giovedì 21 febbraio 2013

Capitolo 27


Marco Costa entrò nella sala riunioni del suo studio e si guardò intorno. Era arredata con splendidi mobili d’antiquariato, esattamente il contrario del minimalismo in pelle e cristallo dello studio Panti & Osella. Alberto Osella si sarebbe probabilmente sentito a disagio in un ambiente che trasudava ricchezza, anche se non era uno stupido e sicuramente si era ripreso dalla telefonata a sorpresa del giorno prima. Non ha importanza, riflettè, lo inchioderò al muro in pochi minuti.
Spostò tutte le sedie, lasciandone solo tre intorno al grande tavolo di legno pregiato, una su un lato e le altre due di fronte. Davanti alla sua sedia sistemò una grande busta bianca e una cartellina di documenti. Si sbottonò la giacca del completo di Ferragamo, prese la rivoltella dalla cassaforte e la caricò. La chiuse in un cassetto e osservò la sala. La scena era perfetta.
Guardò il Rolex che portava al polso: erano le nove e un minuto. Il telefono squillò.
“ Avvocato, sono arrivati gli avvocati Panti e Osella,” annunciò la segretaria.
“ Mazzacani e Barbieri sono pronti ?”
“ Sì, avvocato.”
“ Dica all’avvocato Osella che tra un attimo sarò da loro.” Appoggiò il ricevitore, staccò il doppino e chiuse tutto in un cassetto. Uscì dalla sala e attraversò il corridoio fino all’atrio dello studio, concentrandosi sulla respirazione. Il suo studio si trovava nell’attico di un palazzo recentemente ristrutturato, nella piazza vecchia di Verbania, in una posizione magnifica. Quando si era trasferito lì, i suoi avversari avevano malignato che con gli alimenti da versare all’ex moglie non sarebbe riuscito a pagarsi l’affitto. Appoggiati alla parete c’erano due uomini. “ Siete pronti ?” chiese Costa. Entrambi annuirono. “ Bene,” disse ancora lui,       “ sapete cosa fare.”
I tre uomini si diressero insieme verso l’atrio. Alberto Osella e Cesare Panti si alzarono dal divano, e Costa guardò Panti con disgusto malcelato. Il colorito grigiastro, gli occhi infossati e la barba lunga, Cesare non accennò neanche un saluto. Costa e Osella si strinsero la mano, poi Costa si rivolse ai due uomini che l’accompagnavano: “ Accomodatevi qui. Tornerò da voi fra pochi minuti.”
Cesare osservò i due uomini con una sensazione di disagio, che diventò più intensa quando uno di loro, sistemandosi la giacca, lasciò intravedere un distintivo infilato nella cintura.
“ Prego, andiamo in sala riunioni,” invitò Costa.
Li fece accomodare e si sedette di fronte a loro.
Osella si schiarì la voce: “ Per cominciare, Marco, voglio precisare che l’avvocato Panti e io siamo qui per una questione di cortesia professionale, con l’intenzione di raggiungere un accordo, e non per le minacce sottintese nella telefonata di ieri mattina. L’avvocato Panti mi ha parlato dei fatti avvenuti,  ammette di essere stato un po’ brusco ed è disposto a indennizzare la signora Marini per le eventuali spese mediche possa avere sostenuto. Nonostante questo, non riteniamo sia necessario arrivare a soluzioni drastiche. Desidero che la nostra posizione sia molto chiara prima di proseguire.”
Costa accennò un sorriso, poi, come se Osella non avesse detto neanche una parola, aprì la cartellina appoggiata davanti a lui e ne estrasse due documenti. Passò copia di entrambi a Osella e un solo documento a Panti.
“ Alberto, ” esordì, “ davanti a te ci sono due documenti. Uno dovrà essere firmato da te in qualità di legale rappresentante del vostro studio e uno dal tuo assistito. Riassumendo, nel suo documento Cesare Panti accetta l’immediata separazione consensuale dalla moglie Giulia Marini. Non potrà mai più vederla né avere alcun tipo di contatto con lei, telefonico o epistolare, per nessun motivo. Quando sarà il momento del divorzio, me ne occuperò io per la mia assistita. Acconsente che la signora prelevi tutti i suoi effetti personali a Villa delle Magnolie, e non sarà presente nel momento in cui avverrà. Inoltre, si impegna a versare immediatamente alla signora Marini la somma di due milioni di euro, su un conto corrente indicato in calce al documento. Da parte sua, la signora Marini rinuncia a sporgere denuncia contro Cesare Panti per i fatti di tre sere fa e non avanzerà nessun’altra richiesta finanziaria.”
Poi guardò Osella direttamente negli occhi: “ Nel tuo documento, Alberto, lo studio Panti & Osella si impegna a versare alla signora Marini la somma di un milione di euro, a mantenere in essere la polizza assicurativa di cui gode e a pagare qualsiasi altra spesa medica e psichiatrica che non sia coperta dall’assicurazione. Da parte sua, la signora Marini libera lo studio legale da ogni responsabilità e si impegna a non rilasciare interviste e a non fornire informazioni sull’accaduto agli organi di stampa.”
Alberto Osella alzò la testa dal documento che aveva in mano.
“ Marco, ti dico subito che né l’avvocato Panti né il mio studio hanno intenzione di sottoscrivere questo accordo assurdo. La signora Marini dovrebbe accettare l’offerta del mio assistito di pagare le spese mediche, oppure può intentarci causa, o può sporgere denuncia. E’ la sua parola contro quella del marito. Questa è la nostra posizione.”
Costa schiacciò un pulsante sotto la scrivania e con l’altra mano aprì la busta bianca, ne estrasse una fotografia e la spinse verso Alberto Osella. “ Alberto, tu conosci la signora Marini, vero ?”
“ Certamente. Da molti anni.”  Prese la foto. “ Sì, è lei.”
“ Diciamo che è la donna che hai conosciuto. Era così fino a circa tre giorni fa.” Poi fece scivolare verso Osella un’altra decina di fotografie. “ Oggi invece è così, anche se devo riconoscere che le prime cure mediche hanno molto migliorato il suo aspetto.”
Alberto Osella prese una delle foto e impallidì come un cadavere. Sembrava che dovesse vomitare in quel momento. Non riuscì a dire una parola, mentre la mano che teneva la foto cominciò a tremare in modo incontrollato. In quel momento, la porta della sala si aprì e la segretaria di Costa entrò. “ Mi scusi, avvocato, ma c’è una telefonata urgente per l’avvocato Osella.”
Osella lasciò cadere la foto sul tavolo come se il contatto con quell’immagine gli stesse ustionando la pelle, e visibilmente scosso si alzò. Guardò la segretaria come se volesse ringraziarla per l’interruzione. “ Vengo subito,” le disse, “ grazie.” Poi si rivolse a  Cesare come se non l’avesse mai visto prima. Con voce incolore, gli disse: “ Devo consigliarti di non dire una parola fino a quando non sarò tornato.” Uscì dalla sala ancora pallido come un cencio.
Marco Costa si rivolse a Cesare, che non aveva ancora aperto bocca. Gli occhi di Cesare fissavano l’avversario carichi di odio e, pensò Costa, anche di follia.
“ Brutto bastardo,” sibilò, “ non penserai davvero che io firmi quell’accordo ?” Si alzò in piedi.         
“ Piuttosto ti ammazzo e poi vado a finire il lavoro con quella puttana ingrata.”
Costa estrasse la pistola dal cassetto e la puntò verso Cesare. “ Rimani seduto, brutto figlio di una cagna, o ti sparo in faccia per legittima difesa.”
Cesare si immobilizzò, poi tornò a sedersi senza dire altro.
“ Tu, schifoso topo di fogna, “ proseguì Costa,        “ firmerai quel pezzo di carta prima di uscire da qui. Sai chi sono gli uomini seduti qui fuori ? Sono poliziotti, e stanno aspettando che io li chiami. Sarai arrestato con l’accusa di tentato omicidio e stupro aggravato. Ti metteranno le manette e ti faranno sfilare in piazza, dove ti aspettano un bel po’ di fotografi e giornalisti. Ti porteranno in carcere, e tu sai cosa pensano i detenuti degli stupratori. Ti faranno un gran bel culo, in ogni senso. Non vedo l’ora. Tu firmerai, razza di bastardo, o io ti rovino, hai capito bene ?”
Cesare rimase in silenzio. Costa abbassò la pistola sotto il tavolo, e la puntò verso le gambe dell’uomo.
Rimasero così fino a quando Alberto Osella rientrò. Solo allora Costa rimise l’arma nel cassetto.
Osella si sedette evitando di guardare le foto ancora appoggiate davanti a lui. “ Marco, ” disse, “ anch’io credo che sia necessario raggiungere un accordo soddisfacente per entrambe le parti, ma le richieste della … ” La segretaria di Costa entrò nuovamente:   “ Mi scusi, avvocato, ma il telefono sembra impazzito. Stanno chiamando i giornalisti di cronaca nera di tutte le testate locali, e sulla sua linea privata c’è il capo redattore di Repubblica. Dice che è molto urgente.”
“ Grazie, Barbara, ” rispose Costa, “ tienilo qualche minuto in attesa. E, per favore, vuoi chiedere a Sandra di venire qui con il timbro dello studio e altri due testimoni ?”
La ragazza uscì, e Costa si rivolse a Osella. “ Vedi, Alberto, credo che ora la vostra posizione sia più  definita rispetto a quando siete arrivati. Io credo che tu sia un buon avvocato e un uomo intelligente, e sono certo che prenderai la decisione migliore.” Appoggiò due penne sopra i documenti. L’assistente di Costa entrò in quel momento con il timbro e con altri due avvocati dello studio.
“ Questo non è ammissibile,” protestò Osella, “ mi stai minacciando …” Si interruppe quando vide Cesare prendere la penna e firmare. Anche i testimoni firmarono e il documento fu immediatamente timbrato. “ Ma cosa sta succedendo ?” urlò, “ Cesare, cosa cazzo stai combinando ?”
“ Alberto,” lo interruppe Costa, “ io e il signor Panti abbiamo raggiunto un accordo. Manca solo la tua firma.” Alberto Osella sembrava invecchiato di dieci anni in pochi minuti. Si piegò su se stesso, prese la penna e firmò.
Marco Costa si alzò e raccolse i documenti. “ Grazie, Alberto. Il denaro dovrà essere versato entro quarantotto ore, come previsto nell’accordo. Appena la ricevuta del bonifico sarà sulla mia scrivania, farò firmare le vostre copie alla signora Marini. Probabilmente dovremo aspettare che sia operata, ma non credo che per te sia un problema,   vero ?”
“ Va bene,” mormorò Osella.
“ Barbara, sia gentile,” chiese Costa alla segretaria,                      “ accompagni i signori all’uscita di servizio. Credo che preferiscano evitare di passare in piazza. E riferisca ai giornalisti che per un paio di giorni non sarò disponibile, grazie.”
Li seguì fino all’uscita e poi andò a cercare i due uomini. Estrasse alcune banconote da cinquecento euro da un fermasoldi: “ Grazie, ragazzi, alla prossima.”
Tornò in sala riunioni e si sedette, solo.
Pensò a tutti i soldi che avrebbe incassato e a tutti gli anni in cui avrebbe pagato l’affitto dell’attico.
Poi pensò alla sera in cui aveva ballato con Giulia e gli si strinse il cuore.

Marco Costa arrivò all’ospedale di Domodossola con una valigetta ventiquattrore, una piccola borsa termica e un mazzo di gigli. Giulia era seduta a letto, e beveva un succo di frutta con una cannuccia.
L’avvocato le prese il bicchiere e lo appoggiò sul comodino.
“ Il succo di frutta non ti fa bene,” le disse estraendo una bottiglia di Dom Perignon e due flûtes di cristallo dalla borsa termica. Versò lo champagne nei bicchieri e ne porse uno a Giulia.
Lei lo prese e disse: “ Marco, ho pensato a quello che ti ho detto, e credo che le mie richieste potrebbero essere ridimensionate. Naturalmente, sulla separazione e sul fatto che non voglio vedere Cesare mai più non si discute. Ma per quanto riguarda gli effetti personali e i soldi ne possiamo parlare. Non sono sicura di volere indietro i gioielli, sicuramente non sono oggetti che indosserò e non sono legati a ricordi piacevoli. Per quanto riguarda i soldi, considera che ho appena pubblicato un libro e ho già un altro lavoro, quindi avrò bisogno di una cifra che copra solo le necessità immediate.”
Lui le posò i fiori in grembo. “ Di affari parleremo dopo.”
“ Grazie, sono bellissimi.”
“ Volevo venire a trovarti prima, ma il dottor Marri mi ha chiesto di aspettare qualche giorno dopo l’operazione. Come stai ?” Le osservò il viso da vicino. Si vedevano solo gli occhi ed era ancora completamente avvolta dalle bende. Probabilmente avevano dovuto rasarle la testa.
“ Mi sento abbastanza bene. Carlo ha detto che l’operazione è andata benissimo, quindi pensa di dimettermi tra pochi giorni.”
“ A proposito di questo, ti ho portato qualcosa di utile.” Prese un mazzo di chiavi dalla valigetta.        “Queste aprono un piccolo appartamento completamente ammobiliato a Milano, in corso Magenta, proprio di fianco al Cenacolo. E’ di un amico che starà via qualche mese, quindi puoi rimanere lì senza problemi per tutto il tempo che ti servirà. La mia segretaria Barbara ti porterà oggi pomeriggio i vestiti che hai chiesto e qualche accessorio da donna, come mi ha specificato guardandomi con un’aria di sufficienza.”
“ E’ stata molto gentile.”
“ Per quanto riguarda la macchina, non l’ho ancora riconsegnata. Credo che ti servirà fino a quando non avrai deciso cosa fare. La restituiremo più avanti.”
“ Va bene, in effetti mi sarà utile.”
“ Ora, parliamo della separazione. La condizione per una consensuale immediata è che tu ti impegni a non rilasciare interviste o a parlare con gli organi di stampa della vicenda.”
“ Non ci penso neanche. Voglio solo lasciarmi tutto alle spalle.”
“ C’è un’altra cosa. Non potremo procedere con una denuncia nei confronti di tuo marito. In cambio, non lo vedrai né lo sentirai mai più.”
“ Mi sembra accettabile.”
“ Quanti soldi pensavi di chiedere ?”
“ Beh, come ti dicevo prima, avrei bisogno di qualcosa per l’immediato e per sistemarmi per qualche tempo ….  diciamo intorno ai ventimila euro ? O credi che sia troppo ?”
Lui estrasse alcuni documenti dalla ventiquattrore. “ Mi sono permesso di aprirti un conto corrente per gestire questa transazione. La cifra che ho chiesto è già stata versata. Quindi, togliendo la mia parcella che, per casi come questi, ammonta ad un terzo della somma concordata, tu in questo momento possiedi esattamente due milioni di euro.”
Giulia rimase allibita. “ Che … cosa ?!?”
“ Vedi, ero sicuro che molti dei guadagni di tuo marito non fossero esattamente leciti, sicuramente non dichiarati, e il fatto che questa somma ti è stata bonificata da una banca con sede in Svizzera me lo conferma. Inoltre ho ritenuto che lo studio fosse in qualche modo corresponsabile. Alberto Osella non poteva non sapere molte delle cose che sono successe negli ultimi sette anni. Avrebbe dovuto fare qualcosa per fermare quel pazzo.”
“ Credo di volere altro champagne … sono sotto shock. Due milioni di euro ….”
“ Non ti ridaranno gli ultimi anni, ma sicuramente renderanno i prossimi molto confortevoli.”
“ Non so da che parte iniziare a ringraziarti…”
“ Beh, hai fatto di me un avvocato molto ricco,” rise Costa, “ in ogni caso, ti suggerisco di contattare il mio studio per discutere di investimenti. Uno dei miei associati è un mago nel campo dei titoli. Affidati a lui senza timori, ti farà ottenere il massimo di interessi dal tuo capitale.”
Rimasero qualche minuto in silenzio bevendo lo champagne. Poi Costa raccolse il coraggio a due mani: “ Giulia, cosa farai ? Te ne andrai davvero ?”
“ Sì. Ho bisogno di guarire … in molti sensi.”
“ Ti rivedrò ?”
“ Penso proprio di sì. Se non ricordo male, abbiamo una cena in sospeso… ma non cucinata da me ! Solo, in questo momento non so quando sarà .. ”
“ Non importa. Aspetterò. ” Costa si alzò e le prese la mano. “ Arrivederci, Giulia. Abbi cura di te.”

