“ Non
è meglio se vai a letto e ti riposi un po’ ?” chiese Cesare affacciandosi dalla
portafinestra della cucina e guardando Giulia appoggiata ai cuscini del
dondolo.
“ E’
l’ora della pastiglia ?” chiese lei.
Cesare
controllò l’orologio. “ Tra un’ora, perché ?”
“ Non
potrei prenderla adesso ? Mi sento molto depressa, ho paura di non riuscire ad
addormentarmi.”
Lui la
baciò sui capelli. “ Non penso che un’ora faccia differenza.”
La
aiutò a salire le scale ed entrarono in camera da letto. Lei si sedette e lo
osservò spogliarsi mentre cercava di comporre ordinatamente i suoi pensieri in
un piano preciso. Qualsiasi cosa avesse deciso di fare, doveva farla
rapidamente, perché non aveva molto tempo.
Rifletti,
pensò, rifletti e decidi. Cosa vuoi fare ?
Per prima
cosa, decise mentre Cesare usciva dalla stanza per andare a prenderle la
pastiglia, doveva mettersi in contatto con Sonia Paggi. Aveva ritrovato il
pezzettino di carta che la donna le aveva infilato in mano nella cesta della
biancheria sporca, appallottolato dentro un paio di mutandine. Sul biglietto
c’era solo un numero di cellulare. Guardò il telefono sul comodino. Nelle
ultime settimane Cesare aveva allentato il controllo e deciso che il telefono
poteva tornare al suo posto, ma lei non era sicura di volerlo utilizzare. Era
troppo rischioso, non poteva permettersi di suscitare nel marito alcun
sospetto. Da quando erano tornati a casa dopo la visita a Milano, lei aveva
recitato una parte, fingendo di prendere le pastiglie, piangendo a comando
senza motivo, ricominciando a parlare ossessivamente del bambino dandosi la
colpa di tutto, chiedendo continuamente perdono a Cesare per avergli rovinato
l’esistenza. Era stata molto convincente. Sapeva che la sua vita dipendeva
da quello.
Lo
guardò entrare in camera, la pelle ancora umida dopo la doccia, un asciugamano
intorno alla vita. Com’era possibile che quell’uomo bellissimo, stimato
professionista, affascinante e amato da tutti, fosse in realtà un violento che
l’aveva manipolata e maltrattata per anni, tanto sadico e malvagio da averle
provocato un aborto e cercato di farla impazzire ? Doveva essere malato, non
c’era altra spiegazione.
“
Tieni,” le disse porgendole la pastiglia. Lei la prese e se la mise in bocca
mentre Cesare la osservava.
Appena
lui si girò per prendere il bicchiere dell’acqua la sputò nella mano e la
infilò nella tasca della gonna che indossava. Prese il bicchiere che lui le
porgeva e finse di deglutirla. Poi aspettò che lui se ne andasse, ma Cesare
rimase davanti a lei e lentamente si tolse l’asciugamano restando nudo. Le
appoggiò una mano sulla testa e l’attirò verso di sé, fino a quando la bocca di
Giulia non fu sul suo membro eretto. Cominciò a mugolare.
“ Oh,
Cesare, no …” mormorò Giulia, “ non riesco a farlo. Sono troppo stanca …”
“ Shh…..
” la zittì lui, “ non devi fare niente.
Non ti preoccupare.” La spinse sul letto e le aprì la camicetta.
“
No..” protestò lei debolmente mentre lui le prendeva i capezzoli tra le dita.
“ Va
tutto bene, Giulia, ” la rassicurò, “ va tutto bene.”
Si inginocchiò
portando i fianchi di lei sul bordo del letto, poi le sollevò la gonna e le
sfilò le mutandine. Lei guardò inorridita la pastiglia scivolare fuori dalla
tasca e cadere a terra. Chiuse gli occhi terrorizzata, sicura che Cesare se ne
sarebbe accorto. Invece lui le aprì le gambe e la penetrò subito, spingendosi
dentro di lei in modo brutale, con forza, afferrandole i capelli con cattiveria
e facendola urlare dal dolore. Giulia guardò il viso di Cesare stravolto dal
furore mentre i colpi si facevano sempre più violenti, e quando raggiunse
l’orgasmo le schiacciò una mano sul volto imprecando: “ Maledetta puttana,
pagherai per tutto quello che hai fatto.”
Giulia
pensò che avesse visto la pastiglia scivolare dalla tasca e che si fosse
accorto di essere stato ingannato, ma lui si staccò da lei e andò in bagno
senza dire altro. Ancora stordita e dolorante per la brutalità di Cesare,
Giulia si lanciò a terra per recuperare la pastiglia, poi si ributtò sul letto.
Era stravolta, le girava la testa e soprattutto si rendeva conto che non era
stato un incubo, ma la violenza appena subita era reale, come reali erano i
flash che emergevano dalla sua memoria durante il sonno. Era questo il vero
volto di suo marito. Violenza, brutalità, possesso. Passarono molti minuti prima
che riuscisse a calmarsi. Rimase a letto fingendo di dormire, anche se il suo
istinto le urlava di scappare da quella casa il più velocemente possibile.
Giulia
passò tutta la notte senza riuscire a dormire neanche un minuto. Quando Cesare
si alzò alle sette lei finse di essere addormentata, pensando a come contattare
Sonia Paggi a quel numero di cellulare. Aveva già escluso la possibilità di
farlo da casa, era troppo rischioso, quindi avrebbe dovuto trovare una scusa
per uscire. Ma non era facile, Rosa non era più autorizzata ad accompagnarla in
paese. Forse era arrivato il momento di
fuggire un’altra volta. Come, lo avrebbe deciso quando se ne fosse presentata
l’opportunità.
“
Giulia,” la chiamò Cesare. Lei finse di svegliarsi al suono della sua voce. “
Devo andare in tribunale. Rosa è in cucina. Le dirò di portarti la colazione e
la pastiglia.”
Lei
mosse solo gli occhi, facendogli credere di essere talmente intorpidita da non
poter parlare.
“
Tornerò a casa dopo l’udienza,” le stava spiegando lui, “ oggi pomeriggio ti
porterò a Milano. Ho fissato un appuntamento con il professor Pisani
all’Istituto Salute alle quattro. Giulia, mi stai ascoltando ?”
Lei
borbottò qualcosa mentre si sentiva assalire dal panico. L’Istituto Salute era
una clinica psichiatrica privata.
“ Rosa
ti aiuterà a preparare una borsa con il minimo indispensabile, nel caso in cui
decidessero di ricoverarti per farti qualche esame. Giulia, mi hai sentito ?”
“ Devo
fare la valigia,” biascicò lei senza aprire gli occhi.
“ No,
la borsa la preparerà Rosa. Tu devi solo dirle cosa metterci.” Si avvicinò e la
baciò sulla fronte. “ Cercherò di
tornare in tempo per pranzare con te.”
“
Ciao,” farfugliò Giulia cercando di non esagerare nella finzione. Quando lui
arrivò alla porta della camera lo chiamò.
“
Cesare ? ”
Lui si
voltò. “ Sì ?”
Sei un
maledetto bastardo, pensò lei, e adesso sarò io a giocare con te. “ Grazie … ti
amo tanto,” sussurrò Giulia.
Lui
impallidì. Fottutissimo stronzo, continuò lei mentalmente, come ti senti adesso
? Che effetto fa sentire la moglie che hai cercato di far diventare un vegetale
drogandola dopo averla picchiata per anni, la donna che hai preso a pugni sulla
pancia quando era incinta, quella che stai cercando di far sparire per sempre
rinchiudendola in un ospedale per pazzi, dichiarare che ti ama tanto e
ringraziarti per tutto quello che hai fatto per lei ? Che cosa provi, maledetto
figlio di puttana ? Provi qualcosa ?
Cesare
tornò accanto a lei e affondò il viso nel suo collo. “ Oh, Giulia, anch’io ti
amo tanto … non puoi neanche sapere quanto.”
Rosa
arrivò alle otto con la colazione. Mettendosi a sedere con la schiena
appoggiata al cuscino del letto, Giulia
la osservò chiedendosi che ruolo avesse quella donna in tutta la vicenda, e
soprattutto che cosa sapesse esattamente del passato. Era solo una domestica
poco intelligente oppure una complice del marito ? Era una donna di mezza età
ignorante o una donna sensibile che aveva cercato di starle vicino come aveva
potuto ? Probabilmente, Rosa non conosceva la verità e si limitava a credere a
tutto quello che Cesare raccontava, ubbidiva agli ordini e faceva finta di non
vedere e di non sentire. Più o meno come tutti i loro amici. Quando Cesare
parlava, lo ascoltavano tutti. Credevano a tutto quello che diceva. In fondo,
lui era l’avvocato famoso, lei una donna che scriveva ricette di cucina. Lui
era un uomo coraggioso, che aveva affrontato la perdita del bambino e la
malattia nervosa della moglie senza un attimo di cedimento. Povero Cesare. E
povera Giulia, sarebbe stato meglio ricoverarla in una clinica dove forse
avrebbero potuto aiutarla. Ma chi sarebbe stato meglio ? Lei o Cesare ?
