospiti smisero di ballare e si fermarono a guardare l’uomo che avanzava a grandi passi nel giardino illuminato dai lampioncini.
“ Finalmente ! Eccoti qui ! Al telefono e alla porta non risponde nessuno !” urlò lui.
Giulia avrebbe voluto scomparire, tanta era la vergogna che provava in quel momento.
“ Mio marito, Cesare Panti,” disse “ Cesare, ti presento Marco Costa … oh, che sciocchezza. Avevo dimenticato che sicuramente vi conoscete …”. Il cuore le batteva all’impazzata, in preda all’ansia e all’agitazione.
“ Sono spiacente che nessuno le abbia risposto,” disse Costa, “ eravamo qui e la musica era alta. Vuole unirsi a noi ?”
“ Non credo proprio. E’ l’una del mattino e normalmente a quest’ora non ballo nei giardini altrui.” rispose Cesare in tono maleducato.            “ Allora,” si girò a guardarla con occhi feroci       “ prendi le tue cose in fretta e andiamo a casa.”
Giulia si sentì morire di vergogna.
Senza salutare nessuno, corse in cucina e prese la borsa. Cristina e Paolo erano già andati via.
Poi si diresse verso la sua macchina, osservando la rigida sagoma del marito all’interno della sua. L’umiliazione subita le fece venire una gran voglia di piangere.
Mise in moto e seguì Cesare che guidava a forte velocità verso la loro casa.
Perché ? si chiese, perché si comporta così ? Dannazione, mi ha fatto fare una figura da idiota. Era stata una bellissima serata, e la cattiveria di Cesare l’aveva rovinata.  Ma chi credeva di   essere ? Con quale diritto le mancava di rispetto in quel modo ?
Quando Giulia arrivò a casa, Cesare aveva già parcheggiato e la stava aspettando davanti alla porta d’ingresso. Questa storia deve finire, pensò lei, sarò calma e ragionevole, ma non possiamo andare avanti così.
“ Cesare, sono sbalordita. Sei stato veramente maleducato.”
“ Maleducato ? Cosa stai dicendo ? Sono venuto a riprendere mia moglie, che doveva essere a casa ore fa.”
“ Mi hai umiliata davanti agli invitati e lo sai. Come hai potuto farmi vergognare così ?”
“ Forse ero preoccupato, non credi ? Era l’una del mattino, e non ti sei neanche degnata di farmi una telefonata ! Cosa dovevo pensare ?”
“ Potevi chiamarmi sul cellulare, per esempio.”
“ L’ho fatto, mia cara, ma evidentemente eri troppo occupata a divertirti per sentire il telefono. Ma ti rendi conto ? Esco di notte per cercarti e dove ti trovo ? A lavorare ? A fare quello che avresti dovuto ? No ! Oh, no ! Lei ballava ! Ballava con quel figlio di puttana di Costa ! Ma lo fai apposta ? Sei completamente stupida o pensi di farmi fare la figura dell’imbecille ?”
“ Ho ballato cinque minuti e non potevo rifiutare senza essere scortese. E comunque, stavo per venire via.”
“ Cinque minuti ? Sei sicura ? Pensaci bene, perché c’ero anch’io !”
A Giulia saltarono i nervi per la tensione e la paura.
“ Mi stavi spiando ? Dovresti vergognarti. Ti sei comportato come un pazzo. Sei saltato fuori all’improvviso urlando e hai messo tutti in imbarazzo.”
“ Non me ne frega niente. E soprattutto, non mi interessa quello che pensano Costa e i suoi amici, chiaro ?”
“ Ti sei spiegato molto bene.”
Cesare le voltò le spalle e si diresse verso l’ingresso.
“ Muoviti. Vieni in casa e vai a letto. Sono stanco di parlare con te.”
“ Perché fai così ?” chiese ancora lei “ perché sei sempre arrabbiato con tutti ?”
“ Ma fammi il piacere. Adesso cosa farai, scriverai un manuale di psicologia da quattro soldi ? Pretendo le tue scuse ed è chiaro che una situazione del genere non si ripeterà mai più.”
Lei lo fissò sbigottita.
“ Le mie scuse ? Tu pretendi le mie scuse ?”
“ Non mi piace il tuo tono di voce, Giulia. Stai attenta, ti sto avvisando.”
“ Ah, e se non mi scuso cosa farai ? Mi chiuderai in casa per tutta la vita ?” urlò lei.
“ Giulia, falla finita. Stai passando il limite. Sto perdendo la pazienza.”