La settimana dopo Giulia Marini uscì dall’ospedale e scomparve. Qualche settimana più tardi i suoi pochi amici, uno per uno, ricevettero da lei una telefonata. La conversazione fu più o meno la stessa con tutti.
“ Quando ci rivedremo ?”
“ Ancora non lo so, ma mi terrò in contatto.”
“ Starai via per molto ?”
“ Farò un lungo viaggio. Ho molte cose da fare.”
“ Mandaci una cartolina.”
“ Vi manderò una copia del prossimo libro.”
“ Non vedo l’ora di riceverlo. E di riabbracciarti.”
“ Succederà, prima o poi, vedrai.”
“ Abbi cura di te. Ti voglio bene.”
“ Arrivederci.”

Giulia guardò gli ultimi raggi di sole che tingevano di arancio le dune del Namib. Seduta sul fuoristrada, le mani sul volante, sentì tutta la magia dell’Africa sulla pelle. Una piccola zampa si appoggiò delicatamente sulla sua spalla. Era Elvis, il cucciolo di babbuino adottato dai bambini della scuola di Sossusvlei. Non gli piaceva il buio, e voleva tornare a casa a giocare. Giulia lo prese in braccio e lo coccolò per qualche minuto. Poi diede un ultimo sguardo al tramonto, accese il motore e si diresse verso il suo piccolo alloggio. Doveva ancora dare da mangiare a Elvis e preparare la lezione del giorno dopo. Avrebbe insegnato alle bambine a fare il pane. Prima di andare a dormire avrebbe lavorato un po’ sulle ultime foto scattate a Epupa Falls, si sarebbe preparata un vassoio con dello stufato e un bicchiere di vino rosso che avrebbe gustato davanti al fuoco, e infine avrebbe passato un po’ di tempo seduta al buio, ascoltando il silenzio sotto le stelle del cielo africano. Dormiva poche ore, e all’alba sarebbe già stata pronta a ricominciare un’altra giornata. Non voleva più perdere un minuto. La vita era meravigliosa. Lei lo sapeva bene, aveva rischiato di perderla. Ora, ogni secondo era prezioso, come il dono di una seconda possibilità. Si asciugò una lacrima di felicità e strinse forte il piccolo Elvis.

sabato 9 febbraio 2013

Capitolo 26


L’avvocato Marco Costa si presentò all’accettazione dell’ospedale e chiese del dottor Carlo Marri.  Gli diedero le indicazioni e lui salì al terzo piano con l’ascensore, diretto alla camera 12. Davanti alla porta c’erano due uomini, in jeans e maglietta, che avevano tutta l’aria di essere guardie del corpo.
“ Sono l’avvocato Costa,” si presentò, “ devo vedere il dottor Marri.”
“ Un attimo,” rispose uno dei due uomini. Bussò alla porta della stanza ed entrò.
L’avvocato cominciò a passeggiare avanti e indietro nel corridoio, chiedendosi cosa fosse successo perché il più famoso chirurgo plastico della zona gli telefonasse personalmente all’alba per chiedergli un incontro privato in ospedale. Finalmente, il medico uscì dalla stanza.
“ Buongiorno,” lo salutò con aria grave tendendogli la mano, “ grazie per essere venuto senza preavviso. Possiamo parlare qualche minuto qui fuori ?”  Lo guidò verso una fila di sedie di plastica.
“ Mi sono fatto sostituire in tribunale. La sua telefonata mi ha sinceramente incuriosito.”
“ Si tratta di una questione estremamente delicata. La paziente ha chiesto di lei.” spiegò Marri.
“ Chi è ?”
“ E’ Giulia Marini.”
“ Giulia .. Marini ? Stiamo parlando della moglie ….”
“ Sì. La moglie di Cesare Panti.”
“ L’ho conosciuta. Cos’è successo ?”
“ Si è presentata questa notte al pronto soccorso. Era stata picchiata a sangue e, sembra, violentata. Non ha voluto dire chi fosse l’aggressore, si è rifiutata di dire il suo nome e ha impedito ai medici di chiamare la polizia. Poi mi ha fatto chiamare.”
“ E’ una sua paziente ?”
“ No, è un’amica. Mia e di mia moglie. La conosciamo da quando ha sposato Cesare. L’abbiamo frequentata con una certa assiduità negli ultimi sette anni.”
“ Quindi lei frequenta con una certa assiduità anche il marito ?”
“ Sì, ma di questo parleremo dopo. Credo che mi abbia fatto chiamare perché si fida di me e sapeva di avere bisogno di cure specifiche. Io sono un chirurgo plastico.”
“ Le lesioni sono gravi ?”
“ Gravissime. E’ stata picchiata con una violenza spaventosa in testa e in faccia. Ha quattro coste rotte e molteplici tumefazioni e abrasioni al seno e all’addome. Inoltre, sono state riscontrate abrasioni anche nella zona vaginale. Il collega di traumatologia ha rinvenuto una sostanza che è senza dubbio sperma.”
“ Capisco. Che tipo di cure ha ricevuto ?”
“ Per adesso, non molte. Radiografie, applicazione di ghiaccio e fissatura delle coste. Quando sono arrivato le ho suturato alcune lacerazioni sulla fronte, sulle guance e sulle palpebre. E’ stata sedata e abbiamo proceduto con una TAC.”
“ Lesioni neurologiche ?”
“ Miracolosamente, nessuna.”
“ Cosa prevedete di fare ?”
“ Tra due o tre giorni, quando le tumefazioni si saranno ridotte, dovrò intervenire con un’operazione di chirurgia ricostruttiva.”
“ E lo stato d’animo ?”
“ E’ molto lucida. Fredda e calma.”
“ E ha chiesto di me ?”
“ Non vuole incontrare nessun’altro.”
“ L’avete già fotografata ?”
“ No.”
“ Fatelo immediatamente. Non sarà piacevole, ma dal punto di vista legale è una priorità assoluta. Avreste dovuto farlo prima di prestare cure mediche. La polizia è già stata avvisata ?”
“ Non ancora, sempre su sua richiesta. Ma ora non si può più rimandare.”
“ Me ne occuperò io. Lei pensi alle fotografie. Inoltre, mi faccia avere un rapporto scritto delle lesioni e del trattamento necessario, compreso un eventuale intervento psichiatrico.”
Carlo Marri si alzò. “ Lo farò subito.”
Anche l’avvocato si alzò. “ Oltre a noi due e al personale del pronto soccorso, chi è a conoscenza del ricovero ?”
“ L’editore di Giulia. Si chiama Luca Fossati. L’ho chiamato poco fa. Mi ha chiesto lei di avvisarlo, sta arrivando da Milano. Il personale del pronto soccorso però non conosce l’identità della signora.”
“ Parenti ?”
“ Non credo ne abbia, a parte il marito.”
“ Lo conosce bene ?”
“ Direi di sì.”
“ Cosa ne pensa ?”
“ Penso che sia un mostro.”

La stanza era in penombra. Dalle tapparelle abbassate filtravano pochi raggi di sole che si riflettevano sulle pareti. Arredata in modo semplice come tutte le camere d’ospedale, conteneva solo un letto singolo, un armadietto vuoto e un comodino. Sotto le lenzuola si intravedeva una forma. Il viso era quasi completamente avvolto dalle bende. Costa si sentì un po’ sollevato. Ricordava molto bene lo splendido sorriso e la bellezza di Giulia. Avvicinò una sedia al letto e  si accomodò. Lei era sveglia e lo stava guardando da una fessura tra le bende.
“ Giulia..” disse lui.
Lei parlò muovendo appena le labbra. “ Grazie per essere venuto, avvocato.”
“ Marco. Perché hai chiesto di me ?”
“ Perché voglio che la questione venga risolta subito. E so che tu lo puoi fare.”
“ Va bene. Cos’è successo ?”
“ Mio marito ha cercato di uccidermi a pugni. La scorsa notte.”
“ C’è un motivo preciso per quello che ha fatto ?”
“ Sì. Sono andata via di casa dopo anni di violenze. Mi trovavo in una casa protetta ad Arona. Stavo aspettando di lasciare l’Italia, dovevo partire tra pochi giorni. Non so come abbia fatto, ma mi ha trovata.”
“ Avevi chiesto la separazione ?”
“ Sì, ma sono dovuta scappare. E’ una storia molto lunga. Se non l’avessi fatto mi avrebbe uccisa. Hanno dovuto proteggermi.”
“ C’è qualcuno che può darmi altre informazioni sugli antefatti ?”
“ Sì. La dottoressa Emanuela Sala e l’avvocato Martina Clerici. Non sanno ancora cosa mi è successo. Non posso rivelare neanche a te dove si trova la casa protetta.”
“ A questo penseremo dopo. Perché hai chiamato il dottor    Marri ? Non hai pensato che avrebbe potuto avvisare tuo     marito ?”
“ Non credo. Ha minacciato anche sua moglie per scoprire dov’ero.”
“ Oltre a picchiarti, ti ha anche violentata ?”
“ Sì, ma non credo che ora sia molto importante.”
“ Giulia, lascia decidere a me cos’è importante adesso.”
“ Va bene. Ma prima ascoltami. Devo dirti cosa voglio. Dopo potrai chiedermi tutto quello che vuoi e io ti risponderò.”
“ Cosa vuoi ?”
“ Voglio la separazione. Voglio che sia denunciato e che non possa avvicinarmi in nessun modo. Voglio tutti i miei effetti personali e i soldi che ho guadagnato con il mio lavoro. Voglio andarmene e non vederlo mai più.”
“ Con una denuncia per tentato omicidio avrai molto di più.”
“ Non hai capito. Voglio solo quello che mi appartiene. Rivoglio la mia vita. Puoi aiutarmi ?”
“ Sì. Tu mi lascerai fare ?”
Lei annuì con gli occhi.
“ Ho chiesto a Marri di fotografare le tue lesioni. Mi dispiace, ma ho bisogno di queste foto.”
“ Va bene.”
“ Ho bisogno di una tua foto di prima… prima di questa notte.”
“ Puoi chiederla al mio editore, Luca Fossati. Sta arrivando. Avevamo appena fatto alcuni scatti per il mio nuovo libro.”
“ Sai che dovrò parlare con la polizia. ”
“ Sì.”
“ Per adesso non ho bisogno di sapere altro. Poi dovrò parlare con la Clerici e la Sala, ma non c’è fretta. Ti serve qualcosa ?”
“ Sì. Quando uscirò dall’ospedale, tra un paio di settimane, avrò bisogno di un posto in cui andare per qualche giorno, possibilmente a Milano. E qualche vestito comodo, tipo jeans, felpe e scarpe da ginnastica. Taglia 42, misura del piede 36. Nel parcheggio troverai una macchina a noleggio. Le chiavi sono al pronto soccorso. E’ una Panda targata CC 123589. Bisogna farla avere all’avvocato Clerici. E poi, avrò bisogno di un po’ di soldi in fretta. ”
Mentre Giulia parlava, l’avvocato prendeva appunti. “ Va bene. La mia segretaria si chiama Barbara. Ti porterà tutto quello che hai chiesto. Ti lascio i miei numeri. Puoi chiamarmi quando vuoi, di giorno e di notte. Per qualsiasi cosa.”
“ Grazie.”
“ Vuoi che avvisi qualcuno dei tuoi amici ?”
“ No. Nessuno.”
L’avvocato si alzò per congedarsi. “ Giulia .. tu sai che agirò in modo spietato e poco convenzionale, vero ? Non mi hai chiamato perché mi comportassi in modo diverso, immagino. Tu adesso hai il coltello dalla parte del manico, e io utilizzerò qualsiasi mezzo a mia disposizione. C’è solo una condizione… non puoi farti scrupoli sul mio modo di procedere.”
Lei emise un suono strano che forse doveva essere una risata. “ Nessuno scrupolo.”

Marco Costa lasciò il parcheggio dell’ospedale e puntò dritto verso il suo studio, nella piazza principale, ascoltando il rombo del motore della sua Jaguar. Quel rombo gli piaceva molto, perché lo aiutava a riflettere. E ora stava riflettendo. Al primo semaforo rosso compose un numero telefonico sul cellulare e aspettò. Scattò il verde, inserì la marcia e continuò a guidare.
“ Studio legale Panti e Osella, buongiorno,” rispose una voce femminile.
“ Devo parlare con l’avvocato Osella, grazie.”
“ Chi lo desidera ?”
“ L’avvocato Marco Costa. È urgente.”
“ L’avvocato Osella è già uscito. Posso riferire un messaggio ?”
“ No. Mi metta in comunicazione con lui,” insistè Costa. Ci fu qualche secondo di silenzio sulla linea, come se la segretaria stesse valutando l’urgenza della richiesta. Poco dopo Alberto Osella era in linea.
“ Osella.”
Costa tralasciò qualsiasi tipo di convenevole.
“ Sono Costa. Tu rappresenti sempre il tuo socio Panti, vero ?”
“ Certo. Cosa succede ?”
“ Da quanto tempo ci conosciamo, Alberto ?”
Osella sembrò un po’ scocciato: “ Saranno almeno vent’anni.”
“ Tu mi conosci come una persona decisa,    Alberto ?”
“ Sì, deciso e pericoloso,” rispose lui con un tono di voce esasperato.
E infatti, Osella doveva saperlo bene. Poco tempo prima Costa aveva inferto un colpo durissimo a Osella e Panti convincendo il loro cliente più importante a passare al suo studio. Erano anni che si combattevano con ogni mezzo.
“ In questo momento sono molto serio, Alberto. Stanotte il tuo socio ha cercato di ammazzare sua moglie, che ora io rappresento.”
“ Cosa ? Oh, Cristo Santo !”
“ Già. E c’è quasi riuscito. Ho appena visto la mia cliente. Non sarà mai più la stessa persona, sotto nessun punto di vista.”
Ora Alberto Osella cominciava a riprendersi: “ Chi è al corrente della situazione ?”
Io, tanto per cominciare. Però vorrebbero saperlo tutti, non credi ? Compresa la polizia. Non so per quanto tempo potrò rimandare la denuncia.”
“ Mi stai già minacciando ? Non pensi che prima sia il caso di parlarne ?”
“ Tu, io e Cesare Panti. Domani mattina alle nove, nel mio ufficio. Non un minuto più tardi. E niente trattative. Parla con il tuo cliente subito e presentati con la più ampia facoltà di decisione.”
“ Beh, non so se …”
“ Senti, hai tutta la giornata per discuterne con Panti. Sempre che tu sappia dove si trova. In caso contrario, dovremo farlo cercare con le volanti.”
“ Questo è un discorso pericoloso, Marco.”
“ Certo, Alberto. Oh, a proposito. Ho due messaggi per il tuo cliente. In primo luogo vorrei che tu gli ricordassi di cosa sono capace. Poi, avvisalo che se proverà ad avvicinarsi ancora a sua moglie , passerà il resto della sua vita in galera. ”
“ Marco …”
“ Sì, Alberto, certo, questa è una minaccia. Tu fai in modo che il tuo cliente capisca bene che faccio sul serio. Ci vediamo domani mattina alle nove.”
Costa interruppe la telefonata e continuò a guidare. Era carico di adrenalina. Non succedeva spesso di potersi rivolgere in quel modo a un collega della parte avversa. Era incredibilmente eccitante, quasi meglio del sesso. E poi, Giulia gli piaceva. Puntò soddisfatto verso il suo studio.