“ Non
ho fame.”
“
L’avvocato dice che deve mangiare qualcosa.”
“
Perché ? Non ho fame.”
“ E
deve bere qualcosa di sostanzioso. Le ho preparato un frullato di frutta.”
“ Va
bene, berrò il frullato.”
“ E
mangerà anche il resto. Appoggio qui il vassoio. Torno subito.”
La
donna le voltò le spalle per uscire dalla camera mentre lei si sforzava di non
vomitare davanti al cibo. Anche se erano giorni che non prendeva le pastiglie,
o forse proprio per quello, non era affatto in forma. La mente era lucida, ma
l’organismo evidentemente era in crisi d’astinenza. Non riusciva a tenere nulla
nello stomaco e spesso le vertigini erano talmente forti da obbligarla a
camminare appoggiandosi ai muri. Questo l’aiutava a recitare la parte della
zombie, ma sarebbe stato un grosso ostacolo nella fuga. Prese il bicchiere di
frullato e si obbligò a bere. Aveva comunque bisogno di zuccheri e di energia.
Quando Rosa tornò nella stanza, lei era riuscita a berlo tutto e aveva già
cominciato a masticare una fetta biscottata. La donna aprì l’anta del
guardaroba. “ L’avvocato mi ha detto di prepararle una piccola borsa da
viaggio,” disse, “ il necessario per la toilette è già pronto, per dormire cosa
le prendo ? ”
“ Va
bene qualsiasi cosa, “ rispose Giulia con aria indifferente, “adesso posso
avere la mia pastiglia, per favore ?”, chiese continuando a sostenere la parte
del vegetale drogato.
“ L’ha
già avuta,” rispose Rosa, “ e in quantità doppia. Così non si stancherà troppo
in viaggio.”
“ L’ho
già avuta ? No, mio marito non mi ha portato niente..”
“
Erano nel frullato.”
Giulia
si sentì aggredire dal panico. Quantità doppia. E lei aveva vuotato il
bicchiere fino all’ultima goccia. In quanto tempo avrebbero fatto effetto ? Sul
suo fisico in astinenza e già debilitato, sicuramente in pochi minuti. Pensa in
fretta, si ordinò, non crollare adesso. Si strinse le braccia intorno al corpo
e si accasciò su se stessa gemendo.
“ Oh Dio,
signora, cosa succede ?” chiese Rosa allarmata correndo accanto a lei.
“ Mi
.. sento … male…”
La
donna l’aiutò ad alzarsi e l’accompagnò in bagno.
“ Ha
la nausea ? Deve dare di stomaco ?”
“ No
.. un attacco … di dissenteria..” rispose lei nella speranza che Rosa non
volesse starle vicino anche sul water. Infatti la donna la lasciò sola ma non
chiuse la porta del bagno. Dannazione, pensò Giulia, e adesso cosa faccio ?
Beh, cominciamo a liberarci di questa roba, pensò infilandosi con violenza due
dita in gola e azionando lo sciacquone. Vomitò più volte, con gli occhi che le
pulsavano dal male e il sapore acido della frutta in bocca. Ce l’aveva fatta ?
Era riuscita a vomitare anche il farmaco o era già in circolo ? Non poteva
saperlo, ma adesso non aveva più tempo da perdere. Uscì dal bagno tenendosi la
pancia, con la faccia terrea e gli occhi rossi.
“ Come
va ? E’ riuscita a liberarsi ?” chiese Rosa.
“ No …
mi fa male la pancia … ho i crampi … devo sdraiarmi…” rispose Giulia sperando
che la donna non sentisse l’odore del vomito e si insospettisse.
Si
mise a letto e chiese a Rosa di chiudere le tende e di lasciarla dormire.
Quando fu sicura che la donna era tornata al piano di sotto, si alzò e si
infilò dei pantaloni, una maglietta e un paio di ballerine. Infilò il
bigliettino con il numero di cellulare in tasca e afferrò tutte le monetine che
Cesare aveva lasciato sul comodino. Sempre meglio di niente. Uscì dalla stanza
senza fare rumore e sgattaiolò nella camera degli ospiti alla ricerca della
borsa di Rosa. L’aprì e prese le chiavi della macchina. Trovò anche venti euro
nel portafoglio e se li ficcò in tasca. Poi ascoltò per qualche minuto i rumori
che provenivano dal piano di sotto, e quando riconobbe il ronzio
dell’aspirapolvere che si allontanava scese velocemente le scale, uscì e corse
verso la vecchia Panda. Sarebbe arrivata al lungolago, come l’altra volta, e
avrebbe abbandonato la macchina. C’era qualcosa che doveva fare prima di
prendere contatto con quel numero di cellulare.
Doveva
avere alcune conferme. E sapeva dove andare a cercarle.
Quando
finalmente arrivò all’altezza del Regina Palace, i passanti avevano
cominciato a confondersi davanti ai suoi occhi e si sentiva la bocca arida e
asciutta. Probabilmente è l’ansia, disse a se stessa decidendo di proseguire
fino all’angolo della banca. Procedette lentamente cercando un parcheggio. Si
fermò, scese e s’incamminò velocemente tagliando per il vicolo tra la chiesa e
il Grand Hotel et de Milan. Alla fine della stradina girò a sinistra,
oltrepassò la farmacia, attraversò la piazza quasi correndo e finalmente, prima
dell’ufficio postale, arrivò al ristorante di Cristina. Era incredibile, la sua
memoria l’aveva portata fino a lì senza un attimo di esitazione. Intanto stava
pregando il destino perché le facesse trovare l’amica, o forse ex amica, nel
locale. Salì le scale incespicando, raggiunse la porta e vi si appoggiò contro.
Dopo qualche minuto di attesa, si rese conto di non aver suonato. Schiacciò più
volte il pulsante del campanello e bussò.
“ Un
attimo,” gridò dall’interno una voce di donna, “ arrivo !”
La
porta si aprì di pochi centimetri. Una ragazza vestita da cameriera sbirciò
fuori. “ Sì ?”
“ C’è
Cristina ?” chiese lei con voce trepidante.
“
Siamo ancora chiusi.”
“ Sì,
lo so, ma sono una sua amica e devo vederla subito.”
“ Non
è ancora arrivata. Lei chi è ?”chiese la ragazza con aria diffidente.
“ Sono
Giulia ..”
“
Santo Cielo, mi sembrava lei ! Quasi non l’avevo riconosciuta !”, esclamò aprendo la porta
per lasciarla entrare, “ Cristina arriverà tra poco, era già per strada qualche
minuto fa.”
“ Sono
uscita di casa in fretta,” si scusò Giulia lisciandosi la maglietta
stropicciata. In quel momento si rese conto di non indossare biancheria, di non
essersi lavata i denti e di non essersi neanche pettinata.
“
Credo di essere alquanto trasandata.”
“
Prende un caffè ? L’ho appena fatto.”
“ Sì,
grazie, molto volentieri.”
Giulia
seguì la ragazza all’interno del locale e si sedette su uno sgabello del banco
bar. La cameriera era graziosa e piccolina, dimostrava una ventina d’anni, era
bionda e aveva i capelli trattenuti ordinatamente all’indietro da un cerchietto
di seta. Faceva il possibile per non fissarla, ma era evidente che era rimasta
sconcertata dal suo aspetto.
“ Come
lo prende ?”
“
Nero, grazie.”
La
ragazza le versò una tazza di caffè americano e lo appoggiò sul banco. Giulia
lo finì in un fiato e ne chiese ancora.
“
Scusa … posso darti del tu, vero ? Ho una sete terribile. Non mi ricordo il tuo
nome ..”
“ Si
figuri … mi chiamo Myria, ” rispose la ragazza mentre le riempiva nuovamente la
tazza.
Probabilmente,
pensò, non capisce cosa ci faccio qui a
quest’ora.
“ Mi
scusi,” chiese Myria, “ posso chiederle se è stata poco bene ? O è solo
dimagrita ?”
“ Oh,
in effetti sono stata ammalata. Sono irriconoscibile, vero ?”
“ Beh,
non è che l’abbia mai osservata da vicino, però mi sembrava di ricordarla un
po’ diversa ..”
“ Ci
sarebbe ancora caffè ?” chiese quasi vergognandosi, e Myria le versò nella
tazza quello che era rimasto nella caffettiera. “ Mi scusi, ” disse poi, “ spero che non si
offenda, ma io dovrei finire le pulizie, o farò tardi all’asilo della bambina.”
“ Oh
Dio, scusami tu. Non volevo portarti via troppo tempo. Ma ero da queste parti e
ho pensato di passare a vedere se c’era Cristina.”
“ Era
in giro presto,” commentò Myria controllando l’orologio. Erano le nove e mezzo
del mattino.