“ No, non la faccio finita …”
Cesare l’afferrò per un braccio.“ Mi stai stancando.”
Giulia cercò di divincolarsi e sentì la seta della camicetta lacerarsi.  Diventò furiosa.
“ Lasciami subito !” urlò.
“ Vieni dentro immediatamente.”
“ No ! Lasciami andare !”
Fuori di sé per la rabbia, Cesare alzò la mano per colpirla. Lei si ritrovò rovesciata sui gradini di pietra. Le ginocchia le facevano un male infernale e la faccia le bruciava.
“ Oh Dio, Giulia !” mormorò Cesare.
La sollevò da terra. Giulia aveva le calze strappate, le gambe sanguinanti e il viso bagnato di lacrime. Appena si fu rimessa in piedi, lei barcollò un po’, poi, senza dire una parola, comincio a salire i gradini.
“ Ti aiuto..” disse lui.
“ No. Non mi toccare.”
Entrò lentamente in casa e gemendo salì la scala per andare in bagno.
“ Bene, fai come vuoi,” continuò Cesare, “ ma non è certo colpa mia se sei caduta”.
Giulia non si prese neanche il disturbo di rispondere.
In bagno, si lavò le mani, buttò via le calze strappate e si disinfettò le ginocchia. Alla faccia avrebbe pensato più tardi. Per quel tipo di ferita ormai era pratica.
Lo sentì dietro di lei.
“ Cosa vuoi ?” chiese, “ hai dimenticato di rinfacciarmi qualcosa ?”
Lui sospirò profondamente: “ Non è stata colpa mia se ti sei fatta male.”
“ Mi hai spinta sui gradini.”
“ No. Ho cercato di farti entrare in casa. Tu mi hai respinto e sei caduta.”
“ Non è andata così.”
“ A me sembra proprio di sì. Non inventarti stronzate per farmi sentire in colpa.”
“ Vuoi lasciarmi in pace ? Almeno questo ? Vorrei finire di disinfettarmi e andare a dormire.”
“ Bene, spero che tu ci riesca. Per quanto riguarda me, non ne sono sicuro. E’ stata una notte orribile. E mia moglie mi accusa di responsabilità non mie.” Si voltò e andò in camera da letto.
Giulia si tamponò delicatamente il viso. Una settimana in casa, pensò, non posso certo uscire conciata così. Pianse piano, seduta sul bordo della vasca, ripensando alla catena di eventi che avevano fatto precipitare una serata iniziata tanto serenamente.
Sono stanca, pensò, stanca di avere paura dell’uomo che amo.

Quando si infilò a letto la camera era buia. Cesare non disse una parola. Lei si voltò dalla sua parte del letto, il più lontana possibile dal corpo di lui, e cercò disperatamente di addormentarsi.

Non dormì quasi per niente, ma quando lo sentì alzarsi alle sette del mattino finse di farlo. Aspettò che lui si preparasse e scendesse in cucina per la colazione. Allora si alzò, e zoppicando per il dolore alle ginocchia andò in bagno. La faccia era gonfia e tumefatta, aveva gli occhi rossi per il pianto e profonde occhiaie scure.
L’unica consolazione era che quella mattina Rosa non sarebbe venuta, non era il suo giorno.  Almeno, non l’avrebbe vista in quelle condizioni un’altra volta.
Decise di non provare neanche a nascondere il livido e il gonfiore. Tanto, nessun cosmetico avrebbe migliorato la situazione.

Scese in cucina per bere un caffè. Cesare leggeva il giornale seduto al tavolo, pronto per andare in studio. La guardò ansiosamente.“ Ti senti       meglio ?” le chiese.
“ Mi sento benissimo. Non si vede ?”
“ Vedo che hai l’aria molto stanca e il viso un po’ gonfio, e mi dispiace molto, che tu ci creda o meno. Davvero. Non puoi immaginare quanto.”
“ Oh, sì, immagino. Ma sono stufa di questa commedia del dispiacere. Sei stato tu a farmi male, anche se stai cercando di tirartene fuori.”
“ Capisco. Forse sarà meglio parlarne un’altra volta. Quando avrai le idee più chiare e ricordi più precisi. Sei caduta da sola, Giulia, cerca di non dimenticarlo.”
Quando la macchina di Cesare lasciò il vialetto, lei si sedette sul dondolo del piccolo porticato e pianse fino allo sfinimento.