Luca Fossati si sedette accanto al letto e osservò in silenzio Giulia che dormiva. Era contento che fosse addormentata, gli permetteva di abituarsi alla vista di una cara amica e una delle più belle donne che conosceva trasformata in una massa di carne tumefatta. Si obbligò a non provare compassione. Lei se ne sarebbe accorta e ne avrebbe sofferto. Sospirò piano e le accarezzò dolcemente una mano.
“ Giulia ? Tesoro, sono Luca.”
Lei aprì gli occhi, solo una piccola fessura tra le bende. “ Ciao, Luca,” sussurrò, “ non puoi vederlo, ma ti sto sorridendo.”
“ Ho saputo che hai deciso di sopravvivere a qualsiasi evento.”
“ Già,” mormorò lei, “ ci puoi scommettere. C’è qualcosa di bello per me ?”
Luca rise ed estrasse dalla valigetta un pacchetto avvolto in un’allegra carta da regalo.
A Giulia brillarono gli occhi. Prese il pacchetto e molto lentamente, impacciata dalle fasciature, ne estrasse un libro con la copertina lucente: “ Colori & Sapori dell’Africa, Itinerario Gastronomico, da Durban a Cape Town”, di Giulia Marini, Edizioni Il Fauno, a cura di Luca Fossati.
“ E’ la prima copia,” disse Luca, “ ed è splendida.”
“ Sì,” rispose lei, “ lo è davvero.”
“ Andranno a ruba. Siamo praticamente già sotto pressione per la seconda ristampa. E non vedo l’ora di farti firmare un contratto per le prossime pubblicazioni.”
Giulia sorrise ma non disse nulla.
“ Hai bisogno che ti porti qualcosa ?”
“ No, per adesso niente. Grazie.”
“ Giulia … hai già pensato a cosa farai ?”
“ Sì. Non cambierò un solo dettaglio dei miei programmi. Quando sarò in grado di viaggiare, prenderò l’aereo e andrò in Sudafrica. Mi riposerò per qualche tempo, e poi girerò la Namibia e il Botswana. Credo che metterò radici laggiù. Ho sempre saputo che un giorno sarebbe stata la mia casa. Mi piacerebbe dedicarmi ai bambini. Hanno bisogno di tutto, e io ho tanta voglia di dare. Mi capisci ?”
“ Sì. Però vorrei farti una proposta. E’ un’idea che mi gira in testa da un po’ di tempo, e questa è sicuramente l’occasione migliore.”
“ Spara.”
“ Voglio pubblicare un libro di belle foto del Sudafrica. E vorrei che ti occupassi anche del testo. Cosa ne pensi ?”
Giulia rimase un attimo in silenzio. “ Mio Dio ….” disse poi,  “ sarebbe fantastico…. ho sempre sognato di fotografare la natura, gli animali, le popolazioni … ”
“ Beh, è arrivato il momento di farlo. E ricordati che voglio un libro bello grosso.”
“ Ci puoi contare. Sarà un capolavoro.”
“ Ne sono sicuro. Giulia … mi dispiace tanto per quello che è successo …”
“ Non ne parliamo più, Luca,” lo interruppe lei,      “ nessun rimpianto. Ho accettato la realtà, e sono pronta a ricominciare. Anzi, non vedo l’ora di farlo.”
“ Ti sarò sempre vicino, lo sai.”
“ Lo so. Adesso vai, ho bisogno di riposarmi un po’..”
Quando Luca uscì dalla stanza, Giulia fissò con sguardo adorante il libro. Incurante del dolore, lo strinse forte al petto.

giovedì 7 febbraio 2013

Capitolo 25


Il dottor Iacono si risvegliò all’improvviso. Qualcuno aveva spalancato la porta lasciando entrare una folata d’aria fredda in quella notte di fine ottobre, scuotendolo dal suo sonnellino. Rialzò la testa dalla scrivania, cercando di liberarsi dello stetoscopio avvolto intorno al collo. Quando vide la persona che aveva aperto la porta si irrigidì.
Una donna era ferma sulla soglia, e indossava solo dei jeans e una camicia lacerata. La mano destra era sollevata e stringeva il gomito contro le coste. Sembrava che il seno destro fosse più grande del sinistro, che era nudo. I capelli biondi erano scompigliati, ma il viso era addirittura devastato e irriconoscibile. Non sembrava neanche un essere umano. Gli occhi erano gonfi e quasi chiusi, il naso schiacciato, le guance e la fronte ricoperte di sangue. Fece due passi all’interno e poi rimase immobile, senza dire una parola.
Il medico si alzò di scatto e velocemente andò verso la donna, afferrando con una mano una lettiga.        “ Stia tranquilla, va tutto bene,” le disse prendendole delicatamente il gomito sinistro e avvicinandola alla lettiga. Mentre guidava la donna urlò: “ Infermiera !”. Una donna robusta con un libro in mano si affacciò alla porta, lasciò cadere il libro e corse verso la lettiga.
“ La sala uno,” disse il medico spingendo la lettiga nel corridoio. Appena arrivati in sala visite, prese il polso della donna. “ Il polso è debole. Misuriamo la pressione. E chiamate traumatologia, immediatamente.”
“ Pressione centodieci, la minima sessanta,” disse l’infermiera, “ da traumatologia sta arrivando il dottor Fornara.” 
“ Le dobbiamo togliere i vestiti,” disse alla donna,  “ è in grado di muoversi ?”
“ No,” bisbigliò la donna senza muovere le labbra tumefatte.
“ Forbici,” ordinò il medico all’infermiera,              “ tagliamo.”
Mentre l’infermiera cominciava a lavorare con le forbici, un altro medico entrò nella sala. Guardò la donna sulla lettiga e rimase un attimo impietrito. Poi si avvicinò velocemente al collega. “ Cosa abbiamo ?” chiese.
“ Ematoma esteso al seno destro, che è gonfio quasi il doppio del sinistro. Tumefazioni ed escoriazioni multiple all’addome. Dolore al torace.”
“ I polmoni ?”
“ Mi sembrano illesi. Riesce ad alzare il braccio destro ?”
“ No….,” bisbigliò lei, “….  male.”
Il dottor Fornara guardò il collega e l’infermiera.     “ Facciamo immediatamente una radiografia del torace,” ordinò, “ del cranio e delle ossa facciali. Emocromo completo, gruppo sanguigno e test di agglutinazione crociata. Prelevate sei unità di sangue. Infermiera, le inserisca una flebo con mille cc di fisiologica normale.”
La donna continuava a restare immobile, sdraiata sulla lettiga.
Il dottor Iacono si chinò verso di lei. “ Signora, va tutto bene. Ci occuperemo di lei. Ho bisogno di alcuni dati. Può dirmi come si chiama ?”
La donna non rispose.
“ Signora, qual’ è il suo nome ?”
Ancora nessuna risposta.
“ E’ cosciente ?” chiese Fornara a Iacono avvicinandosi alla donna. Poi le aprì delicatamente la bocca e le tastò l’arcata superiore dei denti. “ E’ mobile. La mascella si muove,” disse.
Avvicinò la bocca all’orecchio della donna. “ Mi sente ?”
“ Sì,” bisbigliò lei.
“ E’ stata picchiata ?”
“ Sì.”
“ E’ stata violentata ?”
La donna non rispose.
“ Chi l’ha picchiata ?”
Silenzio.
“ Con cosa è stata picchiata ?”
“ Pugni,” rispose debolmente lei.
“ Chi è stato ?” chiese ancora il medico.
Lei non rispose.
Il dottor Fornara si rivolse all’infermiera. “ Chiami la polizia.”
“ No …” disse la donna, “ no…” ripetè ancora.
“ Dobbiamo avvisare le autorità. Bisogna trovare il responsabile.”
“ No,” disse ancora lei, “ … macchina. La mia ….  macchina.”
“ Vada a vedere fuori,” ordinò Fornara all’infermiera.
Poi la sottopose ad un esame vaginale, riscontrando escoriazioni. Raccolse su un vetrino alcune tracce di sperma.
L’infermiera rientrò nella sala: “ Qui fuori c’era una Punto con il motore acceso. L’ho parcheggiata. Ho preso le chiavi e segnato il numero di targa. All’interno c’era un libretto di circolazione. È una macchina a noleggio.”
Il dottor Iacono si avvicinò alla lettiga con un apparecchio a raggi X. Inserì la spina, poi il dottor Fornara esaminò il torace. “ I polmoni sono a posto, ma ci sono quattro coste rotte.” Poi passò ad esaminare il cranio. “ Non mi piace,” mormorò,      “ chiamate un chirurgo plastico. Infermiera, chi c’è in reparto stanotte ?”
“ La dottoressa Marchesan.”
“ No,” disse la donna stesa sulla lettiga.
“ La Marchesan è molto brava,” le rispose il medico.
“ Carlo Marri,” sussurrò lei.
“ Sì. So chi è. Anche lui è un ottimo chirurgo plastico. Lei lo conosce ?”
“ Sì.”
“ Non posso riferirgli il suo nome ?”
La donna non rispose.
I due medici si guardarono per un attimo, poi il dottor Fornara andò alla scrivania, consultò una rubrica telefonica e compose un numero.
“ Pronto ?” rispose una voce assonnata dopo una decina di squilli.
“ Dottor Marri ? Sono il dottor Fornara dell’Ospedale di Domodossola. La sto chiamando dal Pronto Soccorso. C’è qui una donna che dovrebbe vedere.”
“ Ma .. io non presto servizio in ospedale. Perché mi state chiamando ?”
“ La donna ha chiesto di lei. Dice di conoscerla.”
“ Chi è ? Come si chiama ?”
“ Non vuole dirlo.”
“ Quali sono le sue condizioni ?”
“ E’ stata picchiata a sangue e violentata; ha gli occhi chiusi e molto gonfi; tumefazioni e lacerazioni su palpebre e guance; il naso è schiacciato. Le abbiamo fatto un esame radiografico dal quale risulta che i seni mascellari sono pieni di sangue. La mascella è mobile. Penso che si tratti di una triplice frattura di Le Fort.”
“ Con cosa è stata picchiata ?”
“ Con i pugni.”
“ Allora non può essere una triplice di Le Fort.”
“ E’ meglio se viene a vedere.”
“ Sarò lì tra mezz’ora.”

Carlo Marri abitava a Premosello. Ventidue minuti dopo la telefonata stava parcheggiando davanti al Pronto Soccorso di Domodossola. Mentre guidava, si era sforzato di capire chi potesse essere la paziente.  Il suo studio era nel centro storico di Stresa, nella zona più rinomata del lago Maggiore. Tutte le sue pazienti erano donne molto benestanti e di una certa età che si rivolgevano a lui per interventi di chirurgia estetica alla ricerca del fascino e della giovinezza. Nessuna delle sue pazienti aveva l’abitudine di rivolgersi ad un pronto soccorso. Ogni tanto veniva consultato da cliniche private o centri specializzati esteri. Chi poteva essere la donna che aveva chiesto di lui ?
Scese dalla macchina ed entrò. Il dottor Fornara lo stava aspettando nell’atrio. Si strinsero la mano.
“ Chi è la donna ?” chiese ancora.
“ Non vuole dire come si chiama.”
“ E’ stata sedata ?”
“ No, aspettavamo che lei arrivasse.”
Carlo Marri entrò in sala visite e guardò la donna stesa sulla lettiga. Per un attimo, rimase pietrificato. Non la riconobbe, ma era sicuro che neanche sua madre avrebbe potuto farlo. In venticinque anni di carriera non aveva mai visto niente di simile. Si avvicinò a quel volto massacrato e  sussurrò:           “ Sono il dottor Marri. Non abbia paura, mi prenderò cura di lei.”
“ Grazie, Carlo,” mormorò la donna.
Carlo Marri era un professionista abbastanza formale, e solo poche pazienti che facevano parte del suo gruppo di amici gli davano del tu usando il suo nome di battesimo. Con una sensazione di gelo nella schiena, all’improvviso ebbe paura di conoscere l’identità di quella donna. Le sollevò la mano destra per sentirle il polso. Lei gemette.
“ Mi dispiace, so che ha delle coste rotte. Ora sistemeremo tutto.” Le osservò la mano sinistra. Non portava la fede nuziale, ma alla base del dito ne era rimasta traccia, quindi probabilmente l’aveva tolta da poco. Le sollevò piano le palpebre gonfie. Gli occhi erano verdi, le pupille contratte.
“ L’esame neurologico ?” chiese al dottor Fornara.
“ Nella norma. Pensa che sia il caso di chiamare un neurologo ?”
“ Direi di no. Almeno per il momento.”
Infilò un paio di guanti chirurgici e aprì la bocca della donna, poi strinse l’arcata dentaria superiore tra due dita e la mosse delicatamente. Tutta la faccia della donna si spostò. La struttura facciale era stata separata dal cranio. Il medico cercò di mantenere il sangue freddo e si sforzò di parlare in tono calmo. “ Sì, è una triplice frattura di Le Fort. La devo suturare immediatamente.”
Iniettò della xilocaina nelle guance e nelle palpebre della donna, poi con molta attenzione si dedicò alle lacerazioni. Quando ebbe finito, cercò di essere rassicurante. “ Per adesso abbiamo finito. E sono sicuro che tornerà bellissima.”
La donna cercò di sorridere. “ Avrò anche perso la memoria, ma la leggenda sul potere magico delle tue mani non l’ho dimenticata.”
Carlo Marri rimase a bocca aperta. Ma non trovò nulla da dire. Ora sapeva chi era quella donna.
Guardò l’infermiera. “ Per favore, due milligrammi di morfina endovena,” ordinò.
“ Aspetta,” disse la donna.
Lui si chinò. “ Dimmi.”
“ Voglio vedere Marco Costa. Solo lui. Non voglio vedere nessun’altro. Ti prego, non dire a nessuno chi sono.”
“ Marco Costa ? Sei sicura ? Posso chiamare qualcuno di fuori, qualcuno che non conosca tuo marito …”
“ Costa,” insistè lei, “ solo lui.”
“ Va bene. Non ti preoccupare. Farò tutto quello che posso per aiutarti.” Fece segno all’infermiera di avvicinarsi con la flebo.
“ Adesso dormi,” le mormorò, “ tornerò domattina.”
Carlo Marri si rivolse agli altri due medici.              “ Mettetele del ghiaccio sul viso e sul seno. Le coste vanno fissate al prima possibile e va trasferita in rianimazione. Non bisogna somministrarle niente per via orale. Al prima possibile è necessario farle una TAC. Domani mattina verrò a visitarla e fisserò la data dell’operazione.”
“ Il nome della signora ?” chiese il dottor Fornara.
“ Per adesso, registratela a mio nome. Qualsiasi eventuale spesa è a mio carico. Domani mattina sistemeremo anche questo problema. Posso contare su di lei ?”
“ Farò il possibile. Ma domani mattina dovrò avvisare la polizia, non posso rimandare oltre. ”
“ Sì, va bene. Grazie.”
Intanto l’infermiera aveva applicato le borse del ghiaccio e stava spingendo la lettiga fuori dalla sala.
“ Rivediamo le radiografie,” disse Fornara a Iacono.
Iacono riaccese il diafanoscopio. “ Certo che è stata fortunata. E’ un miracolo che non ci siano fratture del cranio,” osservò Iacono.
“ Già. E io non avevo mai visto una triplice di Le Fort causata da pugni,” aggiunse Fornara.
“ Neanch’io. E non ho mai visto una donna picchiata con questa ferocia.”