“
Scusa, avrei bisogno di usare il telefono.” Senza aspettare una risposta,
Giulia entrò nella cucina del ristorante e afferrò il ricevitore con gli occhi
puntati sui numeri scribacchiati sui post- it gialli incollati al grosso
frigorifero. Individuò subito quello che cercava. Il cellulare di Paolo. Myria
le era corsa dietro, anche se si mantenne a una distanza di sicurezza. Giulia
lesse paura negli occhi della ragazza e avrebbe voluto rassicurarla, ma non
aveva tempo da perdere. Compose velocemente il numero dell’uomo con il quale,
secondo Cesare, aveva avuto una sordida relazione extraconiugale. Ma l’aveva
avuta davvero ?
Paolo
rispose al sesto squillo, quando stava quasi per riattaccare. “ Pronto ?”
“
Paolo ?”
“ Sì
?” rispose lui con tono impaziente, come se si aspettasse una grana.
“ Sono
Giulia.”
“
Giulia. Oh Dio, scusa, non ti avevo riconosciuta. Ma stai chiamando dal
ristorante ? Cosa succede ? Come mai sei
lì ? Ti ho chiamata a casa un sacco di volte ma la tua domestica ….”
“
Paolo,” lo interruppe lei, poi si fermò. Dannazione, decise poi, tanto vale
essere diretti. “ Paolo,
io e te abbiamo avuto una storia ?”
Sentì
Myria soffocare un’esclamazione e si immaginò la sua faccia stupefatta.
“ Come
?”
“ E’
una domanda seria. Abbiamo avuto una relazione ? Circa un paio d’anni fa o poco
prima ?”
Ci fu
qualche secondo di silenzio sulla linea. “ Giulia, cosa diavolo sta
succedendo ? C’è lì Cristina ? C’è
Cristina che ascolta ?”
“ Non
c’è nessuno, solo io. Ti prego, ho bisogno di una risposta sincera.”
“ No,
non abbiamo mai avuto una relazione.”
Giulia
chiuse gli occhi, stringendo il ricevitore tra l’orecchio e la spalla. “ Ma
questo non toglie che Cristina ne sia certa,” continuò Paolo, “ e non c’è stato
modo di convincerla che era tutta una sua paranoia. Per carità, non dico che
non mi sarebbe piaciuto, e sono sicuro che tu lo sappia, ma giuro che fra noi
non c’è mai stato assolutamente niente. Ma, Giulia…” disse poi, probabilmente
rendendosi conto che lei doveva saperlo benissimo, “ mi sembra una
conversazione assurda. E’ successo
qualcosa ?”
“
Paolo, ti ricordi quando ho perso il bambino ?”
“ Come
dici ?”
“ Ti
prego, rispondimi. Quando sono stata ricoverata per l’aborto ?”
“ A
gennaio. Gennaio di quest’anno. Ma va tutto bene ? Cosa ti prende ?”
“ Mi
rendo conto che le mie domande ti possono sembrare assurde, ma adesso non ho
tempo per spiegarti. Ti prego, credimi se ti dico che non sono impazzita. E se
puoi cerca di aiutarmi. Non so cosa succederà nel futuro, ma so per certo che
non sono pazza …”
“
Giulia ….”
Lei
riattaccò, girandosi verso Myria che la fissava con un’espressione spaventata.
“
Senta,” disse subito la ragazza prima che lei potesse aprire bocca, “ non ci
capisco niente e non voglio sapere niente. Ma vorrei che se ne andasse. Torni
quando ci sarà Cristina. Per favore.”
Giulia
le sorrise: “ Mi dispiace, non volevo metterti in imbarazzo. Ma adesso devo
assolutamente parlare con Cristina. L’aspetterò in sala.” E uscì dalla cucina
senza aggiungere altro. Sentì Myria chiudersi a chiave in cucina e pensò che
probabilmente avrebbe chiamato qualcuno. Lei non aveva molto tempo, ormai Rosa
doveva essersi accorta della sua sparizione e sicuramente aveva avvisato
Cesare. L’unica sua possibilità era Cristina, perché dopo quello che Cesare le
aveva raccontato l’amica la odiava, quindi probabilmente nessuno avrebbe
pensato di cercarla lì.
“
Chiariremo questa faccenda,” mormorò, “ e poi chiamerò Sonia Paggi e farò
quello che devo.”
Cristina
entrò nel ristorante con un’espressione indecifrabile e si fermò davanti a
Giulia, seduta ad aspettarla nella sala buia.
“
Giulia …”
“
Ciao. Siediti. Ho bisogno di parlare con te.”
Cristina
sbattè la borsa sul tavolo.
“ Per
favore,” insistè Giulia, “ ho tante di quelle cose da dirti che non so nemmeno
da che parte cominciare.”
“ Non
sono sicura che ci sia qualcosa che ho voglia di ascoltare.”
“ Se
pensi che io abbia avuto una relazione con Paolo …”
“ Mi stavi
aspettando per dirmi che non è vero ? Hai sprecato del tempo, mi ha già
chiamata Paolo.”
“ Ti
ha chiamata ? Quando ?”
“
Dieci minuti fa sul cellulare. Mi ha detto di aver ricevuto una telefonata
molto strana da te, e che gli hai chiesto se voi due avevate avuto una storia.
Non sapeva se preoccuparsi per le tue condizioni mentali oppure offendersi
perché una donna non ricordava se era stata a letto con lui oppure no.
Comunque, gli ho detto che sarebbe meglio per tutti lasciarci alle spalle
questa storia squallida e andare avanti come possiamo.”
“ Io e
Paolo non abbiamo avuto nessuna relazione.”
“ Già,
lo dice anche lui.”
“ Ma
tu non gli credi.”
“
Perché dovrei credergli ? O credere a quello che dici tu ?”
“
Scusa, ma allora perché credi a quello che dice Cesare ?” obiettò Giulia.
“ Come
?”
“ Non
è stato Cesare a dirti della relazione tra me e tuo marito ?”
“ Non
vedo che importanza possa avere da chi l’ho saputo.”
“
Invece è molto importante, perché Cesare ti ha mentito.”
“ E
perché avrebbe dovuto farlo ?”
“ L’ha
fatto con tutti. Ha mentito a tutti.”
“
Ripeto, perché ?”
Giulia
sospirò. Le girava la testa e dovette appoggiarsi al tavolo con i gomiti per
rimanere dritta.
“ Per
separarci. Per allontanarti da me. Per impedirmi di ritrovare la memoria e di
ricordare quello che è successo prima che io scomparissi.”
Cristina
sbuffò come per sottolineare che l’argomento la stava annoiando, poi però
chiese : “ E cosa sarebbe successo prima della tua scomparsa ?”
“
Molte cose orribili. Non ricordo ancora tutto, ma lentamente le immagini stanno
tornando. E quello che vedo è talmente spaventoso da farmi capire perché
perdere la memoria e dimenticare tutto è stata la mia difesa.”
Guardò
Cristina negli occhi. “ Quando ho perso il bambino ?”
“ Come
? E questa da dove esce adesso ? Non ci sto capendo più niente.”
“
Rispondi alla domanda. Esattamente, quando è stato l’aborto ?”
Cristina
sospirò e alzò le mani in segno di resa.
“ Hai perso il bambino a gennaio.”
“ Di
quest’anno ?”
“ Sì,
gennaio scorso.”
“
Cristina, non mentirmi,” la ammonì Giulia, e vide l’amica assumere
un’espressione stupefatta.
“ Ma
sei impazzita ? Perché dovrei mentire su una cosa del genere ?”
“
Quindi, io ho perso il bambino a gennaio di quest’anno.”
“
Credevo che Cesare te l’avesse già detto.”
“ Si,
me l’ha detto.”
“ E tu
non gli hai creduto.”
“ Tu
non hai creduto a Paolo.”
“ Beh,
le cose sono un po’ diverse, non ti pare ?”
“ E
come l’ho perso ?”
“ Un
incidente. Sei caduta dalla scalinata dell’atrio.”
“
Cesare ha detto che ho perso il bambino più di un anno fa.”
“ Cosa
? Giulia, sei assurda. Perché mai Cesare avrebbe dovuto raccontarti una
fesseria simile ?”
“ Ha
detto che non è stato un incidente. Ha detto che mi sono buttata giù dalle
scale per uccidere il bambino.”
“
Giulia, quello che stai dicendo è pazzesco.”
“ Io
non ho ucciso il mio bambino, vero ?”
“ No,
certo che no. È stato un incidente.”
“ Io
invece credo che sia stato Cesare. Anzi, lo so.”
Cristina
si alzò. Nei suoi occhi c’era un’espressione che non le aveva mai visto prima,
come quella di Myria dopo la telefonata a Paolo. Era paura, capì Giulia, e si
obbligò ad alzarsi per impedire a Cristina di andarsene.
“ Tu
lo sapevi, vero ?”
“ Sei
pazza.”