Si svegliò di soprassalto, fradicia di sudore. Un martello batteva ritmicamente dentro la sua testa.
Insieme al dolore, altri bisbigli lontani.
Il bambino. Quale bambino ?
Interdetta. Non so più dove sbattere la testa. Interdetta.
Scappare. Devo scappare.
Richiuse gli occhi e precipitò ancora in un incubo di ricordi.

Giulia allungò la mano per aprire la porta della camera da letto e si sentì afferrare brutalmente un polso. Ruotò su se stessa e accanto a lei, nell’oscurità, vide stagliarsi il profilo minaccioso di Cesare. Anche la luce fioca non poteva nascondere la furia nella sua espressione. Indossava solo un accappatoio e il suo alito puzzava di alcol. In piedi accanto a lui, Giulia si rese conto del vantaggio fisico che aveva su di lei. Con le mani le avrebbe potuto circondare facilmente la vita e, per quanto ne sapeva, volendo avrebbe anche potuto spezzarle il collo.
“ Giulia, amore mio …” sussurrò, attirandola verso di lui. La pressione sul polso aumentò, ma Giulia si fece violenza per non urlare. Il dolore era lancinante.       
Cesare parlava biascicando. “ Ti ho chiesto di rimanere a casa con tuo marito, ma tu non ascolti mai … perché fai così… perché mi obblighi a punirti ….” Prima che Giulia potesse pronunciare una sola parola, Cesare la cinse con un braccio appoggiando il palmo della mano contro la sua nuca, e attirando il viso di lei contro il suo.
Giulia cercò di divincolarsi, ma invano. Lui la baciò con violenza, le labbra schiacciate contro i suoi denti. La puzza di alcol nel fiato di lui le diede la nausea. Poi Cesare le lasciò il polso e si tirò indietro. Con tutta la forza che aveva, Giulia lo schiaffeggiò. Lui arretrò di un passo, barcollando, poi ritrovò un incerto equilibrio. La guardò con odio, stringendo gli occhi, furioso e stupefatto. Prima si toccò la guancia colpita, poi lasciò cadere la mano e scoppiò a ridere. “ Sei molto combattiva stasera … non posso dire che non mi diverta …” le disse in tono sarcastico.
“ Dovresti vergognarti. Hai bevuto.”
“ Sei mia moglie.” Ora sul volto e nella voce di Cesare apparvero un’improvvisa durezza e una cattiveria che la spaventarono. “ In questa casa comando io. E tu mi appartieni. Sei una mia proprietà.” Con una rapidità sorprendente per un ubriaco si mosse all’improvviso e le strappò la camicia, infilandole una mano nel reggiseno. Giulia cercò di liberarsi, ma Cesare le afferrò entrambe le braccia, e con una violenza tale da toglierle il fiato la spinse contro la parete, bloccandola con il corpo. Lei si agitò e scalciò, ma Cesare era troppo forte e la teneva immobilizzata. Tenendola stretta per i polsi, le spinse le braccia indietro, costringendola ad alzare le mani all’altezza delle spalle. Poi premette il suo volto contro quello di Giulia, quasi soffocandola.
Lei cominciò a tossire, sputandogli addosso la saliva, e le mancò il fiato quando la penetrò a forza con la lingua. Poi Cesare le sollevò i polsi sopra la testa usando una sola mano per bloccarli entrambi contro il muro, mentre con l’altra le rialzò la gonna, chinandosi in avanti. Il movimento però gli fece perdere l’equilibrio e Giulia riuscì a liberarsi una mano.
Terrorizzata, afferrò una piccola scultura in ferro dal ripiano del mobile, pensando solo di difendersi e non di colpirlo, ma quando Cesare si rese conto che lei gli stava sfuggendo e cercò di afferrarla nuovamente, la sua mano colpì la statuina proprio nel punto più affilato. Urlò e fece un salto all’indietro.  Gli occhi di Giulia ormai si erano abituati al buio del corridoio, e guardò la mano che ora Cesare teneva sollevata davanti a sé. Entrambi la fissarono stupefatti. La statuina aveva lacerato il palmo e il sangue stava colando verso il polso. Non era una ferita grave, ma per Giulia le conseguenze potevano essere pericolose. Lui la guardò. I suoi occhi erano cattivi. Poi, oltre alla collera, lei vide sul suo volto la paura. E’ un violento e un prepotente, pensò Giulia, ma è anche un vigliacco. Tenne la statuina in mano con aria minacciosa. All’improvviso lui le sorrise.  Si strinse la mano ferita e in tono carezzevole le disse: “ Hai coraggio. Un’altra delle ragioni per cui ti amo così tanto.”