martedì 5 febbraio 2013

Capitolo 23


Si risvegliò all’improvviso da un sogno in cui correva in un labirinto buio, senza riuscire a trovare l’uscita. Cesare si mosse accanto a lei ma continuò a respirare profondamente, allora Giulia si sdraiò nuovamente appoggiando la guancia sul cuscino e aspettando che il torpore tornasse. Pochi minuti dopo era nello studio di Carla Feltre e teneva in mano un sacchetto. Dentro il sacchetto c’era un neonato sporco di sangue e lei lo voleva restituire.
“ Questo bambino è macchiato,” disse all’avvocato Feltre che indossava un tailleur luccicante di strass.
“ Non accettiamo resi macchiati,” rispose la Feltre guardando dentro il sacchetto, “ e comunque questo l’abbiamo venduto a gennaio. È troppo tardi.”
“ No !” gridò svegliando Cesare che l’abbracciò cercando di calmarla.
“ Stai tranquilla,” la confortò, “ va tutto bene, è tutto a posto. Hai avuto un incubo. È passato.”
Giulia non disse niente. Si lasciò cullare pensando ad un neonato sporco di sangue in un sacchetto, gli occhi sbarrati dall’angoscia.
“ Me lo vuoi raccontare ?”
Lei scosse la testa. Cosa avrebbe dovuto raccontargli ? Che aveva cercato di restituire un bambino insanguinato all’avvocato Feltre ? Eppure…  c’era qualcos’altro, riflettè sciogliendosi dall’abbraccio. C’era qualcos’altro. Ma cosa ?
“ Vado a prenderti le pastiglie,” disse Cesare scendendo dal letto.
Cosa ? Cos’altro c’era ?
Cercò di fissare il sogno prima di perderlo completamente, tornò nello studio della Feltre, ricordò la conversazione con la donna luccicante di strass, la sentì rispondere che era stato venduto a gennaio. Gennaio, pensò. Cosa c’era di tanto importante in gennaio ?
Poi si ricordò della donna bellissima con i capelli lunghi in sala d’aspetto. Sonia Paggi, ripetè mentalmente. Sonia Paggi aveva detto qualcosa a proposito di gennaio….. che cosa ?
“ Eccola. Tieni.” Cesare le stava porgendo una pastiglia diversa dal Paxil che prendeva da tanto tempo. Le aveva cambiato il farmaco ? La prese e la osservò. Era giallognola e granulosa. Se non era il solito Paxil, cos’era ? Ma in fondo, voleva saperlo davvero ? Cosa sarebbe cambiato ? si chiese.
Prese il bicchiere che Cesare le stava porgendo.
Cosa le aveva detto Sonia Paggi ? Che si erano conosciute in ospedale, che erano a Gallarate, che c’era Emanuela e qualcun altro, e che lei sarebbe dovuta essere in Sudafrica. Sì, aveva detto tutte queste cose. A gennaio. In ospedale a gennaio. Sì, l’aveva detto. Ne era assolutamente certa.
“ Prendi la pastiglia, Giulia. Cerchiamo di dormire ancora un po’, è presto.”
Doveva pensare. Riflettere, concentrarsi. Se adesso avesse preso la pastiglia, in pochi minuti sarebbe sprofondata nel sonno, e invece lei aveva bisogno di ricordare qualcos’altro. Era sicura che la sua mente, o forse la sua memoria, le stesse mandando dei messaggi. Nonostante le medicine, i suoi ricordi avevano combattuto per emergere nei suoi incubi, perché c’era qualcosa di molto importante che lei doveva sapere. Adesso doveva concentrarsi, non poteva dormire.
Si mise la pastiglia in bocca e avvicinò il bicchiere alle labbra, ma il polsò tremò violentemente e l’acqua si rovesciò sul lenzuolo.
“ Giulia… che casino stai facendo,” sbottò Cesare.
“ Scusa. Mi stava cadendo il bicchiere.”
“ Beh, non è successo niente. Ti sei bagnata ?”
“ No, solo il lenzuolo”
“ Ti prendo dell’altra acqua”
Appena Cesare uscì dalla camera, Giulia sputò la pastiglia e la infilò sotto il cuscino.
Ci siamo conosciute in ospedale, a gennaio.”
Gennaio.
Cesare tornò con un altro bicchiere, e Giulia fece finta di deglutire la pastiglia. Lui tornò a letto, la baciò sui capelli e si girò dall’altra parte.
Giulia rimase sveglia ad ascoltare il battito forte del suo cuore. Quella donna le aveva messo qualcosa in mano. Ma lei non si ricordava dove l’aveva nascosto. E cosa c’era di tanto importante nel fatto che si fossero conosciute in ospedale a gennaio ? E poi non era possibile, lei era stata in ospedale più di un anno prima.
A meno che non fosse così. A meno che la donna ricordasse esattamente. Quindi, lei era stata in ospedale a gennaio. E se era stata in ospedale a gennaio, l’incidente era successo nello stesso periodo, o poco prima. Sussultò violentemente. Cesare si mosse nel letto. Ma se era successo a gennaio, perché Cesare le aveva detto che l’incidente risaliva a più di un anno prima ? Se non era vero, allora tutto quello che Cesare le aveva raccontato poteva essere una menzogna. E poi, perché quella donna sosteneva che lei doveva trovarsi in Sudafrica con Emanuela ?
Cominciò a sentire la stanchezza appesantirle le palpebre. Voleva resistere, ma era stanca… forse se si fosse riposata qualche ora al risveglio le cose le sarebbero apparse più chiare.

Rannicchiata in un angolo della sala, Giulia aprì la bocca alla ricerca disperata di aria. La stanza, fino ad un attimo prima piena di luce, si era improvvisamente oscurata. Nelle orecchie sentiva un suono lontano, come un risucchio, e sapeva che era il suo respiro, ansimante e spezzato, aria che scende e risale dai polmoni, ma a lei sembrava di affogare proprio lì, in quell’angolo, con lo sguardo sul libro fatto a pezzi che stava sfogliando pochi minuti prima.
Prima che Cesare tornasse a casa.
Non era preoccupata. La paura di affogare e le pagine lacerate non erano importanti.                         Il dolore era troppo intenso per permettersi altri pensieri. Un dolore totale, avvolgente, pulsante come un’infezione all’interno del suo corpo, là dove poco prima c’era la sensazione meravigliosa di un bimbo che cresce. Non aveva mai provato un dolore come questo, neanche quando lui l’aveva picchiata fino a farle perdere i sensi. Ma era diverso. Questo dolore sembrava un coltello incandescente che straziava la carne. Tenne le mani attanagliate al ventre. Ma invece del bambino sentiva una palla di fuoco. No, ti prego, no….  urlò dentro di sé,  non il mio bambino …
Ma la consapevolezza la stordì. Lei sapeva che il suo bambino non stava bene. Al quinto mese di gravidanza, il bambino è reale e vive con te, dentro di te, e in quel momento Giulia sapeva che il piccolo si era fatto tanto male. Un liquido vischioso le percorse l’interno delle cosce. Per un attimo, si illuse che fosse sudore, o forse urina .. sì, forse per la paura e per il dolore se l’era fatta addosso. Ma l’illusione durò pochi istanti. L’odore metallico del sangue le salì alle narici. Il suo bambino se ne stava andando e Giulia non poteva fare niente per fermarlo. Davanti a lei, in piedi a gambe divaricate, la figura imponente di Cesare la sovrastava. In mano stringeva il ricevitore del cordless, e parlando cominciò a camminare avanti e indietro.
“ E’ un’emergenza, per favore, dovete intervenire subito,” stava gridando, “ mia moglie è incinta e le è successo qualcosa.” Il suo tono di voce era quello di un uomo disperato, ma lei riescì a sentire anche quella punta di arroganza che emergeva ogni volta che Cesare si rivolgeva a qualcuno che riteneva inferiore, come un semplice operatore del 118.  Anche se poteva essere l’unica persona al mondo in grado di salvare il suo bambino. “ E’ ovvio che non la sposto ! Mi ha preso per un imbecille ”
Le dita di Giulia si infilarono sotto la gonna, percorrendo lente l’interno della coscia fino al cotone caldo e bagnato delle mutandine. “ Per favore, per favore …” supplicò ancora nella sua mente, ma le preghiere non servirono a nulla. Quando trovò il coraggio per farlo, la mano che estrasse da sotto la gonna era sporca di sangue. Mentre si osservava le dita insanguinate, un crampo tremendo le squassò il ventre come una sega elettrica. Ripiegandosi su se stessa  soffocò l’urlo selvaggio che aveva in gola. Cesare smise di gridare al telefono. Fermo davanti a lei, la guardò con aria preoccupata. Lei sollevò la mano sporca di sangue, quasi a volersi proteggere. Cesare spostò la sua attenzione sulla stanza, e un attimo dopo si chinò per raccogliere il libro stracciato e buttato per terra.
“ Guarda che disordine,” mormorò piano. Le agitò davanti agli occhi la copertina del libro, dove una fila di neonati vestiti come fiori sorridevano al mondo e all’obbiettivo di Anne Geddes. “ E’ questo il problema.” Brandì la copertina come un’arma, poi si inginocchiò con il volto tra le mani, le spalle scosse dai singhiozzi.“ Perché non ti  basto ? Perché hai voluto un estraneo nella nostra vita ? Lo vedi, lo vedi cosa mi costringi a fare ?” Lei gemette piano. “ Il .. mio … bambino …”
“ Non ci serve un bambino,” rispose lui, “ non ne hai bisogno.”
Poi le sorrise. Si alzò, la copertina stracciata ancora in mano.
 Maledetto bastardo, pensò lei,  ti odio.  Tornarono i crampi, e Giulia si sentì spaccare in due.
Lui si chinò nuovamente e con delicatezza la sollevò, tenendola tra le braccia come un oggetto fragile e prezioso. “ Stai tranquilla,” le disse,        “ andrà tutto bene.” Si guardò intorno come se stesse decidendo dove era successo l’incidente.       “ Sto .. sanguinando  … ” balbettò lei.
“ Lo so.”
“ Non .. dovresti … spostarmi ..”
“ Non devi preoccuparti di nulla. Sta arrivando l’ambulanza. Andrà tutto bene.”
La portò fino alla scalinata dell’atrio e la posò delicatamente a terra, sotto l’ultimo gradino.
“ Stai bene ?” le chiese con espressione premurosa.
Crepa, pensò lei senza parlare.
Lui tornò in sala, raccolse i pezzi di libro rimasti sul pavimento e sistemò ordinatamente i cuscini sul divano. Si osservò per assicurarsi di non essersi sporcato di sangue quando l’aveva presa in braccio. La camicia era immacolata. Si voltò a guardare l’angolo in cui lei era caduta. Sul pavimento c’erano schizzi e macchie di sangue. Dal corpo di Giulia stava uscendo altro sangue, con velocità e insistenza, e lei si sentì invadere da un senso di insano torpore. Cesare andò in cucina e ci restò per qualche minuto. Sentì rumore di ante aperte e richiuse mentre il dolore dentro di lei cresceva, fino a sgonfiarsi in un rumore liquido. Era come se fosse seduta sopra un brodo caldo, denso, che gocciolava lentamente dal suo ventre. Sentì l’acqua scorrere nel lavello e la voce di Cesare canticchiare qualcosa, mentre il suo bambino scivolava via dal suo corpo. Lui uscì dalla cucina con uno straccio bagnato in mano, le passò davanti e tornò in sala, chinandosi nell’angolo in cui Giulia si era rannicchiata dopo che lui le aveva strappato il libro di mano e le aveva tirato due pugni violentissimi all’addome. Pulì le gocce di sangue con lo straccio. L’emorragia sarebbe rimasta sotto di lei, in fondo alla scalinata, dove Cesare aveva deciso. Lui esaminò con attenzione le piastrelle di cotto, lo straccio ora sporco di rosa. Tornò in cucina a sciacquarlo mentre in lontananza si sentivano le sirene dell’ambulanza. Tornò accanto a lei e si inginocchiò, prendendole le mani e accarezzandole con dolcezza.
“  Mi dispiace….” disse, “ ma ho tanti di quei pensieri … quel maledetto di Costa mi ha soffiato un cliente importante …”
“ Il….mio ….bambino …” balbettò Giulia.
Lui le strinse forte le mani, i lineamenti del viso stravolti dalla collera.
“ Ascoltami. Tra poco arriverà l’ambulanza. Guardami, maledizione ! Sta arrivando l’ambulanza. Andrà tutto bene. Sei inciampata sui gradini e sei caduta. Hai capito ?”
Giulia lo fissò senza dire una parola. “ Hai    capito ?” ripetè Cesare.
Lei fissò il sangue a terra e annuì con la testa.
“ Va bene. Sai cosa ti succederà se dirai qualcosa di diverso ?” Le mani di Cesare ora stringevano quelle di lei così forte da farle male.
Giulia annuì ancora.
“ Dillo a voce alta. Devo essere sicuro che tu abbia capito bene.”
“ Mi ucciderai,” mormorò lei.
Le vetrate si illuminarono di luci rosse e pulsanti. Lui si alzò per andare ad aprire la porta, un’espressione ansiosa sul viso, l’espressione di un uomo preoccupato per la moglie incinta che ha avuto un incidente.
Giulia scivolò lontano da se stessa. Sentì il rumore degli sportelli che sbattevano, piedi che correvano verso di lei e il suono metallico di una lettiga. La voce concitata di Cesare che parlava con i paramedici. “ Sbrigatevi, per l’amor di Dio, ha perso molto sangue.”
Poi, più niente.    

Capitolo 24


“ Non è meglio se vai a letto e ti riposi un po’ ?” chiese Cesare affacciandosi dalla portafinestra della cucina e guardando Giulia appoggiata ai cuscini del dondolo.
“ E’ l’ora della pastiglia ?” chiese lei.
Cesare controllò l’orologio. “ Tra un’ora, perché ?”
“ Non potrei prenderla adesso ? Mi sento molto depressa, ho paura di non riuscire ad addormentarmi.”
Lui la baciò sui capelli. “ Non penso che un’ora faccia differenza.”
La aiutò a salire le scale ed entrarono in camera da letto. Lei si sedette e lo osservò spogliarsi mentre cercava di comporre ordinatamente i suoi pensieri in un piano preciso. Qualsiasi cosa avesse deciso di fare, doveva farla rapidamente, perché non aveva molto tempo.
Rifletti, pensò, rifletti e decidi. Cosa vuoi fare ?
Per prima cosa, decise mentre Cesare usciva dalla stanza per andare a prenderle la pastiglia, doveva mettersi in contatto con Sonia Paggi. Aveva ritrovato il pezzettino di carta che la donna le aveva infilato in mano nella cesta della biancheria sporca, appallottolato dentro un paio di mutandine. Sul biglietto c’era solo un numero di cellulare. Guardò il telefono sul comodino. Nelle ultime settimane Cesare aveva allentato il controllo e deciso che il telefono poteva tornare al suo posto, ma lei non era sicura di volerlo utilizzare. Era troppo rischioso, non poteva permettersi di suscitare nel marito alcun sospetto. Da quando erano tornati a casa dopo la visita a Milano, lei aveva recitato una parte, fingendo di prendere le pastiglie, piangendo a comando senza motivo, ricominciando a parlare ossessivamente del bambino dandosi la colpa di tutto, chiedendo continuamente perdono a Cesare per avergli rovinato l’esistenza. Era stata molto convincente. Sapeva che la sua vita dipendeva da quello.
Lo guardò entrare in camera, la pelle ancora umida dopo la doccia, un asciugamano intorno alla vita. Com’era possibile che quell’uomo bellissimo, stimato professionista, affascinante e amato da tutti, fosse in realtà un violento che l’aveva manipolata e maltrattata per anni, tanto sadico e malvagio da averle provocato un aborto e cercato di farla impazzire ? Doveva essere malato, non c’era altra spiegazione.
“ Tieni,” le disse porgendole la pastiglia. Lei la prese e se la mise in bocca mentre Cesare la osservava.

Appena lui si girò per prendere il bicchiere dell’acqua la sputò nella mano e la infilò nella tasca della gonna che indossava. Prese il bicchiere che lui le porgeva e finse di deglutirla. Poi aspettò che lui se ne andasse, ma Cesare rimase davanti a lei e lentamente si tolse l’asciugamano restando nudo. Le appoggiò una mano sulla testa e l’attirò verso di sé, fino a quando la bocca di Giulia non fu sul suo membro eretto. Cominciò a mugolare.
“ Oh, Cesare, no …” mormorò Giulia, “ non riesco a farlo. Sono troppo stanca …”
“ Shh….. ”  la zittì lui, “ non devi fare niente. Non ti preoccupare.” La spinse sul letto e le aprì la camicetta.
“ No..” protestò lei debolmente mentre lui le prendeva i capezzoli tra le dita.
“ Va tutto bene, Giulia, ” la rassicurò, “ va tutto bene.”
Si inginocchiò portando i fianchi di lei sul bordo del letto, poi le sollevò la gonna e le sfilò le mutandine. Lei guardò inorridita la pastiglia scivolare fuori dalla tasca e cadere a terra. Chiuse gli occhi terrorizzata, sicura che Cesare se ne sarebbe accorto. Invece lui le aprì le gambe e la penetrò subito, spingendosi dentro di lei in modo brutale, con forza, afferrandole i capelli con cattiveria e facendola urlare dal dolore. Giulia guardò il viso di Cesare stravolto dal furore mentre i colpi si facevano sempre più violenti, e quando raggiunse l’orgasmo le schiacciò una mano sul volto imprecando: “ Maledetta puttana, pagherai per tutto quello che hai fatto.”
Giulia pensò che avesse visto la pastiglia scivolare dalla tasca e che si fosse accorto di essere stato ingannato, ma lui si staccò da lei e andò in bagno senza dire altro. Ancora stordita e dolorante per la brutalità di Cesare, Giulia si lanciò a terra per recuperare la pastiglia, poi si ributtò sul letto. Era stravolta, le girava la testa e soprattutto si rendeva conto che non era stato un incubo, ma la violenza appena subita era reale, come reali erano i flash che emergevano dalla sua memoria durante il sonno. Era questo il vero volto di suo marito. Violenza, brutalità, possesso. Passarono molti minuti prima che riuscisse a calmarsi. Rimase a letto fingendo di dormire, anche se il suo istinto le urlava di scappare da quella casa il più velocemente possibile.