“ No,
non sono io la pazza. Tu lo sapevi, in qualche modo l’avevi capito, e non hai
fatto niente per aiutarmi. Sei rimasta a guardare e hai protetto Cesare. Perché
?”
“ Io
non ho protetto nessuno. Credo che sia lui a proteggere te. L’ha sempre fatto.”
“ E
come ? Mentendomi ? Dicendomi che ho ucciso il mio bambino ? Che sono io la
responsabile ? Dio Santo, Cristina,
ascoltami ! Pensi che stia inventando tutta questa storia ?”
“
Penso che in questo momento tu sia molto confusa. Credo che tu stia confondendo
i sogni con la realtà ..”
“
Sogni ? Confusa ?”
“
Penso che tu sia veramente convinta di quello che stai dicendo, ma …”
“
Sogni ? E’ così che li ha chiamati Cesare ?
Sogni ?”
“
Giulia, cerca di calmarti ..”
“
Cesare ti ha detto che ho gli incubi e le allucinazioni, non è vero ?”
“
Ascolta..”
“ Non
è vero ?” L’espressione di Cristina era inequivocabile. Giulia non aveva
più bisogno di una risposta verbale.
Rimase
in piedi a guardare l’amica, incredula.
“ E’ stato proprio molto bravo. Non ha trascurato nessun dettaglio. Vi
ha fatto credere che sono impazzita, che ho perso la testa dopo la perdita del
bambino, che sembravo normale ma che in casa mi comportavo come una matta
scatenata. E io non posso difendermi, perché sono talmente piena di medicine
che non riesco a parlare, ad alzarmi dal letto, a lavarmi da sola ! Quando
parlo biascico, e quando non parlo sbavo e penso a come ammazzarmi ! Ma non
capisci ? Vi ha mentito, ha mentito a tutti ! A te ha detto che sono andata a
letto con tuo marito, a me ha detto che mi sono provocata l’aborto per gelosia.
Era tutto studiato, tutto preparato ! Così, se mai avessi ricominciato a
connettere, bastava raccontare a tutti che avevo gli incubi, le allucinazioni !
La povera Giulia crede di avere causato la morte del bambino ! La povera Giulia
si è buttata dalla scala per gelosia ! Altro che allucinazioni, la povera
Giulia è proprio delirante ! E’ stato davvero bravo. Chi potrebbe non essere
d’accordo sul ricovero della povera Giulia ? Mettiamola in un ospedale per
curarla. Così, se la memoria fosse tornata tutto quello che avrei detto
sarebbero state allucinazioni !”
Gli
occhi di Cristina erano pieni di lacrime. “ Ma perché, Giulia ? Perché Cesare
ti avrebbe fatto questo ?”
“
Perché stava succedendo qualcosa che non devo ricordare. Non so cosa. Non me lo
ricordo ! Ma sono sicura che c’è qualcosa che lui non vuole farmi tornare in
mente.”
“ Ma
cosa ?”
“ Non
lo so. Dimmelo tu.”
Cristina
allargò le braccia. “ Giulia, non lo so. Non lo so davvero… c’è solo una cosa…”
Fece
una lunga pausa mentre Giulia la guardava con espressione trepidante. “ Quando
sei scomparsa .. quella mattina, quando Cesare ci ha telefonato e poi abbiamo
chiamato la polizia…”
“ Cosa
? Cos’è successo ?”
“ Sono
salita nel tuo studio. Cercavo la tua agenda, qualsiasi cosa che mi aiutasse a
capire dove potessi essere. Ho trovato queste.” Cristina aprì la borsa ed
estrasse un pacchetto di lettere e carte ripiegate. “ Non l’ho detto a nessuno. Neanche a
Cesare. Le ho infilate nella borsa con l’intenzione di parlarne con te. Ma
quando sei tornata a casa non ricordavi più nulla, allora … insomma, non c’è più
stata l’occasione…” Giulia le strappò i fogli dalle mani e guardò la carta
intestata. Avvocato Martina Clerici. Clerici. Martina Clerici. Si sentì
invadere da un senso di stordimento. I ricordi cominciarono a srotolarsi come i
fotogrammi di un film, e lei stava assistendo alla proiezione sola, come se
fosse stata seduta nel posto d’onore in un cinema vuoto.
Avrebbe
avuto bisogno di soldi. Doveva andare in banca. Lei e Cesare avevano un conto
corrente in comune, e c’erano depositati circa trentamila euro. Il conto era a
firme disgiunte, perciò avrebbe potuto prelevare anche tutto. L’unico contatto
che avrebbe avuto d’ora in poi con Cesare sarebbe stato con l’intermediazione
dei rispettivi legali.
La
filiale di Stresa della Banca Popolare di Intra era piccola, e lei si recava lì
spesso, tanto da chiamare tutti i cassieri per nome. Si avvicinò all’unica
cassa libera, dove Lara stava lavorando al terminale.
“
Buongiorno, signora Marini. Cosa posso fare per lei ?”
“
Devo chiudere il conto,” rispose estraendo dalla borsa il libretto degli
assegni.
“
Vuole trasferire l’importo su uno degli altri
conti ?”
“
No. Voglio prelevare tutto in contanti.”
La
cassiera controllò il terminale. “ Ci sono circa trentamila euro.”
“
Sì, lo so. Li ritiro tutti.”
“
Signora Marini,” intervenne Mariapia Giordano, la direttrice della filiale, “
vuole accomodarsi nel mio ufficio ? Posso offrirle un caffè ?”
“
No, grazie. Ho molta fretta. Potremmo sbrigarci, per favore ?”
“
Se c’è qualche problema con la gestione del suo conto …” continuò la
direttrice.
Chissà
perché le donne pensano sempre di avere sbagliato, si chiese Giulia un po’
irritata.
“
Non c’è nessun problema. Ho solo un’emergenza imprevista. Appena potrò li
rimetterò sul conto.”
La
direttrice sembrò soddisfatta dalla spiegazione di Giulia. “ Quindi non è
necessario chiuderlo ? Anche perché ci vorrebbe la firma di suo marito. Vediamo
….. il saldo è di trentamilacento euro e qualche spicciolo. Per tenerlo aperto
deve lasciare qualcosa.”
“
Cento euro e qualche spicciolo bastano ?”
“
Certo.”
“
Va bene, allora prelevo trentamila euro.”
“
In contanti ?”
“
Sì.”
Giulia
aspettò che Lara tornasse dal caveau con le banconote. Erano quasi tutti tagli
da cinquecento euro. Li infilò nella tasca della giacca e uscì dalla banca.
Sapeva
di non poter parlare con nessuno. Emanuela e Sonia erano state molto chiare.
Era troppo pericoloso. E poi, non avrebbe mai avuto abbastanza tempo per
spiegare a qualcuno che cos’era stata la sua vita negli ultimi sette anni.
Forse, non le avrebbero neanche creduto. Tornata a casa, lasciò cadere la borsa
nell’atrio e salì le scale per andare in camera da letto. Come aveva potuto
dividere quella stanza e quel letto per tutti quegli anni con un mostro come
Cesare ? Si guardò nello specchio. Aveva un’aria triste. Rassegnata. Ma anche
determinata. Quando aveva capito, era stata pronta e aveva afferrato
l’opportunità di salvarsi la vita.
Aprì
l’anta del guardaroba ed estrasse una valigia. Avrebbe portato con sé poche
cose, solo i suoi vecchi vestiti, quelli che Cesare detestava e che lei era
obbligata a tenere nella camera degli ospiti. Lo zainetto di tela con tutti i
documenti era già pronto, ben nascosto per precauzione, anche se Cesare era
partito per Roma. Al suo ritorno, lei sarebbe già stata molto lontana. I soldi
li avrebbe tenuti nella tasca della giacca. La prudenza, le aveva detto Sonia,
non era mai troppa. Avrebbe ricominciato da capo, chiuso il capitolo drammatico
del suo matrimonio, iniziato una nuova vita.
Tornò
alla realtà con fatica. Cristina la stava guardando con espressione sgomenta.
“
Quando ti ha raccontato di Paolo ?”
“ Un
paio di settimane dopo il tuo ritorno. Mi ha fatto promettere che non ti avrei
detto niente fino a quando non fossi stata bene. E poi sappiamo cos’è
successo.”
Giulia
sospirò profondamente.
“
Cristina, ti prego, giurami di non dire a Cesare che sono stata qui.”
“ Va
bene. Ma non posso fare altro.”
Lei
sentì che Cristina era sincera. Sarebbe stata zitta. “ Va bene,” le disse, “ ma ho bisogno che mi presti la
macchina.”
“ La mia
macchina ?”
“ Sì,
dammi le chiavi della macchina.”
“
Giulia, non essere assurda. Non posso prestarti la mia macchina.”
Giulia
vide gli occhi di Cristina fissare un punto dietro di lei. Poi la vide
irrigidirsi e sentì qualcuno muoversi.
“ Ha
bisogno ?” chiese Myria dalla porta della cucina.
Giulia
pensò che parlasse con lei, e solo quando si voltò si rese conto che dalla
porta del ristorante era entrata Rosa.