Poi chinò la testa e rimase in silenzio qualche istante. Con grande sorpresa di Giulia, si inginocchiò e cominciò a piangere. “ Perdonami, Giulia. Non so cosa mi abbia preso. E’ la gelosia per te che mi fa perdere la testa. Perdonami, ti prego …” Il pentimento di Cesare sembrava sincero. Giulia abbassò la statuina e fece un passo verso di lui. “ Ti scongiuro, non bere più… dimentichiamo questo incidente. Promettimi che non succederà più.” Lui scosse la testa. “ Te lo prometto, amore mio…”  Giulia si avvicinò ancora, pensando di tendergli una mano per aiutarlo a rialzarsi. Ma Cesare si sollevò di colpo, e con la testa e la spalla le assestò un colpo talmente violento da scaraventarla sul pavimento, facendo volare via la statuina. Giulia non vedeva dov’era caduta, ma nonostante l’impaccio della gonna lottò per rialzarsi, anche troppo consapevole della sua vulnerabilità. Ma i tacchi alti la tradirono, e l’ultima immagine che vide fu la figura di Cesare che incombeva su di lei.

Si svegliò piangendo. Rivolse lo sguardo al comodino, dove una volta c’era il telefono che Cesare aveva spostato. Non poteva chiamare nessuno. Nessuno poteva aiutarla.
Cesare l’avrebbe fatta interdire. Lei sarebbe scomparsa nel nulla. Tutti avrebbero creduto alla disperazione del marito perfetto.
Quale bambino ?
Doveva andarsene.
Scostò le lenzuola e si rese conto che indossava ancora l’assurdo vestito che portava alla cena  … di quando ? Della sera prima ? Aveva perso la cognizione del tempo. Con un senso di malessere, si accorse che il suo corpo emanava un acre odore di sporco, di sudore. In ogni caso, forse sarebbe riuscita a cambiarsi, ma di certo non aveva la forza di arrivare al bagno per lavarsi.
Appoggiò i piedi al pavimento e avvertì subito un senso di vertigine. Puoi farcela, si disse, concentrati sui movimenti. Pensa solo che devi assolutamente andartene da qui.
E quando sarai riuscita a scappare dove andrai ? Guardò l’immagine della donna dai lineamenti stravolti che la fissava dallo specchio. Ci penserò dopo. Sì, ma che cosa racconterai ? A chi ?  E come dimostrerai che non sei completamente in preda al delirio ? Andrò dagli amici. Non sono tuoi amici, sono amici di Cesare. Ho anche degli amici miei. Loro mi crederanno. Sì ? Come Fabrizia, Carlo, Tiziana e tutti gli altri ? Si immobilizzò, tesa nello sforzo di ricordare qualcosa che era lì, che combatteva per emergere …le pastiglie ! Le pastiglie che aveva nascosto nel collant !  E dove le porterai ?  Le porterò a Emanuela. Lei è un medico, mi ha soccorsa quando mi hanno aggredita in quel parcheggio e forse è l’unica amica che mi rimane. E se anche lei non dovesse credermi, allora niente può essere peggio. Ci penserò dopo. Ora devo arrivare da lei.
Aprì l’armadio e frugò nel cassetto delle calze. Le pastiglie erano lì, nel collant arrotolato. Era sicura che non sarebbe riuscita a togliersi quel vestito attillato, così si limitò a coprirlo con uno spolverino lungo. Infilò  le scarpe più basse che riuscì a trovare e mise il collant nella tasca. Aveva paura di svenire per la tensione. Il cuore le batteva furiosamente e aveva la nausea.