Giulia passò tutta la notte senza riuscire a dormire neanche un minuto. Quando Cesare si alzò alle sette lei finse di essere addormentata, pensando a come contattare Sonia Paggi a quel numero di cellulare. Aveva già escluso la possibilità di farlo da casa, era troppo rischioso, quindi avrebbe dovuto trovare una scusa per uscire. Ma non era facile, Rosa non era più autorizzata ad accompagnarla in paese.  Forse era arrivato il momento di fuggire un’altra volta. Come, lo avrebbe deciso quando se ne fosse presentata l’opportunità.
“ Giulia,” la chiamò Cesare. Lei finse di svegliarsi al suono della sua voce. “ Devo andare in tribunale. Rosa è in cucina. Le dirò di portarti la colazione e la pastiglia.”
Lei mosse solo gli occhi, facendogli credere di essere talmente intorpidita da non poter parlare.
“ Tornerò a casa dopo l’udienza,” le stava spiegando lui, “ oggi pomeriggio ti porterò a Milano. Ho fissato un appuntamento con il professor Pisani all’Istituto Salute alle quattro. Giulia, mi stai ascoltando ?”
Lei borbottò qualcosa mentre si sentiva assalire dal panico. L’Istituto Salute era una clinica psichiatrica privata.
“ Rosa ti aiuterà a preparare una borsa con il minimo indispensabile, nel caso in cui decidessero di ricoverarti per farti qualche esame. Giulia, mi hai sentito ?”
“ Devo fare la valigia,” biascicò lei senza aprire gli occhi.
“ No, la borsa la preparerà Rosa. Tu devi solo dirle cosa metterci.” Si avvicinò e la baciò sulla fronte.   “ Cercherò di tornare in tempo per pranzare con te.”
“ Ciao,” farfugliò Giulia cercando di non esagerare nella finzione. Quando lui arrivò alla porta della camera lo chiamò.
“ Cesare ? ”
Lui si voltò. “ Sì ?”
Sei un maledetto bastardo, pensò lei, e adesso sarò io a giocare con te. “ Grazie … ti amo tanto,” sussurrò Giulia.
Lui impallidì. Fottutissimo stronzo, continuò lei mentalmente, come ti senti adesso ? Che effetto fa sentire la moglie che hai cercato di far diventare un vegetale drogandola dopo averla picchiata per anni, la donna che hai preso a pugni sulla pancia quando era incinta, quella che stai cercando di far sparire per sempre rinchiudendola in un ospedale per pazzi, dichiarare che ti ama tanto e ringraziarti per tutto quello che hai fatto per lei ? Che cosa provi, maledetto figlio di puttana ? Provi qualcosa ?
Cesare tornò accanto a lei e affondò il viso nel suo collo. “ Oh, Giulia, anch’io ti amo tanto … non puoi neanche sapere quanto.”

Rosa arrivò alle otto con la colazione. Mettendosi a sedere con la schiena appoggiata al  cuscino del letto, Giulia la osservò chiedendosi che ruolo avesse quella donna in tutta la vicenda, e soprattutto che cosa sapesse esattamente del passato. Era solo una domestica poco intelligente oppure una complice del marito ? Era una donna di mezza età ignorante o una donna sensibile che aveva cercato di starle vicino come aveva potuto ? Probabilmente, Rosa non conosceva la verità e si limitava a credere a tutto quello che Cesare raccontava, ubbidiva agli ordini e faceva finta di non vedere e di non sentire. Più o meno come tutti i loro amici. Quando Cesare parlava, lo ascoltavano tutti. Credevano a tutto quello che diceva. In fondo, lui era l’avvocato famoso, lei una donna che scriveva ricette di cucina. Lui era un uomo coraggioso, che aveva affrontato la perdita del bambino e la malattia nervosa della moglie senza un attimo di cedimento. Povero Cesare. E povera Giulia, sarebbe stato meglio ricoverarla in una clinica dove forse avrebbero potuto aiutarla. Ma chi sarebbe stato meglio ? Lei o Cesare ?
“ Non ho fame.”
“ L’avvocato dice che deve mangiare qualcosa.”
“ Perché ? Non ho fame.”
“ E deve bere qualcosa di sostanzioso. Le ho preparato un frullato di frutta.”
“ Va bene, berrò il frullato.”
“ E mangerà anche il resto. Appoggio qui il vassoio. Torno subito.”
La donna le voltò le spalle per uscire dalla camera mentre lei si sforzava di non vomitare davanti al cibo. Anche se erano giorni che non prendeva le pastiglie, o forse proprio per quello, non era affatto in forma. La mente era lucida, ma l’organismo evidentemente era in crisi d’astinenza. Non riusciva a tenere nulla nello stomaco e spesso le vertigini erano talmente forti da obbligarla a camminare appoggiandosi ai muri. Questo l’aiutava a recitare la parte della zombie, ma sarebbe stato un grosso ostacolo nella fuga. Prese il bicchiere di frullato e si obbligò a bere. Aveva comunque bisogno di zuccheri e di energia. Quando Rosa tornò nella stanza, lei era riuscita a berlo tutto e aveva già cominciato a masticare una fetta biscottata. La donna aprì l’anta del guardaroba. “ L’avvocato mi ha detto di prepararle una piccola borsa da viaggio,” disse, “ il necessario per la toilette è già pronto, per dormire cosa le prendo ? ”
“ Va bene qualsiasi cosa, “ rispose Giulia con aria indifferente, “adesso posso avere la mia pastiglia, per favore ?”, chiese continuando a sostenere la parte del vegetale drogato.
“ L’ha già avuta,” rispose Rosa, “ e in quantità doppia. Così non si stancherà troppo in viaggio.”
“ L’ho già avuta ? No, mio marito non mi ha portato niente..”
“ Erano nel frullato.”
Giulia si sentì aggredire dal panico. Quantità doppia. E lei aveva vuotato il bicchiere fino all’ultima goccia. In quanto tempo avrebbero fatto effetto ? Sul suo fisico in astinenza e già debilitato, sicuramente in pochi minuti. Pensa in fretta, si ordinò, non crollare adesso. Si strinse le braccia intorno al corpo e si accasciò su se stessa gemendo.
“ Oh Dio, signora, cosa succede ?” chiese Rosa allarmata correndo accanto a lei.
“ Mi .. sento … male…”
La donna l’aiutò ad alzarsi e l’accompagnò in bagno.
“ Ha la nausea ? Deve dare di stomaco ?”
“ No .. un attacco … di dissenteria..” rispose lei nella speranza che Rosa non volesse starle vicino anche sul water. Infatti la donna la lasciò sola ma non chiuse la porta del bagno. Dannazione, pensò Giulia, e adesso cosa faccio ? Beh, cominciamo a liberarci di questa roba, pensò infilandosi con violenza due dita in gola e azionando lo sciacquone. Vomitò più volte, con gli occhi che le pulsavano dal male e il sapore acido della frutta in bocca. Ce l’aveva fatta ? Era riuscita a vomitare anche il farmaco o era già in circolo ? Non poteva saperlo, ma adesso non aveva più tempo da perdere. Uscì dal bagno tenendosi la pancia, con la faccia terrea e gli occhi rossi.
“ Come va ? E’ riuscita a liberarsi ?” chiese Rosa.
“ No … mi fa male la pancia … ho i crampi … devo sdraiarmi…” rispose Giulia sperando che la donna non sentisse l’odore del vomito e si insospettisse.
Si mise a letto e chiese a Rosa di chiudere le tende e di lasciarla dormire. Quando fu sicura che la donna era tornata al piano di sotto, si alzò e si infilò dei pantaloni, una maglietta e un paio di ballerine. Infilò il bigliettino con il numero di cellulare in tasca e afferrò tutte le monetine che Cesare aveva lasciato sul comodino. Sempre meglio di niente. Uscì dalla stanza senza fare rumore e sgattaiolò nella camera degli ospiti alla ricerca della borsa di Rosa. L’aprì e prese le chiavi della macchina. Trovò anche venti euro nel portafoglio e se li ficcò in tasca. Poi ascoltò per qualche minuto i rumori che provenivano dal piano di sotto, e quando riconobbe il ronzio dell’aspirapolvere che si allontanava scese velocemente le scale, uscì e corse verso la vecchia Panda. Sarebbe arrivata al lungolago, come l’altra volta, e avrebbe abbandonato la macchina. C’era qualcosa che doveva fare prima di prendere contatto con quel numero di cellulare.
Doveva avere alcune conferme. E sapeva dove andare a cercarle.

Quando finalmente arrivò all’altezza del Regina Palace, i passanti avevano cominciato a confondersi davanti ai suoi occhi e si sentiva la bocca arida e asciutta. Probabilmente è l’ansia, disse a se stessa decidendo di proseguire fino all’angolo della banca. Procedette lentamente cercando un parcheggio. Si fermò, scese e s’incamminò velocemente tagliando per il vicolo tra la chiesa e il Grand Hotel et de Milan. Alla fine della stradina girò a sinistra, oltrepassò la farmacia, attraversò la piazza quasi correndo e finalmente, prima dell’ufficio postale, arrivò al ristorante di Cristina. Era incredibile, la sua memoria l’aveva portata fino a lì senza un attimo di esitazione. Intanto stava pregando il destino perché le facesse trovare l’amica, o forse ex amica, nel locale. Salì le scale incespicando, raggiunse la porta e vi si appoggiò contro. Dopo qualche minuto di attesa, si rese conto di non aver suonato. Schiacciò più volte il pulsante del campanello e bussò.
“ Un attimo,” gridò dall’interno una voce di donna, “ arrivo !”
La porta si aprì di pochi centimetri. Una ragazza vestita da cameriera sbirciò fuori. “ Sì ?”
“ C’è Cristina ?” chiese lei con voce trepidante.
“ Siamo ancora chiusi.”
“ Sì, lo so, ma sono una sua amica e devo vederla subito.”
“ Non è ancora arrivata. Lei chi è ?”chiese la ragazza con aria diffidente.
“ Sono Giulia ..”
“ Santo Cielo, mi sembrava lei ! Quasi non l’avevo    riconosciuta !”, esclamò aprendo la porta per lasciarla entrare, “ Cristina arriverà tra poco, era già per strada qualche minuto fa.”
“ Sono uscita di casa in fretta,” si scusò Giulia lisciandosi la maglietta stropicciata. In quel momento si rese conto di non indossare biancheria, di non essersi lavata i denti e di non essersi neanche pettinata.
“ Credo di essere alquanto trasandata.”
“ Prende un caffè ? L’ho appena fatto.”
“ Sì, grazie, molto volentieri.”
Giulia seguì la ragazza all’interno del locale e si sedette su uno sgabello del banco bar. La cameriera era graziosa e piccolina, dimostrava una ventina d’anni, era bionda e aveva i capelli trattenuti ordinatamente all’indietro da un cerchietto di seta. Faceva il possibile per non fissarla, ma era evidente che era rimasta sconcertata dal suo aspetto.
“ Come lo prende ?”
“ Nero, grazie.”
La ragazza le versò una tazza di caffè americano e lo appoggiò sul banco. Giulia lo finì in un fiato e ne chiese ancora.
“ Scusa … posso darti del tu, vero ? Ho una sete terribile. Non mi ricordo il tuo nome ..”
“ Si figuri … mi chiamo Myria, ” rispose la ragazza mentre le riempiva nuovamente la tazza.
Probabilmente, pensò,  non capisce cosa ci faccio qui a quest’ora.
“ Mi scusi,” chiese Myria, “ posso chiederle se è stata poco bene ? O è solo dimagrita ?”
“ Oh, in effetti sono stata ammalata. Sono irriconoscibile, vero ?”
“ Beh, non è che l’abbia mai osservata da vicino, però mi sembrava di ricordarla un po’ diversa ..”
“ Ci sarebbe ancora caffè ?” chiese quasi vergognandosi, e Myria le versò nella tazza quello che era rimasto nella caffettiera.    “ Mi scusi, ” disse poi, “ spero che non si offenda, ma io dovrei finire le pulizie, o farò tardi all’asilo della bambina.”
“ Oh Dio, scusami tu. Non volevo portarti via troppo tempo. Ma ero da queste parti e ho pensato di passare a vedere se c’era Cristina.”
“ Era in giro presto,” commentò Myria controllando l’orologio. Erano le nove e mezzo del mattino.
“ Scusa, avrei bisogno di usare il telefono.” Senza aspettare una risposta, Giulia entrò nella cucina del ristorante e afferrò il ricevitore con gli occhi puntati sui numeri scribacchiati sui post- it gialli incollati al grosso frigorifero. Individuò subito quello che cercava. Il cellulare di Paolo. Myria le era corsa dietro, anche se si mantenne a una distanza di sicurezza. Giulia lesse paura negli occhi della ragazza e avrebbe voluto rassicurarla, ma non aveva tempo da perdere. Compose velocemente il numero dell’uomo con il quale, secondo Cesare, aveva avuto una sordida relazione extraconiugale. Ma l’aveva avuta davvero ?
Paolo rispose al sesto squillo, quando stava quasi per riattaccare. “ Pronto ?”
“ Paolo ?”
“ Sì ?” rispose lui con tono impaziente, come se si aspettasse una grana.
“ Sono Giulia.”
“ Giulia. Oh Dio, scusa, non ti avevo riconosciuta. Ma stai chiamando dal ristorante ? Cosa   succede ? Come mai sei lì ? Ti ho chiamata a casa un sacco di volte ma la tua domestica ….”
“ Paolo,” lo interruppe lei, poi si fermò. Dannazione, decise poi, tanto vale essere diretti.                  “ Paolo, io e te abbiamo avuto una storia ?”
Sentì Myria soffocare un’esclamazione e si immaginò la sua faccia stupefatta.
“ Come ?”
“ E’ una domanda seria. Abbiamo avuto una relazione ? Circa un paio d’anni fa o poco prima ?”
Ci fu qualche secondo di silenzio sulla linea.           “ Giulia, cosa diavolo sta succedendo ? C’è lì   Cristina ? C’è Cristina che ascolta ?”
“ Non c’è nessuno, solo io. Ti prego, ho bisogno di una risposta sincera.”
“ No, non abbiamo mai avuto una relazione.”
Giulia chiuse gli occhi, stringendo il ricevitore tra l’orecchio e la spalla. “ Ma questo non toglie che Cristina ne sia certa,” continuò Paolo, “ e non c’è stato modo di convincerla che era tutta una sua paranoia. Per carità, non dico che non mi sarebbe piaciuto, e sono sicuro che tu lo sappia, ma giuro che fra noi non c’è mai stato assolutamente niente. Ma, Giulia…” disse poi, probabilmente rendendosi conto che lei doveva saperlo benissimo, “ mi sembra una conversazione assurda. E’ successo   qualcosa ?”
“ Paolo, ti ricordi quando ho perso il bambino ?”
“ Come dici ?”
“ Ti prego, rispondimi. Quando sono stata ricoverata per l’aborto ?”
“ A gennaio. Gennaio di quest’anno. Ma va tutto bene ? Cosa ti prende ?”
“ Mi rendo conto che le mie domande ti possono sembrare assurde, ma adesso non ho tempo per spiegarti. Ti prego, credimi se ti dico che non sono impazzita. E se puoi cerca di aiutarmi. Non so cosa succederà nel futuro, ma so per certo che non sono pazza …”
“ Giulia ….”
Lei riattaccò, girandosi verso Myria che la fissava con un’espressione spaventata.
“ Senta,” disse subito la ragazza prima che lei potesse aprire bocca, “ non ci capisco niente e non voglio sapere niente. Ma vorrei che se ne andasse. Torni quando ci sarà Cristina. Per favore.”
Giulia le sorrise: “ Mi dispiace, non volevo metterti in imbarazzo. Ma adesso devo assolutamente parlare con Cristina. L’aspetterò in sala.” E uscì dalla cucina senza aggiungere altro. Sentì Myria chiudersi a chiave in cucina e pensò che probabilmente avrebbe chiamato qualcuno. Lei non aveva molto tempo, ormai Rosa doveva essersi accorta della sua sparizione e sicuramente aveva avvisato Cesare. L’unica sua possibilità era Cristina, perché dopo quello che Cesare le aveva raccontato l’amica la odiava, quindi probabilmente nessuno avrebbe pensato di cercarla lì.
“ Chiariremo questa faccenda,” mormorò, “ e poi chiamerò Sonia Paggi e farò quello che devo.”