“
Signora Giulia, torni subito a casa con me,” le ordinò la donna.
“
Immagino che mio marito stia arrivando,” disse Giulia in tono sprezzante, “
l’ha sicuramente già avvisato.”
“ No,
non l’ho chiamato. Torni a casa con me prima che succeda un disastro.”
Allora
ce la posso ancora fare, pensò Giulia, ho ancora tempo. Si infilò dietro il
banco del bar alla ricerca di qualcosa da usare come arma per farsi strada e
uscire dal locale. Afferrò una forbice e la brandì. Cristina urlò, mentre Rosa
indietreggiava terrorizzata.
E in
quel momento, Giulia ricordò esattamente chi era e cos’era successo il giorno
in cui era scomparsa.
Era
l’alba di una bellissima mattina di maggio. Giulia passeggiò a lungo nel
giardino della villa, la mente e i pensieri lontani, consapevole solo del fatto
che aveva preso la sua decisione. E non era possibile tornare indietro. Arrivata
nel roseto, si accorse di non essere sola. Cesare la stava aspettando, gli
occhi fissi su di lei, le mani appoggiate sui fianchi, un sorriso maligno sul
volto.
“ Bene … una bella giornata
soleggiata, fresca, …. e dove penseresti di andare ?”
Lei si irrigidì immediatamente.
Era impallidita violentemente. “ Cosa fai qui ? Non eri partito per Roma ?”
chiese con voce esitante.
“ Mi è piaciuto fartelo credere.
A te e a quella puttana del tuo avvocato. Giulia, Giulia….non avrai pensato di
essere più furba di me ?” rispose lui in tono sarcastico.
“ Non puoi fermarmi. Voglio
divorziare, e voglio andare via da qui,” continuò lei sentendo il cuore battere
all’impazzata.
Gli angoli della bocca di Cesare
si piegarono all’ingiù e lui si mosse molto più rapidamente di quanto Giulia
potesse aspettarsi, colpendola al petto con tutta la forza del pugno e
scaraventandola in mezzo ai cespugli. “ Giulia,” le disse piano mentre lei
boccheggiava per il dolore, “ adesso ti spiegherò qualcosa per l’ultima volta.
Non andrai in nessun posto, e ti comporterai con il rispetto che mi devi. Sono
tuo marito, e non ti permetterò mai di dimenticarlo.” Giulia si agitò mentre le
spine le strappavano il vestito e le graffiavano la pelle. Prima che riuscisse
a rimettersi in piedi, lui le arrivò addosso e l’afferrò con entrambe le mani,
tirandola via dai cespugli e scaraventandola sulla ghiaia del sentiero. La mano
di Giulia si strinse intorno alle forbici del giardiniere. Un attimo prima che
lui le si gettasse sopra lo colpì con violenza . Le lame squarciarono la
camicia e la carne di Cesare dalla spalla sinistra al fianco opposto, e mentre
lui urlava di dolore Giulia vide una macchia scura allargarsi all’altezza del
petto. Lui indietreggiò istintivamente, con un’espressione sconvolta e sgomenta,
mentre si toccava la ferita imbrattandosi le mani di sangue. Quella vista lo
fece impazzire di rabbia. Giulia era terrorizzata. Si rimise a sedere agitando
selvaggiamente le forbici. Cesare rise con una luce di follia negli occhi. La
spinse all’indietro e le afferrò i polsi, stringendo talmente forte da farle
temere che le ossa si stessero sbriciolando, obbligandola a lasciar cadere la
sua arma.
Giulia si riempì d’aria i polmoni
e urlò, sperando che qualcuno la sentisse, ma i pugni di Cesare la ridussero al
silenzio in pochi istanti. Poi le immobilizzò le braccia mentre lei scalciava e
dimenava le gambe. Altri violenti colpi al petto, allo stomaco e sulle gambe la
resero inerte. Si limitò a gemere mentre lui si slacciava i pantaloni. “
Allora, non sei ancora domata ? Non importa, ho voglia di cavalcarti lo
stesso,” le sussurrò all’orecchio. Le
sollevò la gonna e le sfilò piano le mutandine, guardandola negli occhi con
cattiveria. Poi la costrinse ad aprire le gambe, infilandole le dita nella
carne delle cosce fino a farla urlare di dolore. La penetrò con una brutalità
che Giulia non avrebbe immaginato possibile. Tenendole strettamente i polsi
sopra la testa con una mano, la violentò ripetutamente grugnendo e imprecando,
mentre la ghiaia del sentiero la graffiava ovunque. Tutto sembrò durare
un’eternità, un tempo infinito così umiliante e doloroso che Giulia cercò di
estraniarsi dall’orrore di quello che le stava accadendo, cercando di fuggire
da quella furia che rasentava la follia. Non sono qui, pensò, non sono io, non
sta succedendo a me…
Cesare era talmente eccitato che
non passò molto tempo prima che urlasse di piacere e di trionfo. Si staccò da
lei bruscamente lasciandola a terra, le cosce e la pancia bagnate di sperma e
il volto inondato di lacrime.
“ Ecco fatto. E non dimenticare
che stasera voglio portarti a cena al Vecchio Tram. Fatti bella. Tornerò in
tempo per un aperitivo con te.” Giulia
gli sputò addosso, mancando il bersaglio. Lui le rise nuovamente in faccia, poi
si girò e si allontanò, una mano stretta alla ferita sul petto.
Dopo un tempo che le parve
infinito, Giulia rotolò piano su un fianco e rimase ferma così a tremare.
La vergogna, il dolore e
l’umiliazione erano talmente opprimenti da essere insopportabili. In qualche
modo riuscì a rialzarsi e a costringere le sue gambe a camminare verso la
villa, i vestiti strappati e insanguinati stretti al petto.
Rosa le fece il bagno e le spalmò
la pomata sui lividi in silenzio, il volto serio striato di lacrime. Giulia non
disse una parola. Poi la donna l’avvolse in un asciugamano, l’abbracciò e la
tenne stretta mentre lei tremava così violentemente da temere che il suo corpo
dolorante si sarebbe spezzato in due.
In silenzio, Giulia si vestì con
cura. Sopra il reggiseno indossò la camicia sporca di sangue e la giacca di
pelle. Si truccò e si pettinò. Poi scese in cucina e si sedette sul portico a
bere un caffè. Quando ebbe finito, posò
ordinatamente la tazza sporca nel lavandino e uscì di casa. Rosa la seguì fino
al cancello torcendosi le mani per la preoccupazione. “ Signora Giulia, dove
sta andando ?”
Lei si voltò e guardò la donna
con gli occhi spenti. “ Devo andare in farmacia.”
Si lasciò la casa alle spalle e
cominciò a scendere a piedi verso il paese.
Era proprio una bella giornata.
Sarebbe stato un peccato rimanere in casa.
Non si
rese conto di aver seguito le immagini raccontandole, permettendo così a
Cristina e a Rosa di partecipare alla ricostruzione di quel mattino.
Giulia
abbassò le forbici che teneva in mano, le appoggiò sul banco del bar, mentre
Rosa si lasciava cadere su una sedia e Cristina la guardava con gli occhi
spalancati dall’incredulità. “ Mio Dio
..” mormorò Cristina dopo qualche minuto di silenzio.
Giulia
non disse nulla, inebetita dai ricordi emersi dal passato. La persona che era
stata, tutto ciò che aveva fatto, le persone che aveva conosciuto,
improvvisamente erano presenti e reali nella sua memoria. C’era tutto, la sua
vita precedente, il lavoro, la laurea, Tiziana e Luca. Gli altri amici
dell’università e i colleghi della casa editrice. Il suo primo libro. Le
esperienze vissute. La sera in cui aveva conosciuto Cesare e il loro
matrimonio. Il viaggio di nozze. Gli anni passati insieme. Gli anni passati con
un uomo che la picchiava dicendo di amarla. I pugni nell’addome. La gravidanza,
l’aborto. E poi l’ospedale, Emanuela che l’accompagnava da Martina Clerici,
l’incontro con Sonia, la consapevolezza, la decisione di andarsene, la casa
protetta di Arona. E quell’ultimo, drammatico scontro con Cesare.
Senza
che lei se ne rendesse conto davvero, furono sette anni d’inferno. Per molto
tempo visse in uno stordimento così profondo che a volte era certa non stesse
accadendo veramente. Soprattutto quando Cesare la picchiava così ferocemente da
costringerla a letto per giorni. Non succedeva molto spesso, non più di due o
tre volte all’anno. Emanuela aveva cercato di convincerla a denunciarlo e ad
andarsene decine di volte, ma Giulia aveva troppa paura. Paura di lui, e paura
di vivere senza di lui.
A
volte, di notte, sognava i pugni di suo marito, e si risvegliava di soprassalto
tremando, sdraiata accanto a lui, sperando di non averlo disturbato con i suoi
movimenti. L’idea che prima o poi la colpisse troppo forte o nel punto
sbagliato non l’aveva mai sfiorata.