Andò alla porta e l’aprì con cautela. Dalla cucina provenivano i soliti suoni che segnalavano la presenza di Rosa. Entrò nella camera degli ospiti, che da quando Cesare era tornato a dormire con lei era diventata la stanza della domestica. Controllò dalla finestra il posto macchina di Cesare. Vuoto. Per adesso, la fortuna era dalla sua parte. Aprì piano il cassetto del comodino e le vide subito. Le chiavi della macchina di Rosa. Non avrebbe saputo descrivere la sensazione di sollievo e di eccitazione che provò in quel momento. Stai calma, sei solo all’inizio dell’opera, si disse, devi ancora uscire da questa casa. Tenendo le chiavi ben strette nella mano destra, scese lentamente le scale, quasi schiacciandosi contro il muro. Sentì l’acqua scorrere nel lavello della cucina e la musica provenire dalla radio accesa. Raggiunse la porta d’ingresso, uscì e dopo averla richiusa senza rumore si tuffò praticamente giù per la scalinata. Raggiunse la vecchia Panda di Rosa e provò la maniglia dello sportello dalla parte del guidatore. Era aperta, e Giulia quasi scoppiò a piangere per la gioia. Entrò in macchina richiudendo lo sportello senza fare rumore. Il cuore le batteva fortissimo quando infilò la chiave nell’accensione e mise in moto. Sentì Rosa urlare qualcosa dalla porta d’ingresso e dallo specchietto vide la donna alzare le braccia frustrata. Adesso si sarebbe sicuramente precipitata a telefonare a Cesare. Non aveva molto tempo. Doveva scappare il più in fretta possibile. Partì facendo schizzare i sassolini del vialetto, pensando freneticamente a cosa avrebbe fatto quando fosse arrivata al cancello della villa. Sicuramente Rosa doveva avere in macchina un telecomando per l’apertura. Tenendo il volante con una mano aprì il cruscotto e fece cadere il contenuto a terra. Eccolo, il benedetto rettangolo di plastica grigia che le avrebbe aperto la porta della prigione. Lo azionò e uscì sulla strada, sentendosi come Steve McQueen in Papillon al secondo tentativo di fuga. E adesso ? Dove sarebbe andata ? Non aveva neanche un euro ed era senza documenti. E non è la prima volta, riflettè. La differenza è che adesso so chi sono. Sono Giulia Marini, e sto cercando di scappare da un incubo. Aveva paura di perdere il controllo della macchina ma soprattutto di essere fermata dai vigili o dalla polizia. Che cosa avrebbe raccontato ? Che stava fuggendo da un marito violento che voleva farla rinchiudere ? E che sì, certo che aveva la patente, ma si trovava in uno zainetto scomparso, e comunque la macchina l’aveva rubata a una domestica che in realtà era una carceriera stipendiata ? Ah ! dimenticavo…il marito in questione è l’avvocato Panti, quello famoso. No, nessuno le avrebbe creduto, si sarebbe messa nei guai e avrebbero immediatamente contattato Cesare. Fermò la macchina prima di arrivare in centro, all’altezza del parco giochi. Decine di bambini giocavano nel recinto di sabbia sotto l’occhio attento di mamme e baby-sitter. Di quale bambino aveva parlato Cesare ? Cominciò a camminare verso la piazzetta del Comune. Si sentiva molto vicina a stramazzare al suolo, ma istintivamente sapeva che se si fosse fermata anche solo per un istante rischiava di addormentarsi sul marciapiede. Certo che devo essere proprio un bello spettacolo, pensò cogliendo le occhiate dei passanti. Sudata e puzzolente e avvolta in uno spolverino adatto ad una temperatura inferiore di almeno venti gradi. Però, sapeva esattamente dove stava andando. Senza esitazioni, arrivò davanti alle vetrine della Farmacia Polirama. Le gambe la spinsero fino alla porta. Si spostò di lato per lasciare uscire una cliente e appena oltrepassata la soglia l’aria condizionata la investì come una slavina di neve, congelandole addosso il sudore. Si sentì la testa leggera e prima che potesse concentrarsi sul viso dell’uomo dietro il banco si trovò per terra. Il farmacista corse accanto a lei e le mise una mano sulla fronte. “ Signora ? Mi sente ? E’ cosciente ?” le chiese aprendole un occhio per osservarlo. Intanto una giovane donna, anche lei in camice bianco, si avvicinò con un bicchiere d’acqua in mano.
“ Forza, beva piano,” le disse appoggiandole il bicchiere alle labbra.
L’uomo le tamponò la fronte con un fazzoletto.      “ Credo che sia stato il caldo..” mormorò Giulia.
“ In effetti, non è un po’ troppo vestita ? Ci saranno almeno trenta gradi. Pensa di farcela ad alzarsi ?”
Giulia scosse la testa. “ Non credo di riuscire a reggermi in piedi.”
“ L’aiuto io. Rimarrà seduta fino a quando non si sentirà meglio.”
Il farmacista l’accompagnò nel retro del negozio tenendola per la vita e la fece accomodare su una sedia di plastica.
“ Come si sente ? Va un po’ meglio ?” chiese sedendosi davanti a lei.