Cristina entrò nel ristorante con un’espressione indecifrabile e si fermò davanti a Giulia, seduta ad aspettarla nella sala buia.
“ Giulia …”
“ Ciao. Siediti. Ho bisogno di parlare con te.”
Cristina sbattè la borsa sul tavolo.
“ Per favore,” insistè Giulia, “ ho tante di quelle cose da dirti che non so nemmeno da che parte cominciare.”
“ Non sono sicura che ci sia qualcosa che ho voglia di ascoltare.”
“ Se pensi che io abbia avuto una relazione con Paolo …”
“ Mi stavi aspettando per dirmi che non è vero ? Hai sprecato del tempo, mi ha già chiamata Paolo.”
“ Ti ha chiamata ? Quando ?”
“ Dieci minuti fa sul cellulare. Mi ha detto di aver ricevuto una telefonata molto strana da te, e che gli hai chiesto se voi due avevate avuto una storia. Non sapeva se preoccuparsi per le tue condizioni mentali oppure offendersi perché una donna non ricordava se era stata a letto con lui oppure no. Comunque, gli ho detto che sarebbe meglio per tutti lasciarci alle spalle questa storia squallida e andare avanti come possiamo.”
“ Io e Paolo non abbiamo avuto nessuna relazione.”
“ Già, lo dice anche lui.”
“ Ma tu non gli credi.”
“ Perché dovrei credergli ? O credere a quello che dici tu ?”
“ Scusa, ma allora perché credi a quello che dice Cesare ?” obiettò Giulia.
“ Come ?”
“ Non è stato Cesare a dirti della relazione tra me e tuo marito ?”
“ Non vedo che importanza possa avere da chi l’ho saputo.”
“ Invece è molto importante, perché Cesare ti ha mentito.”
“ E perché avrebbe dovuto farlo ?”
“ L’ha fatto con tutti. Ha mentito a tutti.
“ Ripeto, perché ?”
Giulia sospirò. Le girava la testa e dovette appoggiarsi al tavolo con i gomiti per rimanere dritta.
“ Per separarci. Per allontanarti da me. Per impedirmi di ritrovare la memoria e di ricordare quello che è successo prima che io scomparissi.”
Cristina sbuffò come per sottolineare che l’argomento la stava annoiando, poi però chiese : “ E cosa sarebbe successo prima della tua scomparsa ?”
“ Molte cose orribili. Non ricordo ancora tutto, ma lentamente le immagini stanno tornando. E quello che vedo è talmente spaventoso da farmi capire perché perdere la memoria e dimenticare tutto è stata la mia difesa.”
Guardò Cristina negli occhi. “ Quando ho perso il bambino ?”
“ Come ? E questa da dove esce adesso ? Non ci sto capendo più niente.”
“ Rispondi alla domanda. Esattamente, quando è stato l’aborto ?”
Cristina sospirò e alzò le mani in segno di resa.       “ Hai perso il bambino a gennaio.”
“ Di quest’anno ?”
“ Sì, gennaio scorso.”
“ Cristina, non mentirmi,” la ammonì Giulia, e vide l’amica assumere un’espressione stupefatta.
“ Ma sei impazzita ? Perché dovrei mentire su una cosa del genere ?”
“ Quindi, io ho perso il bambino a gennaio di quest’anno.”
“ Credevo che Cesare te l’avesse già detto.”
“ Si, me l’ha detto.”
“ E tu non gli hai creduto.”
“ Tu non hai creduto a Paolo.”
“ Beh, le cose sono un po’ diverse, non ti pare ?”
“ E come l’ho perso ?”
“ Un incidente. Sei caduta dalla scalinata dell’atrio.”
“ Cesare ha detto che ho perso il bambino più di un anno fa.”
“ Cosa ? Giulia, sei assurda. Perché mai Cesare avrebbe dovuto raccontarti una fesseria simile ?”
“ Ha detto che non è stato un incidente. Ha detto che mi sono buttata giù dalle scale per uccidere il bambino.”
“ Giulia, quello che stai dicendo è pazzesco.”
“ Io non ho ucciso il mio bambino, vero ?”
“ No, certo che no. È stato un incidente.”
“ Io invece credo che sia stato Cesare. Anzi, lo so.”
Cristina si alzò. Nei suoi occhi c’era un’espressione che non le aveva mai visto prima, come quella di Myria dopo la telefonata a Paolo. Era paura, capì Giulia, e si obbligò ad alzarsi per impedire a Cristina di andarsene.
“ Tu lo sapevi, vero ?”
“ Sei pazza.”
“ No, non sono io la pazza. Tu lo sapevi, in qualche modo l’avevi capito, e non hai fatto niente per aiutarmi. Sei rimasta a guardare e hai protetto Cesare. Perché ?”
“ Io non ho protetto nessuno. Credo che sia lui a proteggere te. L’ha sempre fatto.”
“ E come ? Mentendomi ? Dicendomi che ho ucciso il mio bambino ? Che sono io la responsabile ?  Dio Santo, Cristina, ascoltami ! Pensi che stia inventando tutta questa storia ?”
“ Penso che in questo momento tu sia molto confusa. Credo che tu stia confondendo i sogni con la realtà ..”
“ Sogni ? Confusa ?”
“ Penso che tu sia veramente convinta di quello che stai dicendo, ma …”
“ Sogni ? E’ così che li ha chiamati Cesare ?    Sogni ?”
“ Giulia, cerca di calmarti ..”
“ Cesare ti ha detto che ho gli incubi e le allucinazioni, non è vero ?”
“ Ascolta..”
Non è vero ?” L’espressione di Cristina era inequivocabile. Giulia non aveva più bisogno di una risposta verbale.
Rimase in piedi a guardare l’amica, incredula.  “ E’ stato proprio molto bravo. Non ha trascurato nessun dettaglio. Vi ha fatto credere che sono impazzita, che ho perso la testa dopo la perdita del bambino, che sembravo normale ma che in casa mi comportavo come una matta scatenata. E io non posso difendermi, perché sono talmente piena di medicine che non riesco a parlare, ad alzarmi dal letto, a lavarmi da sola ! Quando parlo biascico, e quando non parlo sbavo e penso a come ammazzarmi ! Ma non capisci ? Vi ha mentito, ha mentito a tutti ! A te ha detto che sono andata a letto con tuo marito, a me ha detto che mi sono provocata l’aborto per gelosia. Era tutto studiato, tutto preparato ! Così, se mai avessi ricominciato a connettere, bastava raccontare a tutti che avevo gli incubi, le allucinazioni ! La povera Giulia crede di avere causato la morte del bambino ! La povera Giulia si è buttata dalla scala per gelosia ! Altro che allucinazioni, la povera Giulia è proprio delirante ! E’ stato davvero bravo. Chi potrebbe non essere d’accordo sul ricovero della povera Giulia ? Mettiamola in un ospedale per curarla. Così, se la memoria fosse tornata tutto quello che avrei detto sarebbero state allucinazioni !”
Gli occhi di Cristina erano pieni di lacrime. “ Ma perché, Giulia ? Perché Cesare ti avrebbe fatto questo ?”
“ Perché stava succedendo qualcosa che non devo ricordare. Non so cosa. Non me lo ricordo ! Ma sono sicura che c’è qualcosa che lui non vuole farmi tornare in mente.”
“ Ma cosa ?”
“ Non lo so. Dimmelo tu.”
Cristina allargò le braccia. “ Giulia, non lo so. Non lo so davvero… c’è solo una cosa…”
Fece una lunga pausa mentre Giulia la guardava con espressione trepidante. “ Quando sei scomparsa .. quella mattina, quando Cesare ci ha telefonato e poi abbiamo chiamato la polizia…”
“ Cosa ? Cos’è successo ?”
“ Sono salita nel tuo studio. Cercavo la tua agenda, qualsiasi cosa che mi aiutasse a capire dove potessi essere. Ho trovato queste.” Cristina aprì la borsa ed estrasse un pacchetto di lettere e carte ripiegate.      “ Non l’ho detto a nessuno. Neanche a Cesare. Le ho infilate nella borsa con l’intenzione di parlarne con te. Ma quando sei tornata a casa non ricordavi più nulla, allora … insomma, non c’è più stata l’occasione…” Giulia le strappò i fogli dalle mani e guardò la carta intestata. Avvocato Martina Clerici. Clerici. Martina Clerici. Si sentì invadere da un senso di stordimento. I ricordi cominciarono a srotolarsi come i fotogrammi di un film, e lei stava assistendo alla proiezione sola, come se fosse stata seduta nel posto d’onore in un cinema vuoto.

Avrebbe avuto bisogno di soldi. Doveva andare in banca. Lei e Cesare avevano un conto corrente in comune, e c’erano depositati circa trentamila euro. Il conto era a firme disgiunte, perciò avrebbe potuto prelevare anche tutto. L’unico contatto che avrebbe avuto d’ora in poi con Cesare sarebbe stato con l’intermediazione dei rispettivi legali.
La filiale di Stresa della Banca Popolare di Intra era piccola, e lei si recava lì spesso, tanto da chiamare tutti i cassieri per nome. Si avvicinò all’unica cassa libera, dove Lara stava lavorando al terminale.
“ Buongiorno, signora Marini. Cosa posso fare per lei ?”
“ Devo chiudere il conto,” rispose estraendo dalla borsa il libretto degli assegni.
“ Vuole trasferire l’importo su uno degli altri   conti ?”
“ No. Voglio prelevare tutto in contanti.”
La cassiera controllò il terminale. “ Ci sono circa trentamila euro.”
“ Sì, lo so. Li ritiro tutti.”
“ Signora Marini,” intervenne Mariapia Giordano, la direttrice della filiale, “ vuole accomodarsi nel mio ufficio ? Posso offrirle un caffè ?”
“ No, grazie. Ho molta fretta. Potremmo sbrigarci, per favore ?”
“ Se c’è qualche problema con la gestione del suo conto …” continuò la direttrice.
Chissà perché le donne pensano sempre di avere sbagliato, si chiese Giulia un po’ irritata.
“ Non c’è nessun problema. Ho solo un’emergenza imprevista. Appena potrò li rimetterò sul conto.”
La direttrice sembrò soddisfatta dalla spiegazione di Giulia. “ Quindi non è necessario chiuderlo ? Anche perché ci vorrebbe la firma di suo marito. Vediamo ….. il saldo è di trentamilacento euro e qualche spicciolo. Per tenerlo aperto deve lasciare qualcosa.”
“ Cento euro e qualche spicciolo bastano ?”
“ Certo.”
“ Va bene, allora prelevo trentamila euro.”
“ In contanti ?”
“ Sì.”
Giulia aspettò che Lara tornasse dal caveau con le banconote. Erano quasi tutti tagli da cinquecento euro. Li infilò nella tasca della giacca e uscì dalla banca.
Sapeva di non poter parlare con nessuno. Emanuela e Sonia erano state molto chiare. Era troppo pericoloso. E poi, non avrebbe mai avuto abbastanza tempo per spiegare a qualcuno che cos’era stata la sua vita negli ultimi sette anni. Forse, non le avrebbero neanche creduto. Tornata a casa, lasciò cadere la borsa nell’atrio e salì le scale per andare in camera da letto. Come aveva potuto dividere quella stanza e quel letto per tutti quegli anni con un mostro come Cesare ? Si guardò nello specchio. Aveva un’aria triste. Rassegnata. Ma anche determinata. Quando aveva capito, era stata pronta e aveva afferrato l’opportunità di salvarsi la vita.
Aprì l’anta del guardaroba ed estrasse una valigia. Avrebbe portato con sé poche cose, solo i suoi vecchi vestiti, quelli che Cesare detestava e che lei era obbligata a tenere nella camera degli ospiti. Lo zainetto di tela con tutti i documenti era già pronto, ben nascosto per precauzione, anche se Cesare era partito per Roma. Al suo ritorno, lei sarebbe già stata molto lontana. I soldi li avrebbe tenuti nella tasca della giacca. La prudenza, le aveva detto Sonia, non era mai troppa. Avrebbe ricominciato da capo, chiuso il capitolo drammatico del suo matrimonio, iniziato una nuova vita.

Tornò alla realtà con fatica. Cristina la stava guardando con espressione sgomenta.
“ Quando ti ha raccontato di Paolo ?”
“ Un paio di settimane dopo il tuo ritorno. Mi ha fatto promettere che non ti avrei detto niente fino a quando non fossi stata bene. E poi sappiamo cos’è successo.”
Giulia sospirò profondamente. 
“ Cristina, ti prego, giurami di non dire a Cesare che sono stata qui.”
“ Va bene. Ma non posso fare altro.”
Lei sentì che Cristina era sincera. Sarebbe stata zitta. “ Va bene,”  le disse, “ ma ho bisogno che mi presti la macchina.”
“ La mia macchina ?”
“ Sì, dammi le chiavi della macchina.”
“ Giulia, non essere assurda. Non posso prestarti la mia macchina.”
Giulia vide gli occhi di Cristina fissare un punto dietro di lei. Poi la vide irrigidirsi e sentì qualcuno muoversi.
“ Ha bisogno ?” chiese Myria dalla porta della cucina.
Giulia pensò che parlasse con lei, e solo quando si voltò si rese conto che dalla porta del ristorante era entrata Rosa.
“ Signora Giulia, torni subito a casa con me,” le ordinò la donna.
“ Immagino che mio marito stia arrivando,” disse Giulia in tono sprezzante, “ l’ha sicuramente già avvisato.”
“ No, non l’ho chiamato. Torni a casa con me prima che succeda un disastro.”
Allora ce la posso ancora fare, pensò Giulia, ho ancora tempo. Si infilò dietro il banco del bar alla ricerca di qualcosa da usare come arma per farsi strada e uscire dal locale. Afferrò una forbice e la brandì. Cristina urlò, mentre Rosa indietreggiava terrorizzata.
E in quel momento, Giulia ricordò esattamente chi era e cos’era successo il giorno in cui era scomparsa.