Fino
al gennaio di quell’anno, il mese del tragico “incidente”. Fu precisamente
quello il momento in cui la collera e il dolore svegliarono il suo istinto di
sopravvivenza. La collera, il dolore ed Emanuela.
Si
rese conto all’improvviso che nulla era andato come doveva. Cesare c’era
ancora, ed era un pericolo incombente. Le girava la testa, per i farmaci che
aveva ancora in circolo o per lo shock dei ricordi che l’avevano travolta con
la forza di una valanga. Si appoggiò al banco del bar ignorando Rosa ancora
impietrita sulla sedia e si rivolse a Cristina. “ Ho bisogno che mi accompagni
ad Arona,” le disse.
Cristina
scosse la testa. “ No. Non lo posso fare.”
“ Non
mi credi, neanche adesso ?”
“ Non
so più a cosa credere.”
“
Cristina… siamo amiche da anni .. anzi, la mia più cara amica da quando ci
siamo conosciute…. non pensavo di dover convincere proprio te.”
“
Anch’io pensavo che fossimo amiche.”
“ E
allora perché continui a credere a Cesare ?”
“
Sinceramente ? Non posso credere che tu non mi abbia mai parlato di come ti
trattava e di quello che ti faceva, dal momento che pensavi a me come alla tua
più cara amica. Quindi, mi è davvero difficile convincermi che quello che
racconti sia vero.”
“ Non
credi che mi abbia picchiata per anni ? E che mi abbia preso a pugni nella
pancia quando ero incinta ?”
“ No.
Non ci credo. E’ impossibile.”
“
Quindi pensi anche che io sia pazza.”
“
Credo di sì. E l’ultima conferma di questo è la tua perdita d’identità.
Normalmente alle persone sane di mente non succede.”
Giulia
sorrise tristemente. “ Capisco. Sei stata chiarissima. E non credo neanche di
poterti dare torto. Però, adesso mi ricordo chi sono, so cos’è successo e so
quello che devo fare. Non voglio coinvolgerti, ti sto solo chiedendo un
passaggio in macchina, perché non penso di riuscire ad arrivarci da sola.”
Cristina
scosse ancora la testa.
“ Ti
supplico,” insistè Giulia.
“ No.
Non posso.”
Giulia
si sentì assalire dalle vertigini, e si concentrò per non svenire. “ Va bene.
Allora prestami la macchina.”
“ Come
sei arrivata qui ?”
“ Con
la macchina di Rosa.”
“ E
cosa ne hai fatto ?” chiese Cristina, mentre Rosa era sempre muta, lo sguardo
vuoto, traumatizzata dal racconto di Giulia.
“ L’ho
lasciata sul lungolago. Per favore, non ti sto chiedendo molto.”
“ Se
tutto quello che racconti è vero,” insistè Cristina, “ perché non chiami la
polizia ? Se stai dicendo la verità dovresti farti aiutare da loro.”
“ Lo
farò… ma dopo che sarò arrivata ad Arona. Se li chiamassi adesso, loro
interrogherebbero subito Cesare. E se tu credi ancora a lui, quanto pensi che
ci metterà a convincere la polizia ? Mi
tratterrebbero per ore, e lui avrebbe il tempo di organizzarsi. Non posso
correre questo rischio, metterei a repentaglio anche la sicurezza delle persone
che mi hanno aiutata. Ti prego, Cristina. Dammi la macchina.”
“
Prenda la mia,” intervenne una voce alle sue spalle. Giulia si voltò e vide
Myria che le tendeva le chiavi. “ E’ una Smart rossa, parcheggiata davanti alla
posta.”
“
Grazie … grazie mille.”
“ Io
le credo. Non posso aiutarla, ma credo a tutto quello che ha raccontato. I miei
genitori mi hanno sempre detto che l’avvocato Panti è un delinquente. Lo sanno
tutti che malmenava la ragazza che aveva prima.”
“ Stai
fuori da questa storia,” le ordinò Cristina.
“
Dovrebbe vergognarsi,” le rispose la ragazza, “ lei è proprio meschina.
Bell’amica. Ha ragione suo marito quando dice che non la sopporta più. E non si
disturbi a darmi il benservito, me ne vado da sola.” Diede le chiavi della
macchina a Giulia e girò i tacchi per prendere le sue cose.
Giulia
prese le chiavi e uscì correndo dal ristorante. Non sentì il pianto di Rosa e
le sue parole sommesse: “ … E’ tutto vero… è tutto vero …. che Dio mi perdoni …
”
Trovò subito la Smart e mise in moto. Cristina
chiamerà subito Cesare, pensò, ma a me bastano venti minuti per arrivare ad
Arona. Schiacciò il pedale dell’acceleratore e controllò il livello del
serbatoio. Era quasi pieno, non avrebbe avuto problemi. L’unica preoccupazione
che le rimaneva era che Cristina chiamasse anche la polizia e denunciasse il furto
della macchina. Ma probabilmente Myria avrebbe negato la cosa. Se però
l’avessero fermata ? Li avrebbe convinti a chiamare l’avvocato Clerici o Sonia
Paggi. Sì, ce la poteva fare. Aveva voglia di ridere, ma subito dopo le si
riempirono gli occhi di lacrime. No, non doveva piangere. Lo aveva fatto per
troppo tempo, adesso doveva pensare a cose più importanti. Però era molto
stanca, e aveva paura di un colpo di sonno al volante. “ No, maledizione,”
disse ad alta voce, “ devo rimanere sveglia.” Accese la radio e girò tra le
stazioni fino a quando non trovò un brano heavy metal, di quelli che martellano
il sistema nervoso e fanno tremare i finestrini. Con quel baccano nelle
orecchie non era possibile addormentarsi. Alzò il volume. Fai che vada tutto
bene, pregò, sono solo pochi chilometri. Sono senza patente. Fai che vada tutto
bene, Dio. Sapeva esattamente dove stava andando, non aveva neanche più bisogno
di contattare Sonia Paggi a quel cellulare. Stava raggiungendo il posto in cui
sarebbe dovuta andare il mattino in cui era scomparsa. La casa protetta. Dove
Cesare non avrebbe potuto mai trovarla. Ricordava perfettamente tutte le
istruzioni che le avevano dato. Quando vide il cartello stradale che indicava
la cittadina di Arona tirò un sospiro di sollievo. Solo allora permise alla
collera di esplodere, le serviva per rimanere sveglia e attenta. Davvero Cesare
aveva pensato di riuscire a convincere tutti, compresa lei, che era pazza e che
per il suo bene era meglio rinchiuderla in un ospedale ? Oppure aveva previsto
e sperato che lei si togliesse la vita, liberandolo da ogni problema senza
fatica ? L’aveva mai amata davvero ?
Francamente,
era sicura di sì. Ed era anche convinta che lui l’amasse ancora. Solo, il suo
era un amore insano, malato, patologico. Adesso doveva concentrarsi. Era
entrata in città e cominciò a recitare mentalmente le indicazioni stradali che
le avevano fatto imparare a memoria. Non doveva distrarsi. Ma, si chiese, cosa
aveva pensato Cesare quando lei era scomparsa ? Dove aveva pensato che fosse
andata ? E quando era passata tutta la giornata e tutta una notte senza che lei
si facesse viva, che cosa aveva immaginato ? Che la paura di lui e
l’aggressione che gli aveva provocato quella ferita sul petto l’avessero spinta
a nascondersi ? Oppure pensava che sarebbe tornata, magari dopo aver capito che
non poteva vivere senza di lui ? Era così mostruosamente egocentrico ? E quando
la polizia lo aveva avvisato che era stata ritrovata sana e salva al San
Raffaele, quali pensieri gli avevano attraversato la mente ? E quando gli
avevano detto che lei non ricordava nulla, neanche il suo nome, era stato
quello il momento in cui aveva ideato il suo piano diabolico ? Raccontare a
tutti che lei era in viaggio, allontanare Cristina con una sporca menzogna, sostituirle
la medicina per trasformarla in un vegetale, approfittare della tragedia del
bambino per caricarla di un senso di colpa insostenibile. Per Cesare era stato
tutto molto semplice. Poi, gli sarebbe bastato aspettare e lasciare che lei si
distruggesse da sola.
E per
quanto tempo avrebbe potuto sostenere la parte ? Quanto tempo sarebbe passato
prima che Luca o Emanuela si fossero insospettiti al punto da voler indagare a
fondo ? No, si stava illudendo. A quel punto lei sarebbe già stata ricoverata
in qualche istituto privato, troppo imbottita di psicofarmaci per riconoscere
qualcuno. Era arrivata nel centro di Arona. Adesso doveva stare molto attenta
per non perdersi nei vicoli della cittadina vecchia. Si stropicciò gli occhi
per tenerli aperti, mentre ricominciava a pensare alla malvagità di Cesare.