“ Sì, grazie. E grazie per avermi soccorsa.”
“ Se non sono troppo indiscreto… è un po’ di tempo che non la vedo e non mi sembra in gran forma … è stata ammalata ? ”
Giulia capì che il farmacista la conosceva. Oh Dio ! Grazie ! Forse allora l’avrebbe aiutata ! L’emozione e il sollievo presero il sopravvento e Giulia cominciò a piangere.
“ Dottore … potrebbe dirmi cosa sono queste ? ” chiese estraendo dalla tasca il collant arrotolato davanti all’espressione incuriosita dell’uomo. Dalla calza uscirono le pastiglie e rotolarono per terra. Il farmacista si chinò per raccoglierle, le appoggiò sulla scrivania e le osservò con attenzione, rigirandole un paio di volte.
“ Dove le ha prese ? ”
“ Sa cosa sono ? ”
“ Penso di sì.”
“ E’ Xanax ? ”
“ Xanax ? No, assolutamente no. Chi le ha detto che è Xanax ? ”
Giulia si sentì impallidire. “ Non è Xanax ? ”
“ No, a prima vista sembrerebbe Paxil.”
“ Cos’è ? ”
“ Qualcosa di molto pericoloso.” La guardò con espressione grave. “ Chi ha fatto la prescizione ? Posso vedere la ricetta ?
“ Non ce l’ho. Non .. non lo sapevo, un’amica mi ha detto che potevano essere utili contro l’insonnia. E’ un po’ di tempo che faccio fatica a dormire.”
“ Guardi, sarò molto diretto. Chi le ha detto una cosa simile e le ha fornito questo farmaco con leggerezza è un criminale. Questa roba è molto, molto pericolosa. Adesso capisco perché si è sentita male. Quante pastiglie ha preso ? ”
“ Quattro o cinque.”
“ Madonna Santissima.”
“ Ma è sicuro che sia ….Paxil ? ”
“ Al novanta per cento. Se è così, sarà il caso di consultare un medico il prima possibile. Mi faccia controllare su Internet,” disse afferrando il mouse del computer.
“ In rete si trova tutto, anche le immagini. Ecco, guardi, sono identiche alle pastiglie di questa foto. Si tratta di Paxil, non c’è dubbio.”
“ Che non è indicato contro l’insonnia.”
“ Sta scherzando ? Questo farmaco si prescrive solo in caso di gravissime forme di psicosi.”
“ Forme di psicosi ? ”
“ Sì, ed è comunque prescritto quasi come un’ultima spiaggia, come tutti gli psicofarmaci per la cura delle depressioni maggiori. Se viene assunto da una persona che non soffre di questi disturbi, le conseguenze possono essere gravissime. E’ possibile che favorisca l’insorgere di una psicosi.”
“ Significa che se una persona non era depressa lo diventerà ?”
“ E non è tutto. L’assunzione regolare di questi farmaci senza una ragione valida trasforma una persona in una specie di zombie. Inoltre, spesso origina sintomi molto simili a quelli del morbo di Parkinson.”
“ Per esempio ? ”
“ Spasmi, difficoltà di deambulazione…”
“ Anche problemi a deglutire ? Salivazione incontrollata ? ”
“ Certo. Tutto i sintomi che rientrano nel quadro clinico della psicosi. Lo dica alla persona che le ha dato questo bel consiglio. Con questi farmaci si scherza con il fuoco. Per fortuna ne ha prese solo quattro o cinque, se fossero state di più rischiava di ammalarsi in modo grave.” La osservò per un istante.   “ E’ sicura di non averne prese di più ? ”
Giulia sorrise, provando una sensazione molto simile alla felicità. Non era pazza. I suoi sogni erano ricordi reali. Le pastiglie che il dottor Zannini le aveva prescritto non erano quelle che Cesare le aveva somministrato. Non era un blando ansiolitico, ma uno psicofarmaco da “ ultima spiaggia ” in grado di trasformarla in una “zombie ”. Ecco perché stava sempre male. Per forza non faceva altro che dormire e deprimersi. Ecco perché non riusciva neanche ad alzarsi dal letto.
“ Ho bisogno di riavere le pastiglie,” disse al farmacista, “ devo mostrarle a qualcuno.”
“ Forse sarebbe meglio se andasse da un medico.”
“ E’ quello che ho intenzione di fare. Devo arrivare all’ospedale di Verbania. Sono uscita senza borsa. Sarebbe così gentile da prestarmi i soldi per il taxi ?”