Era l’alba di una bellissima mattina di maggio. Giulia passeggiò a lungo nel giardino della villa, la mente e i pensieri lontani, consapevole solo del fatto che aveva preso la sua decisione. E non era possibile tornare indietro. Arrivata nel roseto, si accorse di non essere sola. Cesare la stava aspettando, gli occhi fissi su di lei, le mani appoggiate sui fianchi, un sorriso maligno sul volto.
“ Bene … una bella giornata soleggiata, fresca, …. e dove penseresti di andare ?”
Lei si irrigidì immediatamente. Era impallidita violentemente. “ Cosa fai qui ? Non eri partito per Roma ?” chiese con voce esitante.
“ Mi è piaciuto fartelo credere. A te e a quella puttana del tuo avvocato. Giulia, Giulia….non avrai pensato di essere più furba di me ?” rispose lui in tono sarcastico.
“ Non puoi fermarmi. Voglio divorziare, e voglio andare via da qui,” continuò lei sentendo il cuore battere all’impazzata.
Gli angoli della bocca di Cesare si piegarono all’ingiù e lui si mosse molto più rapidamente di quanto Giulia potesse aspettarsi, colpendola al petto con tutta la forza del pugno e scaraventandola in mezzo ai cespugli. “ Giulia,” le disse piano mentre lei boccheggiava per il dolore, “ adesso ti spiegherò qualcosa per l’ultima volta. Non andrai in nessun posto, e ti comporterai con il rispetto che mi devi. Sono tuo marito, e non ti permetterò mai di dimenticarlo.” Giulia si agitò mentre le spine le strappavano il vestito e le graffiavano la pelle. Prima che riuscisse a rimettersi in piedi, lui le arrivò addosso e l’afferrò con entrambe le mani, tirandola via dai cespugli e scaraventandola sulla ghiaia del sentiero. La mano di Giulia si strinse intorno alle forbici del giardiniere. Un attimo prima che lui le si gettasse sopra lo colpì con violenza . Le lame squarciarono la camicia e la carne di Cesare dalla spalla sinistra al fianco opposto, e mentre lui urlava di dolore Giulia vide una macchia scura allargarsi all’altezza del petto. Lui indietreggiò istintivamente, con un’espressione sconvolta e sgomenta, mentre si toccava la ferita imbrattandosi le mani di sangue. Quella vista lo fece impazzire di rabbia. Giulia era terrorizzata. Si rimise a sedere agitando selvaggiamente le forbici. Cesare rise con una luce di follia negli occhi. La spinse all’indietro e le afferrò i polsi, stringendo talmente forte da farle temere che le ossa si stessero sbriciolando, obbligandola a lasciar cadere la sua arma.
Giulia si riempì d’aria i polmoni e urlò, sperando che qualcuno la sentisse, ma i pugni di Cesare la ridussero al silenzio in pochi istanti. Poi le immobilizzò le braccia mentre lei scalciava e dimenava le gambe. Altri violenti colpi al petto, allo stomaco e sulle gambe la resero inerte. Si limitò a gemere mentre lui si slacciava i pantaloni. “ Allora, non sei ancora domata ? Non importa, ho voglia di cavalcarti lo stesso,” le sussurrò all’orecchio.  Le sollevò la gonna e le sfilò piano le mutandine, guardandola negli occhi con cattiveria. Poi la costrinse ad aprire le gambe, infilandole le dita nella carne delle cosce fino a farla urlare di dolore. La penetrò con una brutalità che Giulia non avrebbe immaginato possibile. Tenendole strettamente i polsi sopra la testa con una mano, la violentò ripetutamente grugnendo e imprecando, mentre la ghiaia del sentiero la graffiava ovunque. Tutto sembrò durare un’eternità, un tempo infinito così umiliante e doloroso che Giulia cercò di estraniarsi dall’orrore di quello che le stava accadendo, cercando di fuggire da quella furia che rasentava la follia. Non sono qui, pensò, non sono io, non sta succedendo a me…
Cesare era talmente eccitato che non passò molto tempo prima che urlasse di piacere e di trionfo. Si staccò da lei bruscamente lasciandola a terra, le cosce e la pancia bagnate di sperma e il volto inondato di lacrime.
“ Ecco fatto. E non dimenticare che stasera voglio portarti a cena al Vecchio Tram. Fatti bella. Tornerò in tempo per un aperitivo con te.”  Giulia gli sputò addosso, mancando il bersaglio. Lui le rise nuovamente in faccia, poi si girò e si allontanò, una mano stretta alla ferita sul petto.
Dopo un tempo che le parve infinito, Giulia rotolò piano su un fianco e rimase ferma così a tremare.
La vergogna, il dolore e l’umiliazione erano talmente opprimenti da essere insopportabili. In qualche modo riuscì a rialzarsi e a costringere le sue gambe a camminare verso la villa, i vestiti strappati e insanguinati stretti al petto.
Rosa le fece il bagno e le spalmò la pomata sui lividi in silenzio, il volto serio striato di lacrime. Giulia non disse una parola. Poi la donna l’avvolse in un asciugamano, l’abbracciò e la tenne stretta mentre lei tremava così violentemente da temere che il suo corpo dolorante si sarebbe spezzato in due.

In silenzio, Giulia si vestì con cura. Sopra il reggiseno indossò la camicia sporca di sangue e la giacca di pelle. Si truccò e si pettinò. Poi scese in cucina e si sedette sul portico a bere un caffè.  Quando ebbe finito, posò ordinatamente la tazza sporca nel lavandino e uscì di casa. Rosa la seguì fino al cancello torcendosi le mani per la preoccupazione. “ Signora Giulia, dove sta andando ?”
Lei si voltò e guardò la donna con gli occhi spenti. “ Devo andare in farmacia.”
Si lasciò la casa alle spalle e cominciò a scendere a piedi verso il paese.
Era proprio una bella giornata. Sarebbe stato un peccato rimanere in casa.

Non si rese conto di aver seguito le immagini raccontandole, permettendo così a Cristina e a Rosa di partecipare alla ricostruzione di quel mattino.
Giulia abbassò le forbici che teneva in mano, le appoggiò sul banco del bar, mentre Rosa si lasciava cadere su una sedia e Cristina la guardava con gli occhi spalancati dall’incredulità.  “ Mio Dio ..” mormorò Cristina dopo qualche minuto di silenzio.
Giulia non disse nulla, inebetita dai ricordi emersi dal passato. La persona che era stata, tutto ciò che aveva fatto, le persone che aveva conosciuto, improvvisamente erano presenti e reali nella sua memoria. C’era tutto, la sua vita precedente, il lavoro, la laurea, Tiziana e Luca. Gli altri amici dell’università e i colleghi della casa editrice. Il suo primo libro. Le esperienze vissute. La sera in cui aveva conosciuto Cesare e il loro matrimonio. Il viaggio di nozze. Gli anni passati insieme. Gli anni passati con un uomo che la picchiava dicendo di amarla. I pugni nell’addome. La gravidanza, l’aborto. E poi l’ospedale, Emanuela che l’accompagnava da Martina Clerici, l’incontro con Sonia, la consapevolezza, la decisione di andarsene, la casa protetta di Arona. E quell’ultimo, drammatico scontro con Cesare.

Senza che lei se ne rendesse conto davvero, furono sette anni d’inferno. Per molto tempo visse in uno stordimento così profondo che a volte era certa non stesse accadendo veramente. Soprattutto quando Cesare la picchiava così ferocemente da costringerla a letto per giorni. Non succedeva molto spesso, non più di due o tre volte all’anno. Emanuela aveva cercato di convincerla a denunciarlo e ad andarsene decine di volte, ma Giulia aveva troppa paura. Paura di lui, e paura di vivere senza di lui.
A volte, di notte, sognava i pugni di suo marito, e si risvegliava di soprassalto tremando, sdraiata accanto a lui, sperando di non averlo disturbato con i suoi movimenti. L’idea che prima o poi la colpisse troppo forte o nel punto sbagliato non l’aveva mai sfiorata.
Fino al gennaio di quell’anno, il mese del tragico “incidente”. Fu precisamente quello il momento in cui la collera e il dolore svegliarono il suo istinto di sopravvivenza. La collera, il dolore ed Emanuela.

Si rese conto all’improvviso che nulla era andato come doveva. Cesare c’era ancora, ed era un pericolo incombente. Le girava la testa, per i farmaci che aveva ancora in circolo o per lo shock dei ricordi che l’avevano travolta con la forza di una valanga. Si appoggiò al banco del bar ignorando Rosa ancora impietrita sulla sedia e si rivolse a Cristina. “ Ho bisogno che mi accompagni ad Arona,” le disse.
Cristina scosse la testa. “ No. Non lo posso fare.”
“ Non mi credi, neanche adesso ?”
“ Non so più a cosa credere.”
“ Cristina… siamo amiche da anni .. anzi, la mia più cara amica da quando ci siamo conosciute…. non pensavo di dover convincere proprio te.”
“ Anch’io pensavo che fossimo amiche.”
“ E allora perché continui a credere a Cesare ?”
“ Sinceramente ? Non posso credere che tu non mi abbia mai parlato di come ti trattava e di quello che ti faceva, dal momento che pensavi a me come alla tua più cara amica. Quindi, mi è davvero difficile convincermi che quello che racconti sia vero.”
“ Non credi che mi abbia picchiata per anni ? E che mi abbia preso a pugni nella pancia quando ero incinta ?”
“ No. Non ci credo. E’ impossibile.”
“ Quindi pensi anche che io sia pazza.”
“ Credo di sì. E l’ultima conferma di questo è la tua perdita d’identità. Normalmente alle persone sane di mente non succede.”
Giulia sorrise tristemente. “ Capisco. Sei stata chiarissima. E non credo neanche di poterti dare torto. Però, adesso mi ricordo chi sono, so cos’è successo e so quello che devo fare. Non voglio coinvolgerti, ti sto solo chiedendo un passaggio in macchina, perché non penso di riuscire ad arrivarci da sola.”
Cristina scosse ancora la testa.
“ Ti supplico,” insistè Giulia.
“ No. Non posso.”
Giulia si sentì assalire dalle vertigini, e si concentrò per non svenire. “ Va bene. Allora prestami la macchina.”
“ Come sei arrivata qui ?”
“ Con la macchina di Rosa.”
“ E cosa ne hai fatto ?” chiese Cristina, mentre Rosa era sempre muta, lo sguardo vuoto, traumatizzata dal racconto di Giulia.
“ L’ho lasciata sul lungolago. Per favore, non ti sto chiedendo molto.”
“ Se tutto quello che racconti è vero,” insistè Cristina, “ perché non chiami la polizia ? Se stai dicendo la verità dovresti farti aiutare da loro.”
“ Lo farò… ma dopo che sarò arrivata ad Arona. Se li chiamassi adesso, loro interrogherebbero subito Cesare. E se tu credi ancora a lui, quanto pensi che ci metterà a convincere la polizia ?  Mi tratterrebbero per ore, e lui avrebbe il tempo di organizzarsi. Non posso correre questo rischio, metterei a repentaglio anche la sicurezza delle persone che mi hanno aiutata. Ti prego, Cristina. Dammi la macchina.”
“ Prenda la mia,” intervenne una voce alle sue spalle. Giulia si voltò e vide Myria che le tendeva le chiavi. “ E’ una Smart rossa, parcheggiata davanti alla posta.”
“ Grazie … grazie mille.”
“ Io le credo. Non posso aiutarla, ma credo a tutto quello che ha raccontato. I miei genitori mi hanno sempre detto che l’avvocato Panti è un delinquente. Lo sanno tutti che malmenava la ragazza che aveva prima.”
“ Stai fuori da questa storia,” le ordinò Cristina.
“ Dovrebbe vergognarsi,” le rispose la ragazza, “ lei è proprio meschina. Bell’amica. Ha ragione suo marito quando dice che non la sopporta più. E non si disturbi a darmi il benservito, me ne vado da sola.” Diede le chiavi della macchina a Giulia e girò i tacchi per prendere le sue cose.
Giulia prese le chiavi e uscì correndo dal ristorante. Non sentì il pianto di Rosa e le sue parole sommesse: “ … E’ tutto vero… è tutto vero …. che Dio mi perdoni … ”

 Trovò subito la Smart e mise in moto. Cristina chiamerà subito Cesare, pensò, ma a me bastano venti minuti per arrivare ad Arona. Schiacciò il pedale dell’acceleratore e controllò il livello del serbatoio. Era quasi pieno, non avrebbe avuto problemi. L’unica preoccupazione che le rimaneva era che Cristina chiamasse anche la polizia e denunciasse il furto della macchina. Ma probabilmente Myria avrebbe negato la cosa. Se però l’avessero fermata ? Li avrebbe convinti a chiamare l’avvocato Clerici o Sonia Paggi. Sì, ce la poteva fare. Aveva voglia di ridere, ma subito dopo le si riempirono gli occhi di lacrime. No, non doveva piangere. Lo aveva fatto per troppo tempo, adesso doveva pensare a cose più importanti. Però era molto stanca, e aveva paura di un colpo di sonno al volante. “ No, maledizione,” disse ad alta voce, “ devo rimanere sveglia.” Accese la radio e girò tra le stazioni fino a quando non trovò un brano heavy metal, di quelli che martellano il sistema nervoso e fanno tremare i finestrini. Con quel baccano nelle orecchie non era possibile addormentarsi. Alzò il volume. Fai che vada tutto bene, pregò, sono solo pochi chilometri. Sono senza patente. Fai che vada tutto bene, Dio. Sapeva esattamente dove stava andando, non aveva neanche più bisogno di contattare Sonia Paggi a quel cellulare. Stava raggiungendo il posto in cui sarebbe dovuta andare il mattino in cui era scomparsa. La casa protetta. Dove Cesare non avrebbe potuto mai trovarla. Ricordava perfettamente tutte le istruzioni che le avevano dato. Quando vide il cartello stradale che indicava la cittadina di Arona tirò un sospiro di sollievo. Solo allora permise alla collera di esplodere, le serviva per rimanere sveglia e attenta. Davvero Cesare aveva pensato di riuscire a convincere tutti, compresa lei, che era pazza e che per il suo bene era meglio rinchiuderla in un ospedale ? Oppure aveva previsto e sperato che lei si togliesse la vita, liberandolo da ogni problema senza fatica ? L’aveva mai amata davvero ?
Francamente, era sicura di sì. Ed era anche convinta che lui l’amasse ancora. Solo, il suo era un amore insano, malato, patologico. Adesso doveva concentrarsi. Era entrata in città e cominciò a recitare mentalmente le indicazioni stradali che le avevano fatto imparare a memoria. Non doveva distrarsi. Ma, si chiese, cosa aveva pensato Cesare quando lei era scomparsa ? Dove aveva pensato che fosse andata ? E quando era passata tutta la giornata e tutta una notte senza che lei si facesse viva, che cosa aveva immaginato ? Che la paura di lui e l’aggressione che gli aveva provocato quella ferita sul petto l’avessero spinta a nascondersi ? Oppure pensava che sarebbe tornata, magari dopo aver capito che non poteva vivere senza di lui ? Era così mostruosamente egocentrico ? E quando la polizia lo aveva avvisato che era stata ritrovata sana e salva al San Raffaele, quali pensieri gli avevano attraversato la mente ? E quando gli avevano detto che lei non ricordava nulla, neanche il suo nome, era stato quello il momento in cui aveva ideato il suo piano diabolico ? Raccontare a tutti che lei era in viaggio, allontanare Cristina con una sporca menzogna, sostituirle la medicina per trasformarla in un vegetale, approfittare della tragedia del bambino per caricarla di un senso di colpa insostenibile. Per Cesare era stato tutto molto semplice. Poi, gli sarebbe bastato aspettare e lasciare che lei si distruggesse da sola.
E per quanto tempo avrebbe potuto sostenere la parte ? Quanto tempo sarebbe passato prima che Luca o Emanuela si fossero insospettiti al punto da voler indagare a fondo ? No, si stava illudendo. A quel punto lei sarebbe già stata ricoverata in qualche istituto privato, troppo imbottita di psicofarmaci per riconoscere qualcuno. Era arrivata nel centro di Arona. Adesso doveva stare molto attenta per non perdersi nei vicoli della cittadina vecchia. Si stropicciò gli occhi per tenerli aperti, mentre ricominciava a pensare alla malvagità di Cesare. Cosa sarebbe successo se lei avesse ritrovato subito la memoria ? Conosceva già la risposta. Sarebbe stata solo la sua parola contro quella di lui, la parola di una donna che aveva dimenticato la propria identità contro quella di un professionista stimato e conosciuto. Aveva cercato di essere una buona moglie, ma niente era stato abbastanza perfetto per l’anima nera di Cesare.