Cosa sarebbe successo se lei avesse ritrovato subito la memoria ? Conosceva già
la risposta. Sarebbe stata solo la sua parola contro quella di lui, la parola
di una donna che aveva dimenticato la propria identità contro quella di un
professionista stimato e conosciuto. Aveva cercato di essere una buona moglie,
ma niente era stato abbastanza perfetto per l’anima nera di Cesare.
Parcheggiò
la macchina nella piazza del mercato e pensò che avrebbe dovuto trovare un modo
sicuro per permettere a Myria di recuperarla. La chiuse e si guardò intorno.
Era stanchissima, e si chiese per quanto tempo ancora sarebbe riuscita a
reggersi in piedi. Ora doveva cominciare a seguire il percorso ben impresso
nella sua memoria, sperando solo di non dover camminare per troppo tempo. E di
non sentirsi male in mezzo alla strada. Prese la prima via a destra e la
percorse tutta, osservando i negozietti di alimentari, la rosticceria con i
polli in vetrina che giravano sullo spiedo, il fiorista e la cartoleria. Era
tutto esattamente nell’ordine in cui doveva essere. Proseguì fino ad una
piccola chiesa e svoltò a sinistra. Dopo un’altra ora di vicoli, stradine,
negozi e indicazioni, arrivò davanti a una villetta color giallo ocra, con le veneziane
alle finestre e i balconi traboccanti di gerani, disordinati e multicolori. La
facciata era un po’ trascurata, con gli infissi e le persiane da ridipingere,
ma dall’interno si sentiva arrivare una musica allegra, un ritmo latino
americano, e alcune risate femminili. Non c’era nessuna insegna né alcun tipo
di indicazione, solo il numero civico disegnato a tempera su una piastrella di
ceramica. Entrò da un cancelletto cigolante e percorse lentamente un vialetto
lastricato in pietra. Quando arrivò alla porta d’ingresso, vide che il pulsante
del campanello era stato ricoperto con vari strati di nastro isolante, e che il
buco della serratura era stata piombato. Di fianco alla porta c’era una
fessura, che probabilmente serviva per introdurre una tessera. Sotto il
citofono, un piccolo cartello scritto a mano diceva di suonare e attendere.
Giulia premette il pulsante. Mentre raggiungeva la casa, aveva pensato a cosa
avrebbe detto una volta arrivata, come si sarebbe presentata, ma ora che si
trovava lì era come se il suo cervello si fosse svuotato. Attese qualche
secondo. Stava per suonare ancora quando una voce femminile rispose.
“
Posso aiutarla ?”
Al
suono di quella voce, Giulia cominciò a piangere.
“
Signora, si sente male ? Ha bisogno d’aiuto ?”
Lei si
asciugò le lacrime con il dorso della mano.
“ Sì, la prego, la prego, aiutatemi…. Sono Giulia, Giulia Marini …. mi manda Sonia Paggi …. la prego, mi aiuti …”
“ Alzi
il viso verso la telecamera,” ordinò la voce.
Giulia
alzò gli occhi stupita e vide un occhio nero che la fissava.
“ Va
bene,” continuò la voce, “ ora la faccio entrare.”
“
Grazie,” rispose Giulia, e ricominciò a piangere. Di gioia.
Mentre
quel pomeriggio Cesare sembrava essere impazzito di rabbia e metteva a
soqquadro lo studio della moglie alla ricerca di un qualsiasi indizio su dove
si fosse nascosta, sua moglie venne accompagnata a conoscere Sara Krauss. Ora
Giulia era calma, anche se le sembrava di muoversi in un sogno. L’accolsero e
la fecero sedere in cucina, dove la rifocillarono con un’enorme porzione di
torta fatta in casa e tazze di tè. Poi le misero a disposizione una piccola
camera da letto per riposarsi, e Giulia dormì per ore come un sasso.
Finalmente, si sentiva al sicuro. Nel tardo pomeriggio una mano gentile la
svegliò e la riaccompagnò in cucina, dove un gruppo di donne era riunito
intorno al tavolo, mangiando, chiacchierando e ridendo. Prima di portarla
nell’ufficio di Sara, le offrirono ancora torta e caffè. Le altre donne la
osservarono, ma nessuna la fece sentire a disagio. Lei colse i loro nomi,
Barbara, Claudia, Monica, Ambra, e pensò che, come lei, anche loro erano
fuggite da un qualche inferno. Erano sorelle, compagne, amiche. Mentre
mangiavano e parlavano, una di loro accese lo stereo e fece partire un cd di
musica classica. Giulia si sentì immersa in un’atmosfera magica, e non le
sembrò vero essere seduta lì, senza che nessuno la trattasse come se fosse
pazza, senza dover spiegare nulla, senza doversi difendere da niente. Cercò di
dare una mano a sparecchiare, ma non le permisero di lavorare.
“
Vieni con me,” le disse la ragazza con un brutto taglio sulla guancia che si
era presentata come Ambra. La cicatrice le partiva da sotto l’occhio destro e
la sfigurava fino al labbro. “ Sara ti vuole parlare.”
“ Chi
è Sara ?”
“ Sara
Krauss,” rispose Ambra accompagnandola per un lungo corridoio, “ è il capo. È
una donna meravigliosa, vedrai.”
“ E
Sonia ? Sonia Paggi ?” chiese Giulia.
“
Sonia è l’altro capo. E anche lei è fantastica.” Aprì una porta di legno e con
un sorriso le fece segno di entrare.
L’ufficio
di Sara era molto luminoso e dominato da una scrivania enorme, sepolta sotto
centinaia di fogli di carta, portapenne, fotografie, statuine etniche, libri e
oggetti vari. La donna seduta dietro a quella scrivania dimostrava circa
sessant’anni, era rotonda e in carne, ma assolutamente una bella signora. I
capelli erano bianchi, accuratamente acconciati in un morbido chignon, e le
sorridevano anche gli occhi, incredibilmente azzurri.
“
Ciao, Giulia,” la salutò la donna, “ accomodati, prego. Io sono Sara, come ti
avranno già detto.”
Giulia
le si sedette davanti.
“ Sono
molto felice di vederti. Eravamo tutti molto in pena per te,” continuò Sara.
“ In
pena ? Per me ?”
“
Certo, cara. Ti aspettavamo tre mesi fa. Ho seguito la vicenda per quanto ho
potuto, ma capisci che non ci possiamo esporre in alcun modo per non mettere a
rischio la casa e le donne che ospitiamo. Quando Sonia, grazie a Dio, ti ha
incontrata a Milano, abbiamo capito che era successo qualcosa di molto grave. E
contro ogni regola abbiamo richiamato Emanuela dal Sudafrica. Dovrebbe
rientrare tra un paio di giorni.”
“
Emanuela ? Sta rientrando ?”
“ Sì.
Eravamo davvero molto preoccupati per la tua sicurezza. Emanuela era l’unica
che poteva presentarsi a casa tua senza destare sospetti, ma grazie al cielo
non è più necessario. Ora sei qui, sana e salva. Sei al sicuro.”
Giulia
ricominciò a piangere. Sara si alzò, girò intorno alla scrivania e l’abbracciò
forte. “ Non
piangere più. E’ finita … sei al sicuro. Nessuno ti farà più del male.” Giulia
alzò il viso verso quegli occhi azzurri. “ Posso chiederti qualcosa ?” le
domandò.
“
Certo. Tutto quello che vuoi.”
“ Cosa
succederà adesso ?”
“ Beh…
per prima cosa ti faremo visitare dai nostri medici e faremo il possibile per
rimetterti in buona salute. Normalmente, ti offrirei di fermarti qui per tutto
il tempo che ritieni necessario, ma nel tuo caso non è possibile. Come avevamo
già deciso la prima volta, devi allontanarti da qui, è troppo pericoloso per te
rimanere in zona. Quindi, ci atterremo al programma originale. Tra due o tre
settimane partirai per il Sudafrica, come avevi chiesto. C’è una casa famiglia
nella quale ti sistemerai. Nel frattempo il nostro avvocato, Martina Clerici,
prenderà contatto con il legale di tuo marito per avere un’idea della sua
posizione. Ma di questo parleremo un’altra volta. Se c’è qualcuno che vuoi
contattare, abbiamo canali sicuri per farlo, ma non potrà sapere dove ti trovi
e non potrete incontrarvi.”
“ Sì,
vorrei che qualcuno spiegasse tutto quello che è successo al mio amico Luca
Fossati. Il mio editore,” chiese Giulia.
“ Sì,
se ne occuperà Sonia. Ora, ci sono due cose importanti che devi ascoltare con
estrema attenzione.”
“ Ti
ascolto.”
“
Finchè sarai qui, ci aspettiamo che tu segua alcune regole. Sono poche e molto
semplici, e servono a proteggere la casa, le donne come te, le donne che
verranno dopo di te e il nostro lavoro. Capisci quanto è importante ?”
“ Sì,
assolutamente.”