Parcheggiò la macchina nella piazza del mercato e pensò che avrebbe dovuto trovare un modo sicuro per permettere a Myria di recuperarla. La chiuse e si guardò intorno. Era stanchissima, e si chiese per quanto tempo ancora sarebbe riuscita a reggersi in piedi. Ora doveva cominciare a seguire il percorso ben impresso nella sua memoria, sperando solo di non dover camminare per troppo tempo. E di non sentirsi male in mezzo alla strada. Prese la prima via a destra e la percorse tutta, osservando i negozietti di alimentari, la rosticceria con i polli in vetrina che giravano sullo spiedo, il fiorista e la cartoleria. Era tutto esattamente nell’ordine in cui doveva essere. Proseguì fino ad una piccola chiesa e svoltò a sinistra. Dopo un’altra ora di vicoli, stradine, negozi e indicazioni, arrivò davanti a una villetta color giallo ocra, con le veneziane alle finestre e i balconi traboccanti di gerani, disordinati e multicolori. La facciata era un po’ trascurata, con gli infissi e le persiane da ridipingere, ma dall’interno si sentiva arrivare una musica allegra, un ritmo latino americano, e alcune risate femminili. Non c’era nessuna insegna né alcun tipo di indicazione, solo il numero civico disegnato a tempera su una piastrella di ceramica. Entrò da un cancelletto cigolante e percorse lentamente un vialetto lastricato in pietra. Quando arrivò alla porta d’ingresso, vide che il pulsante del campanello era stato ricoperto con vari strati di nastro isolante, e che il buco della serratura era stata piombato. Di fianco alla porta c’era una fessura, che probabilmente serviva per introdurre una tessera. Sotto il citofono, un piccolo cartello scritto a mano diceva di suonare e attendere. Giulia premette il pulsante. Mentre raggiungeva la casa, aveva pensato a cosa avrebbe detto una volta arrivata, come si sarebbe presentata, ma ora che si trovava lì era come se il suo cervello si fosse svuotato. Attese qualche secondo. Stava per suonare ancora quando una voce femminile rispose.
“ Posso aiutarla ?”
Al suono di quella voce, Giulia cominciò a piangere.
“ Signora, si sente male ? Ha bisogno d’aiuto ?”
Lei si asciugò le lacrime con il dorso della mano.     “ Sì, la prego, la prego, aiutatemi…. Sono Giulia, Giulia Marini ….  mi manda Sonia Paggi ….  la prego, mi aiuti …” 
“ Alzi il viso verso la telecamera,” ordinò la voce.
Giulia alzò gli occhi stupita e vide un occhio nero che la fissava.
“ Va bene,” continuò la voce, “ ora la faccio entrare.”
“ Grazie,” rispose Giulia, e ricominciò a piangere. Di gioia.
Mentre quel pomeriggio Cesare sembrava essere impazzito di rabbia e metteva a soqquadro lo studio della moglie alla ricerca di un qualsiasi indizio su dove si fosse nascosta, sua moglie venne accompagnata a conoscere Sara Krauss. Ora Giulia era calma, anche se le sembrava di muoversi in un sogno. L’accolsero e la fecero sedere in cucina, dove la rifocillarono con un’enorme porzione di torta fatta in casa e tazze di tè. Poi le misero a disposizione una piccola camera da letto per riposarsi, e Giulia dormì per ore come un sasso. Finalmente, si sentiva al sicuro. Nel tardo pomeriggio una mano gentile la svegliò e la riaccompagnò in cucina, dove un gruppo di donne era riunito intorno al tavolo, mangiando, chiacchierando e ridendo. Prima di portarla nell’ufficio di Sara, le offrirono ancora torta e caffè. Le altre donne la osservarono, ma nessuna la fece sentire a disagio. Lei colse i loro nomi, Barbara, Claudia, Monica, Ambra, e pensò che, come lei, anche loro erano fuggite da un qualche inferno. Erano sorelle, compagne, amiche. Mentre mangiavano e parlavano, una di loro accese lo stereo e fece partire un cd di musica classica. Giulia si sentì immersa in un’atmosfera magica, e non le sembrò vero essere seduta lì, senza che nessuno la trattasse come se fosse pazza, senza dover spiegare nulla, senza doversi difendere da niente. Cercò di dare una mano a sparecchiare, ma non le permisero di lavorare.
“ Vieni con me,” le disse la ragazza con un brutto taglio sulla guancia che si era presentata come Ambra. La cicatrice le partiva da sotto l’occhio destro e la sfigurava fino al labbro. “ Sara ti vuole parlare.”
“ Chi è Sara ?”
“ Sara Krauss,” rispose Ambra accompagnandola per un lungo corridoio, “ è il capo. È una donna meravigliosa, vedrai.”
“ E Sonia ? Sonia Paggi ?” chiese Giulia.
“ Sonia è l’altro capo. E anche lei è fantastica.” Aprì una porta di legno e con un sorriso le fece segno di entrare.
L’ufficio di Sara era molto luminoso e dominato da una scrivania enorme, sepolta sotto centinaia di fogli di carta, portapenne, fotografie, statuine etniche, libri e oggetti vari. La donna seduta dietro a quella scrivania dimostrava circa sessant’anni, era rotonda e in carne, ma assolutamente una bella signora. I capelli erano bianchi, accuratamente acconciati in un morbido chignon, e le sorridevano anche gli occhi, incredibilmente azzurri.
“ Ciao, Giulia,” la salutò la donna, “ accomodati, prego. Io sono Sara, come ti avranno già detto.”
Giulia le si sedette davanti.
“ Sono molto felice di vederti. Eravamo tutti molto in pena per te,” continuò Sara.
“ In pena ? Per me ?”
“ Certo, cara. Ti aspettavamo tre mesi fa. Ho seguito la vicenda per quanto ho potuto, ma capisci che non ci possiamo esporre in alcun modo per non mettere a rischio la casa e le donne che ospitiamo. Quando Sonia, grazie a Dio, ti ha incontrata a Milano, abbiamo capito che era successo qualcosa di molto grave. E contro ogni regola abbiamo richiamato Emanuela dal Sudafrica. Dovrebbe rientrare tra un paio di giorni.”
“ Emanuela ? Sta rientrando ?”
“ Sì. Eravamo davvero molto preoccupati per la tua sicurezza. Emanuela era l’unica che poteva presentarsi a casa tua senza destare sospetti, ma grazie al cielo non è più necessario. Ora sei qui, sana e salva. Sei al sicuro.”
Giulia ricominciò a piangere. Sara si alzò, girò intorno alla scrivania e l’abbracciò forte.                       “ Non piangere più. E’ finita … sei al sicuro. Nessuno ti farà più del male.” Giulia alzò il viso verso quegli occhi azzurri. “ Posso chiederti qualcosa ?” le domandò.
“ Certo. Tutto quello che vuoi.”
“ Cosa succederà adesso ?”
“ Beh… per prima cosa ti faremo visitare dai nostri medici e faremo il possibile per rimetterti in buona salute. Normalmente, ti offrirei di fermarti qui per tutto il tempo che ritieni necessario, ma nel tuo caso non è possibile. Come avevamo già deciso la prima volta, devi allontanarti da qui, è troppo pericoloso per te rimanere in zona. Quindi, ci atterremo al programma originale. Tra due o tre settimane partirai per il Sudafrica, come avevi chiesto. C’è una casa famiglia nella quale ti sistemerai. Nel frattempo il nostro avvocato, Martina Clerici, prenderà contatto con il legale di tuo marito per avere un’idea della sua posizione. Ma di questo parleremo un’altra volta. Se c’è qualcuno che vuoi contattare, abbiamo canali sicuri per farlo, ma non potrà sapere dove ti trovi e non potrete incontrarvi.”
“ Sì, vorrei che qualcuno spiegasse tutto quello che è successo al mio amico Luca Fossati. Il mio editore,” chiese Giulia.
“ Sì, se ne occuperà Sonia. Ora, ci sono due cose importanti che devi ascoltare con estrema attenzione.”
“ Ti ascolto.”
“ Finchè sarai qui, ci aspettiamo che tu segua alcune regole. Sono poche e molto semplici, e servono a proteggere la casa, le donne come te, le donne che verranno dopo di te e il nostro lavoro. Capisci quanto è importante ?”
“ Sì, assolutamente.”
Sara annuì. “ Bene. La seconda cosa è questa: tu sei una donna libera. Libera dalle sofferenze, libera da chi ti ha fatto del male, libera di vivere la tua vita.” La donna le tese una mano per aiutarla ad alzarsi dalla sedia e la baciò sulla fronte. “ Ben arrivata a casa, Giulia.”

Due giorni dopo, Giulia stava preparando gli spaghetti per tutte le ragazze quando la porta della cucina si spalancò ed entrarono due donne. Una di loro lanciò un urlo spaventoso e le buttò le braccia al collo. Era Emanuela. La strinse così forte che Giulia sentì scricchiolare le ossa. Quando riuscì a districarsi dall’abbraccio affettuoso della donna, Sonia le si avvicinò e le prese una mano.  “ Felice di rivederti, Giulia.”

“ Hai ancora paura di lui ?” le chiese Emanuela.
Giulia era distratta. Smise di vagare con la mente e tornò al presente. Non capì subito di cosa stesse parlando l’amica. “ Di Cesare….   hai ancora paura che ti trovi ? So che la prima settimana che hai passato qui eri terrorizzata dall’idea di essere braccata. Che ti trovasse. Adesso come ti senti ?”
Giulia riflettè attentamente sulla domanda. In realtà, paura non era la parola che esprimeva meglio i suoi sentimenti nei confronti di Cesare. E forse neanche terrore bastava a descriverli, perché le sue emozioni erano alterate da altre emozioni ancora, come la vergogna per aver vissuto sette anni subendo la violenza dell’uomo che amava, la nostalgia per pochi effetti personali che aveva lasciato a casa, come i suoi libri, la sensazione di incredibile euforia che le dava l’essere libera e circondata da persone amiche, l’ansia per il futuro e nello stesso tempo l’eccitazione del domani che lei sola avrebbe creato. E poi, il sollievo. Un sollievo indescrivibile, come se fosse arrivata correndo sull’orlo di un precipizio e prima di precipitare nel vuoto si fosse tirata indietro. Tuttavia, non c’erano dubbi che la chiave di tutto fosse la paura. Durante la prima settimana nella casa protetta aveva fatto sempre lo stesso sogno: la Mercedes di Cesare che le tagliava la strada e frenava lasciando tracce di copertone bruciato sul vialetto, e Cesare che le sorrideva con i denti sporchi di sangue.
“ Giulia ? ” la richiamò Emanuela, “ ci sei ?”
“ Sì, scusa,”  rispose lei, con l’immagine dei denti insanguinati ancora negli occhi, “ ci sono. Sì, ho ancora paura di lui.”
“ Beh, credo che sia assolutamente normale. In qualche modo, anche quando sarai molto lontana, credo che continuerai ad averne. Però, un po’ alla volta, ci saranno periodi sempre più lunghi in cui non avrai paura di niente, fino a quando, quasi senza accorgertene, non ci penserai più. Però volevo sapere un’altra cosa, se hai ancora paura che ti stia cercando.”
“ Sì, assolutamente. Dopo quello che mi ha fatto, credo che l’unica soluzione che vede sia liberarsi di me in modo definitivo. Capisci quello che     intendo ?”
Emanuela annuì. “ Sì. In questo momento non sa dove sei e cosa hai in mente di fare, quindi può aspettarsi di tutto, anche i carabinieri davanti alla porta. Questo lo rende ancora più pericoloso e deve rendere te ancora più attenta e prudente. Ricorda, non sei sola.”
“ Sì, lo so.”
“ Sicura ?”
Giulia sorrise per la prima volta dall’inizio di quella conversazione. “ Sicurissima.”

Da quando aveva recuperato la memoria ed era ospite della casa protetta era stata visitata da più medici. Era accuratamente assistita mentre lentamente si disintossicava dai farmaci presi per tanto tempo. Tutte le volte che ne sentiva la necessità andava a fare una chiacchierata con il terapeuta dell’associazione, e tutti concordavano sul fatto che stava recuperando a passi da gigante. L’ottima cucina di Matilde, la cuoca volontaria del centro, le aveva fatto prendere qualche chilo e il viso non era più terreo. Stava riprendendo colore e sorrideva spesso. Non sbavava più, i movimenti erano coordinati e, anche se era spesso stanca, dormiva solo otto ore per notte. Insieme a Barbara, un’altra ospite del centro, era andata dal parrucchiere e si era fatta sistemare i capelli, che erano sempre biondi e abbastanza lunghi ma ricominciavano ad essere lucidi e ad avere un aspetto sano. Li aveva accorciati, come piacevano a lei, rinunciando alla lunghezza che Cesare le aveva sempre imposto. Al pensiero dei gusti di suo marito si irrigidì. Ripensò agli abiti sexy e attillati che lui le comprava e che lei detestava. Finalmente, passava tutta la giornata in jeans e scarpe da tennis, libera di essere se stessa. Quandò squillò il campanello, Giulia stava lavorando sul suo nuovo computer portatile che Luca le aveva regalato e fatto recapitare attraverso Emanuela, Barbara leggeva un libro sdraiata sul divano e Claudia infornava una teglia di biscotti.
Barbara appoggiò il libro sul bracciolo. “ Vado io, disse.”
“ No,” la bloccò Giulia, “ apro io. Ho bisogno di muovermi un po’. Sono ore che sto immobile a battere sui tasti.”
Ogni volta che suonava il telefono, o il campanello, o anche se qualcuno sbatteva una porta, Giulia aveva un momento di panico pensando che fosse Cesare. Ma sapeva che non era possibile, solo poche persone avevano l’indirizzo della casa protetta e quando una di loro usciva, prima di rientrare percorreva chilometri di stradine tortuose per depistare un eventuale inseguitore. Le regole erano fatte per garantire la loro sicurezza, e nessuna avrebbe messo a rischio l’incolumità delle compagne. Nonostante questo, a Giulia tremavano le gambe mentre andava ad aprire la porta. Sapeva che Cesare era diabolico e troppo furibondo e che non l’avrebbe lasciata andare via tanto facilmente. Gli unici rapporti che c’erano stati tra loro da quando era riuscita a scappare dal ristorante di Cristina con la macchina di Myria erano avvenuti tramite i loro legali. Martina Clerici per Giulia, e Alberto Osella per Cesare. In fondo, se l’aspettava. Quello che l’aveva ferita era il voltafaccia di Laura, che continuava a credere a tutte le menzogne di Cesare. Invece, Fabrizia e Carlo Marri avevano interrotto ogni rapporto con lui quando Cesare aveva alzato le mani su Fabrizia per sapere dove fosse Giulia. Di Cristina non sapeva cosa pensare. Sapeva che Paolo se n’era andato di casa, e le aveva scritto molti messaggi di incoraggiamento, ma Cristina non si era mai più fatta viva. Ormai, era nella casa protetta da quattro settimane ed era certa che Cesare stesse tramando qualcosa. Guardò dal videocitofono e aprì il portone. Sonia entrò con in mano un pacchetto.
“ Ciao,” disse, “ è arrivato per te allo studio di Martina. Lo manda l’avvocato Osella, quindi non dovrebbe esplodere.” Giulia rise, anche se le si era contratto lo stomaco.
“ Pensi che il mittente sia Cesare ?”
“ Beh, e chi altri ?”
“ Vuoi che lo apra io ?” chiese Sonia.
Lei esitò un attimo, poi scosse la testa. “ No, devo smettere di avere paura. Non gli permetterò di controllare ancora la mia vita.”
“ Brava !” applaudì Barbara, “ così si fa !”
“ Meriti il biscotto più grosso e pieno di cioccolato,” aggiunse Claudia.
Giulia aprì il pacchetto. All’interno, vari strati di carta velina proteggevano un astuccio di velluto color argento. Sotto l’astuccio si vedeva spuntare un bigliettino. “ Mi manchi,” lesse Giulia ad alta voce, “ con tutto il mio amore.” Lo accartocciò tra le mani. Sonia lo recuperò.  “ Può sempre servire,” le disse, “ dallo a me.”
“ Beh, di sicuro non è una pelliccia,” commentò Claudia mentre Giulia apriva l’astuccio. “ Oh Dio,” commentò Barbara davanti ad uno splendido anello in oro bianco a fascia tempestato di diamanti.
“ Diamanti,” disse Sonia, “ un diamante è per sempre.” A quelle parole a Giulia vennero i brividi.
“ Che cosa diavolo sta cercando di fare ?” chiese Giulia, ricordando che Cesare aveva sempre preferito regalarle diamanti perché li considerava il pegno d’amore per l’eternità. Forse cercava di ricordarle che lei gli apparteneva ? Richiuse l’astuccio e lo diede a Sonia. “ Prendi anche questo,” le disse, “ fai decidere a Martina cosa farne. Io non lo voglio.”