Sara
annuì. “ Bene. La seconda cosa è questa: tu sei una donna libera. Libera
dalle sofferenze, libera da chi ti ha fatto del male, libera di vivere la tua
vita.” La donna le tese una mano per aiutarla ad alzarsi dalla sedia e la baciò
sulla fronte. “ Ben arrivata a casa, Giulia.”
Due
giorni dopo, Giulia stava preparando gli spaghetti per tutte le ragazze quando
la porta della cucina si spalancò ed entrarono due donne. Una di loro lanciò un
urlo spaventoso e le buttò le braccia al collo. Era Emanuela. La strinse così
forte che Giulia sentì scricchiolare le ossa. Quando riuscì a districarsi
dall’abbraccio affettuoso della donna, Sonia le si avvicinò e le prese una
mano. “ Felice di rivederti, Giulia.”
“ Hai
ancora paura di lui ?” le chiese Emanuela.
Giulia
era distratta. Smise di vagare con la mente e tornò al presente. Non capì
subito di cosa stesse parlando l’amica. “ Di Cesare…. hai ancora paura che ti trovi ? So che la
prima settimana che hai passato qui eri terrorizzata dall’idea di essere
braccata. Che ti trovasse. Adesso come ti senti ?”
Giulia
riflettè attentamente sulla domanda. In realtà, paura non era la parola
che esprimeva meglio i suoi sentimenti nei confronti di Cesare. E forse neanche
terrore bastava a descriverli, perché le sue emozioni erano alterate da
altre emozioni ancora, come la vergogna per aver vissuto sette anni subendo la
violenza dell’uomo che amava, la nostalgia per pochi effetti personali che
aveva lasciato a casa, come i suoi libri, la sensazione di incredibile euforia
che le dava l’essere libera e circondata da persone amiche, l’ansia per il
futuro e nello stesso tempo l’eccitazione del domani che lei sola avrebbe
creato. E poi, il sollievo. Un sollievo indescrivibile, come se fosse arrivata
correndo sull’orlo di un precipizio e prima di precipitare nel vuoto si fosse
tirata indietro. Tuttavia, non c’erano dubbi che la chiave di tutto fosse la
paura. Durante la prima settimana nella casa protetta aveva fatto sempre lo
stesso sogno: la Mercedes di Cesare che le tagliava la strada e frenava
lasciando tracce di copertone bruciato sul vialetto, e Cesare che le sorrideva
con i denti sporchi di sangue.
“
Giulia ? ” la richiamò Emanuela, “ ci sei ?”
“ Sì,
scusa,” rispose lei, con l’immagine dei
denti insanguinati ancora negli occhi, “ ci sono. Sì, ho ancora paura di lui.”
“ Beh,
credo che sia assolutamente normale. In qualche modo, anche quando sarai molto
lontana, credo che continuerai ad averne. Però, un po’ alla volta, ci saranno
periodi sempre più lunghi in cui non avrai paura di niente, fino a quando,
quasi senza accorgertene, non ci penserai più. Però volevo sapere un’altra
cosa, se hai ancora paura che ti stia cercando.”
“ Sì,
assolutamente. Dopo quello che mi ha fatto, credo che l’unica soluzione che
vede sia liberarsi di me in modo definitivo. Capisci quello che intendo ?”
Emanuela
annuì. “ Sì. In questo momento non sa dove sei e cosa hai in mente di fare,
quindi può aspettarsi di tutto, anche i carabinieri davanti alla porta. Questo
lo rende ancora più pericoloso e deve rendere te ancora più attenta e prudente.
Ricorda, non sei sola.”
“ Sì,
lo so.”
“
Sicura ?”
Giulia
sorrise per la prima volta dall’inizio di quella conversazione. “ Sicurissima.”
Da
quando aveva recuperato la memoria ed era ospite della casa protetta era stata
visitata da più medici. Era accuratamente assistita mentre lentamente si
disintossicava dai farmaci presi per tanto tempo. Tutte le volte che ne sentiva
la necessità andava a fare una chiacchierata con il terapeuta
dell’associazione, e tutti concordavano sul fatto che stava recuperando a passi
da gigante. L’ottima cucina di Matilde, la cuoca volontaria del centro, le
aveva fatto prendere qualche chilo e il viso non era più terreo. Stava
riprendendo colore e sorrideva spesso. Non sbavava più, i movimenti erano
coordinati e, anche se era spesso stanca, dormiva solo otto ore per notte.
Insieme a Barbara, un’altra ospite del centro, era andata dal parrucchiere e si
era fatta sistemare i capelli, che erano sempre biondi e abbastanza lunghi ma
ricominciavano ad essere lucidi e ad avere un aspetto sano. Li aveva
accorciati, come piacevano a lei, rinunciando alla lunghezza che Cesare le
aveva sempre imposto. Al pensiero dei gusti di suo marito si irrigidì. Ripensò
agli abiti sexy e attillati che lui le comprava e che lei detestava.
Finalmente, passava tutta la giornata in jeans e scarpe da tennis, libera di
essere se stessa. Quandò squillò il campanello, Giulia stava lavorando sul suo
nuovo computer portatile che Luca le aveva regalato e fatto recapitare
attraverso Emanuela, Barbara leggeva un libro sdraiata sul divano e Claudia
infornava una teglia di biscotti.
Barbara
appoggiò il libro sul bracciolo. “ Vado io, disse.”
“ No,”
la bloccò Giulia, “ apro io. Ho bisogno di muovermi un po’. Sono ore che sto
immobile a battere sui tasti.”
Ogni
volta che suonava il telefono, o il campanello, o anche se qualcuno sbatteva
una porta, Giulia aveva un momento di panico pensando che fosse Cesare. Ma
sapeva che non era possibile, solo poche persone avevano l’indirizzo della casa
protetta e quando una di loro usciva, prima di rientrare percorreva chilometri
di stradine tortuose per depistare un eventuale inseguitore. Le regole erano
fatte per garantire la loro sicurezza, e nessuna avrebbe messo a rischio
l’incolumità delle compagne. Nonostante questo, a Giulia tremavano le gambe mentre
andava ad aprire la porta. Sapeva che Cesare era diabolico e troppo furibondo e
che non l’avrebbe lasciata andare via tanto facilmente. Gli unici rapporti che
c’erano stati tra loro da quando era riuscita a scappare dal ristorante di
Cristina con la macchina di Myria erano avvenuti tramite i loro legali. Martina
Clerici per Giulia, e Alberto Osella per Cesare. In fondo, se l’aspettava.
Quello che l’aveva ferita era il voltafaccia di Laura, che continuava a credere
a tutte le menzogne di Cesare. Invece, Fabrizia e Carlo Marri avevano
interrotto ogni rapporto con lui quando Cesare aveva alzato le mani su Fabrizia
per sapere dove fosse Giulia. Di Cristina non sapeva cosa pensare. Sapeva che
Paolo se n’era andato di casa, e le aveva scritto molti messaggi di
incoraggiamento, ma Cristina non si era mai più fatta viva. Ormai, era nella
casa protetta da quattro settimane ed era certa che Cesare stesse tramando
qualcosa. Guardò dal videocitofono e aprì il portone. Sonia entrò con in mano
un pacchetto.
“
Ciao,” disse, “ è arrivato per te allo studio di Martina. Lo manda l’avvocato
Osella, quindi non dovrebbe esplodere.” Giulia rise, anche se le si era
contratto lo stomaco.
“
Pensi che il mittente sia Cesare ?”
“ Beh,
e chi altri ?”
“ Vuoi
che lo apra io ?” chiese Sonia.
Lei
esitò un attimo, poi scosse la testa. “ No, devo smettere di avere paura. Non
gli permetterò di controllare ancora la mia vita.”
“
Brava !” applaudì Barbara, “ così si fa !”
“
Meriti il biscotto più grosso e pieno di cioccolato,” aggiunse Claudia.
Giulia
aprì il pacchetto. All’interno, vari strati di carta velina proteggevano un
astuccio di velluto color argento. Sotto l’astuccio si vedeva spuntare un
bigliettino. “ Mi manchi,” lesse Giulia ad alta voce, “ con tutto il mio
amore.” Lo accartocciò tra le mani. Sonia lo recuperò. “ Può sempre servire,” le disse, “ dallo a
me.”
“ Beh,
di sicuro non è una pelliccia,” commentò Claudia mentre Giulia apriva
l’astuccio. “ Oh Dio,” commentò Barbara davanti ad uno splendido anello in oro
bianco a fascia tempestato di diamanti.
“
Diamanti,” disse Sonia, “ un diamante è per sempre.” A quelle parole a Giulia
vennero i brividi.
“ Che
cosa diavolo sta cercando di fare ?” chiese Giulia, ricordando che Cesare aveva
sempre preferito regalarle diamanti perché li considerava il pegno d’amore per
l’eternità. Forse cercava di ricordarle che lei gli apparteneva ? Richiuse
l’astuccio e lo diede a Sonia. “ Prendi anche questo,” le disse, “ fai decidere
a Martina cosa farne. Io non lo voglio.”